La prima stagione di The Terror (se non l’avete vista, ecco a voi 7 ragioni per cui non potete farvela sfuggire), il gioiellino horror targato AMC, ci aveva stregato con le sue ambientazioni glaciali, con quella opprimente e costante sensazione di inquietudine che colpiva tanto i personaggi della storia, quanto noi spettatori. La prima stagione di The Terror raccontava la storia di una spedizione navale nel circolo polare artico conclusasi in tragedia. La seconda stagione, The terror – Infamy, ci trasporta invece all’interno di un mondo in cui storia e leggenda, speranza e disperazione, vita e morte si legano indissolubilmente. Lo fa raccontando gli orrori e le paure vissute dagli americani di origine giapponese che, durante la Seconda Guerra Mondiale, hanno visto il loro stesso paese rivoltarsi contro di loro.
Ma c’è di più: il sottotitolo di questa seconda stagione – Infamy – prende diretta ispirazione dalle parole – A date which will live in infamy – pronunciate il 7 dicembre 1941 dall’allora presidente Franklin Delano Roosevelt subito dopo l’attacco perpetrato alla base navale di Pearl Harbor per mano dell’aviazione giapponese.
Come già accennato, la storia raccontata all’interno di The Terror – Infamy si sviluppa infatti negli anni compresi tra il bombardamento giapponese alla base di Pearl Harbor avvenuto a cavallo tra il 6 e il 7 Dicembre del 1941 al largo delle coste Hawaiane e lo sgancio delle due bombe atomiche sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki, avvenuti rispettivamente il 6 e il 9 Agosto del 1945.
The Terror – Infamy è il primo progetto televisivo ad avere l’ambizione di raccontare una pagina decisamente oscura e poco conosciuta della storia americana
Il governo statunitense, infatti, reagì al bombardamento della base nell’Oceano Pacifico con la deportazione di oltre centoventimila americani di origine giapponese all’interno di campi di prigionia denominati War Relocation Centre. In particolare, The Terror – Infamy segue la storia della comunità nippo-americana deportata all’interno del Tule Lake War Relocation Center, uno dei dieci campi di detenzione costruiti nel 1942 per ordine del presidente degli Stati Uniti. Più specificatamente, The Terror – Infamy ci racconta la storia della famiglia Nakayama: del capofamiglia, Henry Nakayama (Shingo Usami), della moglie Asako Nakayama (Naoko Mori), del loro unico figlio Chester Nakayama (Derek Mio) e della sua amata Luz Ojeda (Cristina Rodlo).
Particolarmente fondamentale – sia per quanto riguarda i riferimenti storici, sia per tutto ciò che concerne la realizzazione di ambientazioni il più possibile attinenti da un punto di vista storico – si è dimostrato poi essere il ruolo di George Takei (il famoso Hikaru Sulu della serie Star Trek), che oltre ad interpretare il ruolo dell’anziano Nobuhiro Yamato, ha anche avuto l’indispensabile compito di consulente storico: fu infatti proprio Takei a venire imprigionato, durante la sua infanzia, in due campi di detenzione – inizialmente nel Rohwer War Relocation Center in Arkansas e successivamente proprio a Tule Lake, in California.
Nonostante la serie si sviluppi sullo sfondo di un contesto storico interessante e ricco di spunti come quello che abbiamo presentato, sfruttando anzi gli eventi storici per scandire il tempo diegetico senza che lo spettatore rischi di perdere elementi fondamentali, la storia si sviluppa sì attorno alla famiglia Nakayama, alla loro storia e alle loro fatiche all’interno del campo di detenzione, ma ruota anche e soprattutto attorno ad una misteriosa serie di sparizioni. Ed è proprio questa serie di sparizioni a permettere ai creatori Alexander Woo e Max Borenstein di far uscire lo sguardo dello spettatore del campo di detenzione, consegnandogli di volta in volta indizi che possano aiutarlo in una comprensione sempre più profonda degli eventi. Eventi che si dimostrano inspiegabili se non attraverso le leggende del folklore giapponese. Unico elemento costante in un mare di variabili sembra essere la presenza di una enigmatica figura, quella della giovane e – solo all’apparenza – incantevole Yuko (Kiki Sukezane). La donna sembra infatti essere collegata ad ogni sparizione, ad ogni evento inspiegabile che avviene sia all’interno che all’esterno del campo di detenzione.
La giovane Yuko sembra essere indissolubilmente legata alla famiglia Nakayama e, in particolar modo, al giovane Chester, come se un profondo e dimenticato segreto li attraesse l’uno all’altra e viceversa.
The Terror – Infamy però è e resta una serie horror, una storia dell’orrore immersa in un contesto storico estremamente denso e significativo
Sapete cosa sono i Bakemono? La traduzione letterale dal giapponese indica il termine “una cosa che cambia”; nella tradizione giapponese indicano creature soprannaturali in grado di mutare la loro forma. Di tanto in tanto, però, il termine viene accostato ad un altro, “Yurei”.
Avete mai sentito parlare degli Yurei? Gli Yurei sono i fantasmi del folklore giapponese, anime dei defunti incapaci di lasciare il mondo dei vivi e raggiungere l’aldilà. Cosa cerca uno Yurei, dipende dal suo scopo. Dipende, soprattutto, dalla ragione per cui è ancora nel mondo dei vivi. Possono, gli Yurei, impossessarsi di una persona? Possono portarla alla follia? Può la loro ricerca avere fine? Secondo la tradizione giapponese, ogni azione di uno Yurei sarebbe mossa da un onnen, un termine traducibile come “fame” – fame di vendetta, volontà di porre rimedio agli errori commessi in vita. Il termine indica, insomma, la ferrea volontà dello spirito, che non potrà essere fermato fino a quando la sua espiazione non sarà conclusa.
Così, attingendo a piene mani dalla storia e dal folklore giapponese, ma anche ibridando quest’ultimo alla cultura sudamericana (e al curanderismo – una pratica sciamanica che permetterebbe a chi la opera di entrare in contatto con il mondo dei morti – in particolare) i creatori sono riusciti a plasmare qualcosa di unico: un horror in grado di trasmettere le paure di un tempo, di una comunità ferita e ingiustamente odiata, ma anche le paure per un futuro incerto ma soprattutto rubato, sottratto. A questo elemento va ad aggiungersi quello del paranormale: possessioni, inspiegabili suicidi e morti particolarmente sanguinarie fungono da raccordo tra la storia e le credenze di antiche tradizioni popolari, consegnando allo spettatore un prodotto tipicamente horror senza però rinunciare alla necessità di raccontare, di ricordare e di denunciare.