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The Politician è scritta benissimo

The Politician 1200x800
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The Politician is a comedy about moxie, ambition and getting what you want at all costs.

Così esordiscono le righe di introduzione a The Politician, una serie scritta benissimo, sebbene un po’ dispersa nell’ampio catalogo di Netflix. “Fegato, ambizione, prendersi ciò che si vuole. Alcune scene potrebbero disturbare chi soffre di instabile salute mentale” prosegue l’avviso allo spettatore.

In effetti, in questo viaggio psico-comico, glorioso e irriverente, troveremo tutte le sfaccettature di personalità al contempo narcisistiche, instabili, votate al potere, strategiche, ma anche intrise di amicizia, intuizioni, acuta intelligenza.

Possiamo solo pensare bene accingendoci a guardare la serie firmata da Ryan Murphy per Netflix. Una summa abbagliante delle sue opere.

Una satira spietata della politica e soprattutto di una generazione ricca e patinata, la Generazione Z americana che punta ad andare ad Harvard e a conquistare ruoli di potere divenendo parte della classe dirigente del Paese. Il protagonista è un giovane rampollo dell’alta borghesia californiana, Peyton Hobart, che mostra un’ambizione fuori dal comune e la convinzione – ingegnosamente egoriferita – di voler diventare Presidente degli Stati Uniti. Ha infatti trascorso la sua giovane vita, parliamo di un allievo all’ultimo anno di liceo, a studiare storia moderna, il cinese e soprattutto le biografie dei Presidenti americani: Nixon, Reagan, Clinton, Obama. Intende proseguirne le tracce, portando la ventata fresca dell’impegno politico giovanile contemporaneo. 

Il cambiamento climatico, l’inclusione sociale, il meticciato culturale, le tematiche LGBT+, le disabilità sono tutti cavalli di battaglia della sua campagna per le elezioni a Presidente del Consiglio Scolastico del ricchissimo liceo di Santa Barbara (CA). È questo il primo duro scoglio politico importante che deve affrontare: il liceo. Inizia così una prima stagione forsennata e incalzante incentrata sulla corsa elettorale alla presidenza nella Saint Sebastian High School.

In questo trepidante e ironico percorso metapolitico, Peyton può contare su una squadra di colleghi aggressivissimi pronti a fare qualsiasi cosa e scendere a qualsiasi compromesso pur di far vincere il proprio leader.

The Politician
The Politician – 1.400×636

Si tratta di Alice Charles, interpretata da Julia Schlaepfer, fidanzata di Payton: è la la prima a sostenere la sua carriera politica “ti amo incondizionatamente, sei la mia star preferita, the King of the Kings” dice a Peyton nelle prime battute del primo episodio per sfatare la sua insicurezza, dettata da un dibattito da cui è uscito debole e troppo conservatore. Bisogna cambiare strategie dinanzi a un rivale che ha sinceramente smascherato la fragilità della propria esistenza, in perfetto stile americano, dove i politici – per anticipare ed evitare gli scandali – fanno previa ammenda e racconto sentito degli errori e delle cadute commesse nella propria vita. River, il rivale e anche amante di Peyton, bisessuale, racconta di aver tentato il suicidio. Un racconto commovente che gli fa acquistare punti presso l’elettorato studentesco.

Quindi anche Peyton ha bisogno di incrementare il suo consenso generale. Ecco così che parte la ricerca del Vice Presidente, tra altre culture e provenienze – come l’unico haitiano della scuola – identità e orientamenti no binary, persone con disabilità e finanche colpite da malattie. Sarà infatti su Infinity, fintamente malata di tumore, che cadrà la scelta per il ruolo di vice. Una figura scritta magnificamente, adolescente, vestita di rosa e abbracciata al suo orsacchiotto, che non vuole crescere e rimane legata alla nonna che in realtà si approfitta di lei, interpretata da una straordinaria Jessica Lange, disegnata come un personaggio strabordante, eccentrico oltre le righe.

Accanto alla fidanzata Alice, la squadra è composta da McAfee Westbrook, interpretata da Laura Dreyfuss,  astuta chief manager delle campagne di Payton, la mente più brillante del team e James Sullivan,  Theo Germaine, fedele amico e collaboratore.

Ad arricchire il cast e la trama è Gwyneth Paltrow, mamma aristocratica, che innaffia le piante in abiti da sera, democratica e progressista, prima fan di Peyton. È il volto conosciuto e “over” della serie, considerando che Ryan Murphy, incentrando la serie sulla Gen Z, ha scelto attori e attrici nati negli anni ’90. Nativi digitali, divorati da un forte desiderio di affermarsi  sia singolarmente che con identità di gruppo, uniti dai temi caldi dello scenario politico internazionale, come, appunto, il climate change. 

Ogni stagione di The Politician ritrae una campagna elettorale.

Se nella prima l’ambientazione è Santa Barbara e il liceo, nella seconda ci spostiamo a New York, dove Peyton frequenta la NY University, deciso a candidarsi come Senatore dello Stato. Entrano nel cast altre due straordinarie attrici, Judith Light – nei panni di Dede Standish – storica senatrice e Bette Midler, Hadassah Gold, sua fida consigliera. 

The Politician
The Politician Stagione 2- 2000×1200

Di nuovo – ma diversamente – comincia l’avventura del team verso l’ascesa alla nuova importante carica pubblica, che verrà infine conquistata da Peyton con la stessa approvazione di Dede: una corsa all’ultimo, metaforicamente e letteralmente, voto.

