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The Outsider: il male non ha una sola faccia

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Il pensiero si limita a conferire al mondo una parvenza di ordine, per chiunque sia abbastanza debole da lasciarsi convincere che un ordine ci sia davvero – Prefazione di The Outsider 

Quante facce ha il male? Stephen King sta provando a rispondere a questo interrogativo da Carrie, suo primo romanzo e trampolino di lancio per i successivi nonché maestosi libri. Carrie fu pubblicato nel 1974 e già da allora il maestro dell’orrore indagava le cause del male, e costruiva la sua tesi secondo cui il male acquista sembianze diverse in base alla storia che si trova davanti – nella storia in cui è protagonista assoluto. Carrie pensava che il male fossero i suoi compagni di scuola che la maltrattavano dinanzi a tutti, o addirittura sua madre, donna puritana affetta da turbe psichiche ed ossessionata dal peccato e dalla religione che le infligge quotidianamente severe punizioni fisiche e morali. Col tempo Stephen King ci ha mostrato il male attraverso la faccia di un clown impazzito, e lo ha presentato a noi come frutto di una paura difficile da affrontare senza aiuto. It si nutriva del terrore perché ognuno di noi ha la sua più grande paura, e ognuno di noi riflette quella stessa paura negli incubi e nei giorni caldi d’agosto, così come nelle sere gelide dell’inverno. Senza distinzione. 

The Outsider è il ritratto del male in ogni sua veste o forma

The Outsider ritorna a parlare del morbo che percuote l’universo in un libro entusiasmante, e qualche anno dopo in una serie tratta dalle pagine del romanzo omonimo: quando il cadavere martoriato di un bambino di undici anni viene trovato nel parco di Flint City, la polizia raccoglie in pochissimo tempo molte testimonianze che scivolano rapidamente verso Terry Maitland. Testimoni oculari, impronte digitali, gruppo sanguigno e persino il DNA puntano su Terry, il più insopportabile dei cittadini. Terry è l’allenatore della squadra di baseball, un uomo buono a cui i bambini sono legati da un affetto profondo, e probabilmente anch’egli bambino di fronte alla paura. Il caso sembra risolto, se non fosse che l’accurato ha un alibi inoppugnabile per la sera dell’omicidio: Terry non era nel luogo del delitto. Per stabilire quale versione della storia sia quella vera non può bastare la semplice ragione. Perché il male ha più facce. E King le conosce tutte. 

The Outsider procede come una galleria buia in cui a poco a poco si intravede la luce, ma a cui si collega subito dopo un’altra galleria, ancora più buia. Gli indizi che vengono lasciati dalla polizia sembrano lucidi e puntuali come un orologio svizzero, ma presto ci rendiamo conto che il presunto colpevole non può essere l’assassino del bambino, per una serie di alibi reali e tangibili. Poco dopo usciti da quella galleria ci rendiamo conto che King ha scritto un romanzo in cui il male non ha un solo viso, e che l’assassino si nutre del corpo degli altri per effettuare i suoi crimini. “L’outsider” è qualcosa di sovrannaturale, una materia meschina che si trasforma e si compone nel momento in cui lascia una ferita sul corpo della persona a cui vuole rubare faccia e capelli. King parla del male come una creatura in grado di cambiare forma, di una variante della leggenda del Cuco, una proiezione fantasmatica che si annida nella città di Flint City per arrecare dolore. Potrebbe essere chiunque allora, anche l’amico del cuore che abbiamo incontrato pochi minuti fa al bar dinanzi a una caldissima e buonissima cioccolata calda.

Da Misery, passando per Miglio Verde: Il male diviene cosa diversa in situazioni diverse

The Outsider si spinge ancora più in là della siepe nera e ci parla dell’orrore come di un boomerang che torna indietro per colpire tutti i membri di una stessa famiglia. Questa volta tocca alla famiglia Peterson, perché poco dopo la morte di Frank, stuprato e ucciso dal mostro che ha la faccia di un uomo, muoiono anche i suoi familiari. La madre crepa d’infarto perché il dolore le scoppia dentro come la peste, e il padre si suicida dopo aver perso anche l’altro figlio, il fratello di Frank. Stephen King nel Miglio Verde aveva ritratto la forza degli innocenti parlando di John Coffey, morto su una sedia elettrica dopo aver salvato il mondo e scambiato per un assassino crudele e spietato. Qui, in The Outsider, il percorso degli innocenti è lo stesso: Terry Maitland viene sparato davanti a un tribunale e messo alla gogna perché il male aveva scelto la sua faccia per mostrare la sua perfidia. 

Ma in The Outsider il male si traveste anche da altro, in qualcosa di astratto, da incubi per la moglie di Terry, per le sue figlie e per tutti i poliziotti che lavorano al caso: tutti sognano un uomo diverso perché il male ha più facce. Il male diviene i litigi che scoppiano tra i vari protagonisti della serie quando nessuno riesce a risolvere le indagini, facendo scontrare uomini o donne come se fossero nemici. Il male promette salvezza a chi sceglie di venire dalla sua parte, e così un ex poliziotto, nel libro, prova a uccidere i suoi colleghi. King ci ha insegnato che il male può essere ovunque e chiunque, persino una malattia atroce che non lascia sopravvivenza, o una donna che accoglie in casa uno scrittore per torturarlo affinché riporti in vita la protagonista dei suoi romanzi. In The Outsider, cosi come come nelle altre sue opere, l’orrore ricasca nell’agonia del passato perché se non riesci a liberarti di esso, gli errori che hai commesso ti mangeranno vivo. Allora anche il passato, come tutti i tempi presenti o futuri, diventa il male per King, così come tutte le cose.

Non c’è speranza contro di esso. O contro le sue mille facce.