The Rain è la prima produzione danese mandata in onda da Netflix e un motivo ci sarà.
Prima di tutto, l’idea è decisamente innovativa. No, non quella dell’epidemia virale, ma di produrre una serie tv così ambiziosa in ambito europeo.
Altro punto a favore è aver puntato su attori giovanissimi, in gamba e “normali” nell’accezione più lusinghiera del termine.
La prima stagione è stata interessante e appassionante, soprattutto perché ha permesso di conoscere le storie dei protagonisti, i loro drammi, i loro segreti e ciò che li ha resi quello che sono poi diventati. Ogni persona, in The Rain, ha un passato drammatico alle spalle che motiva azioni, pensieri e morale.
La prima stagione di The Rain ci è anche servita per solidarizzare con la povera Simone, che ha trascorso la maggior parte degli episodi a rincorrere quello sciagurato di suo fratello al grido disperato di:
“Devo salvare Rasmus”.
Diciamolo, Rasmus nella prima stagione di The Rain era veramente un ragazzino irritante.
Ed è irritante fin da subito, perché è solo un bambinetto quando causa l’incidente stradale che cambierà per sempre il destino della sua famiglia.
Ora, sappiamo che in caso di fine del mondo i ragazzini in fase adolescenziale sono sempre una spina nel fianco, Carl Grimes docet.
Eppure Rasmus riesce a toccare picchi di fastidio inenarrabili. Non a caso Martin, prima dell’ennesima missione in cerca di Rasmus, dice che vorrebbe dargli una bella lezione, dando voce al pensiero di tutti noi.
Fugge, tenta di suicidarsi per una ragazzetta che ha appena conosciuto, se ne frega dei sacrifici della sorella che, poveretta, ha dedicato la propria vita a difendere il fratello minore.
Storia della vita di qualsiasi sorella maggiore.
Bene, la prima stagione di The Rain è davvero bella e appassionante e se non l’avete vista, dovreste recuperarla, anche solo per il rapporto conflittuale tra Simone e Rasmus, un amore/odio di co-dipendenza e appartenenza.
The Rain 2 mostra, invece, un Rasmus ben diverso. E non tanto perché finalmente l’attore che lo interpreta inizia ad assomigliare meno a una bizzarra versione mutante di Elle Fanning.
Prima di tutto, porta sulle spalle il peso di essere il potenziale salvatore dell’umanità, o per lo meno, del regno di Danimarca, perché ancora non è ben chiaro fino a che punto si sia propagata questa epidemia.
C’è poi il suo rapporto infelice con l’altro sesso: se nella prima stagione si innamora di Beatrice e lei va incontro a un pessimo destino, nella seconda c’è Sarah. Sarah, parliamone: una ragazza stramba con un’ossessione ambigua per i luna park, fastidiosa come poche e che ottiene anche l’onore del plot-twist last minute della resurrezione.
E dire che io avrei salvato qualcun’altra…
Sarah riesce nell’ardua impresa di far sembrare Rasmus un uomo maturo, che ragiona in maniera sensata e fa discorsi intelligenti. Insomma, una persona completamente diversa dalla prima stagione. È una bambina lagnosa e insicura, che vuole monopolizzarlo con una serie di piccoli ricatti crudeli (quanto è meschino giocare con la propria fragile salute per preoccuparlo e legarlo di più a sé?).
Ormai si è capito che Rasmus sia una pedina di primo piano nella scacchiera di The Rain e crescendo ha capito che il suo ruolo di punta ha un prezzo molto alto.
In questa seconda stagione, infatti, sembra essere messo di fronte alle proprie responsabilità.
Rasmus è il primo a capire di essere, a suo modo, speciale. Non per forza in un’accezione positiva, ma diverso nel senso più ampio del termine. Tutto ruota intorno a lui: dall’evoluzione del virus nel suo corpo, fino alle visioni del bambino che gli dice che non deve trovare una cura, né ascoltare sua sorella.
Anche il rapporto con Simone è in fase di cambiamento: c’è sempre una forte dipendenza, ma questa relazione così stretta viene messa, spesso, in discussione. È più consapevole e il suo desiderio di smettere di uccidere, anche se in modo inconsapevole e suo malgrado, le persone intorno a lui è un segno di maturità.
Rasmus è diventato grande perché vive sulla propria pelle problemi molto più grandi di lui.