Qui Ryan Murphie scrive una pagina di ricercata televisione che si apre con la puntata “Una mentalità newyorkese”, affresco ritmato e seducente della Grande Mela.

Al centro lo scontro generazionale che trova il suo apice nell’episodio dedicato agli “Elettori”, dove una mamma e una figlia si affrontano con vedute diverse sulle priorità politiche del Paese e del Pianeta e sui grandi temi di una società ibrida che deve guardare al “Dopo”, alla responsabilità verso le generazioni future per dirla con la visione etica di Hans Jonas.

Una scrittura del nostro tempo duplice, tra superficialità e spessore, in cui i personaggi – con dialoghi da uragano – lasciano lo spettatore senza fiato catapultandolo nelle scene successive con un passo vorticoso. È la trasposizione narrativa del ritmo di New York che accelera la frenesia delle scene e acuisce i già iperbolici comportamenti dei personaggi.

Ben Platt e Gwyneth Paltrow – 1050×590

È poi nella seconda stagione che viene inscenata la sottile e battente ricaduta che ha l’ambizione sulla psiche. Se nella prima stagione, il climax è ascendente senza compromessi, nella seconda immagini di vittoria e sensazioni di sconfitta, ridimensionamento dell’Ego e slanci pindarici si fondono nella personalità di Peyton e della sua squadra. Il registro, degno dei capolavori cinicamente sensibili di Murphy, rimane tonico e brillante. Non ci sono cadute di stile e la continuità narrativa va di pari passo con l’evoluzione del pensiero dei personaggi.

Alla fine della campagna elettorale. Peyton ammetterà di essere ancora giovane per poter sconfiggere Dede, la madre storica delle battaglie per il rinnovamento del distretto newyorkese. E Dede riconoscerà il potenziale sfavillante del ragazzo, ormai divenuto uomo e pronto a ricoprire l’incarico di Senatore e, in seguito, a concorrere a fianco a lei alla carica presidenziale. È qui che si chiude il secondo capitolo della serie con un cliffhanger che lascia presagire un’atomica terza stagione di cui però non vi sono attualmente certezze.

A rendere ancora più forte e suadente la scrittura è la contaminazione di linguaggi mediali: Murphy fa proprio il concetto cardine di McLuhan “il medium è il messaggio” offrendo un grado di focalizzazione interna che porta lo spettatore a vivere in prima persona l’evoluzione delle campagne elettorali attraverso tutti i suoi canali, fisici, live, social. Un mondo portato all’estremo delle sue opportunità: il giovane staff di Peyton ha a disposizione schermi, poll, materiali pubblicitari, decine di volontari che tramite Instagram monitorano l’andamento del consenso e un head quarter di lusso degno dei più ricchi aspiranti candidati della storia. L’impianto visivo – inquadrature simmetriche e pulite, tonalità di colori pastello, atmosfere accese e scattanti – conferma l’estetica sospesa tra reale e surreale.

Tutto, soluzioni narrative e stilistiche, dialoghi e cambi scena, soddisfano la bulimia del Ryan Murphy sceneggiatore, regista e produttore esecutivo che conosciamo.

Ricordiamo anche che nell’esperienza di The Politician Murphy porta con sé Brad Falchuk Ian Brennan co-autori di Glee, The American Horror Story, Scream Queens. Un trio esplosivo. Pensando alla sua produzione televisiva possiamo considerare The Politician una sintesi nuova e sfrenata della sua estetica. È il cortocircuito delle voci, la naturalezza appassionata delle interpretazioni delle adulte del cast – contraltare di quelle sincopate dei ragazzi – a forgiare il surrealismo verosimile della storia. Tocchi di scrittura geniali e spiritosi – come il gioco “rock, paper and scissors” proposto da Haddassah per smarcare il ballottaggio tra Peyton e Dede – colorano la tela sovrastimolante e caricaturale di The Politician. 

Al contempo non mancano le frecciatine dirette al pensiero dominante. Quando Peyton viene accusato dell’omicidio dell’amata-oditata rivale Astrid, la polizia accetta denaro per mettere a tacere lo scandalo e soprattutto afferma che “non si può arrestare un ragazzo bianco, ricco e privilegiato”. La cruda verità.

La vera America, che soggiace al messaggio della serie, non è quella mostrata nella vetrina egotica dei protagonisti, ma quella dei poveri, dei mondi sommersi che Murphy non fa vedere ma sottintende nella scrittura tagliente che spesso rende irritanti modi, opinioni, gesti e comportamenti.

Un linguaggio isterico che veste la serie in cui l’ambizione la fa da padrona e le nevrosi stesse dei personaggi: Astrid che scappa dalla sua reggia per fare un’immersione nelle metropoli segnate dal dolore; Alice che sacrifica parte della sua vita e della sua acuta intelligenza per essere solo l’appoggio, quindi la first lady di Peyton. In un universo segnato dalle rivoluzioni di pensiero, moderni modi di vedere le cose, femminismo, parità di genere, illuminismo post-ideologico, in realtà tornano gli stereotipi della società novecentesca: come le donne che sono sempre dietro agli uomini o la diversità come strumento utile per affermare l’apertura di vedute, e non come autentico valore.

Di fatto siamo dinanzi a una critica alla lucente gioventù di oggi, quella ricca, di cui solo Ryan Murphy poteva mettere in risalto le idiosincrasie in una delle dramedy più interessanti degli ultimi tempi.