Anche questo lunedì non ci siamo fatti trovare impreparati all’appuntamento con The Third Day in onda su Sky Atlantic. Il terzo episodio ha decretato la fine della prima parte: Estate, che vede Jude Law come protagonista assoluto. Mentre il quarto episodio rappresenta l’inizio della terza parte: Inverno.
La seconda parte, per chi se lo stesse chiedendo, è costituita da un folle long take di circa 12 ore, trasmesso in streaming su Facebook (potete vederlo qui).
L’inizio di The Third Day ci ha ipnotizzato grazie al raffinato tecnicismo tipico delle produzioni HBO.
Sam è ormai prigioniero degli isolani, in bilico tra le allucinazioni e la realtà, si ritrova catapultato in una società di fanatici alla ricerca di un nuovo Padre. Scopre che suo figlio è vivo e vegeto sull’isola e, nella trappola mortale del misticismo, tenta una fuga disperata.
Si tratta di un episodio in cui la narrazione è quasi “onomatopeica”. La colonna sonora è costituita dalla natura stessa, amplificando il tumulto ruvido delle foglie d’erba e l’altalenante e letale accartocciarsi delle onde. Nella prima parte della puntata i dialoghi sono quasi inesistenti, sostituiti da una regia che si lascia andare in un vero e proprio esercizio di stile, sacrificando la godibilità della trama che risulta molto lenta e a tratti addirittura pesante.
Il limite tra la realtà e la psicosi allucinogena oscilla e affoga, un po’ come la stradina paludosa che collega Osea alla terraferma.
I colori sono parte integrante della narrazione, con raffinate e dense pennellate rappresentano perfettamente un simbolismo come vero protagonista di The Third Day. L’Isola di Osea, infatti, esiste in bilico tra le tradizioni celtiche e il Cristianesimo.
Il verde è il colore che viene associato ai Martin. Un denso verde smeraldo circonda tutte le scene della coppia. Nella tradizione celtica il verde è propriamente il colore della terza classe, quella degli artigiani e dei produttori. Allo stesso tempo, nella tradizione cattolica, il verde è sinonimo di rigenerazione delle coscienze e, ovviamente, di speranza. Non a caso gli accoglienti coniugi si rivelano fedeli indottrinati, disposti a tutto pur di garantire a Osea e al mondo intero una nuova fertile speranza di guarigione.
Il rosso, invece, si ricollega spesso a Jess: ambigua straniera dal passato travagliato che sembra essere capitata per caso su Osea proprio come Sam.
Il rosso è il colore del furor, connesso ai guerrieri celtici perché ricorda il sangue e l’adrenalina della guerra. Jess si rivela complice dell’isola: cresciuta in un posto dalla spiritualità analoga, deve dimostrare a suo marito di essere ancora degna di abbracciare le figlie. E al loro amore è dedicata la sua guerra giornaliera.
Ma la persona che più di tutti è associata a differenti colori è proprio Sam: di sovente lo troviamo immerso in un verde che, a differenza dei Martin, ricorda la natura pura. Nelle scene più confuse, invece, è impregnato di un blu cobalto che istintivamente associamo al sogno, combinando la tranquillità di quest’ultimo all’inquietudine opprimente della rappresentazione.
Altre volte a colorare il protagonista di The Third Day è il grigio.
Illuminato da una luce spesso invadente, Sam in più di un’occasione è circondato dal grigio, colore che i celtici associavano al cosiddetto viaggio sciamanico. Sam, al pari di uno sciamano, ha il duro compito di guarire l’anima del mondo. La guarigione e la morte sono per lui due facce della stessa medaglia: alla fine del suo viaggio è predestinato a diventare il Padre dell’Isola e a passare dal grigio al bianco, colore della piena conoscenza.
Infine veniamo travolti da una confusa matassa di grilli a preannunciare l’arrivo di piogge torrenziali, allagamenti e morte.
Inizia il quarto episodio, intitolato Monday – The Mother, con protagonista Helen (Naomie Harris).
La regia in The Third Day lascia un’impronta incisiva. Comprendiamo subito che a firmare la prima e la terza parte sono due persone diverse. Il testimone, infatti, passa da Marc Munden (che ha diretto le prime tre puntate) a Philippa Lowthorpe (che si è occupata delle ultime tre).
I colori sono desaturati, rasentando talvolta il bianco e nero. L’isola ha perso la sua eterea patina paradisiaca e lascia emergere con prepotenza tutto il marcio che, come ruggine, incrosta l’anima del mondo. Eppure Helen sembra ostinata a passare qualche giorno di vacanza con le sue due figlie proprio ad Osea.
Non ci vuole molto prima che la famigliola inizi a fare i conti con il folklore sanguinario degli isolani.
Ma la donna non desiste e approda nella cupa locanda dei Martin. È evidente che dietro agli attacchi di panico e lo sguardo enigmatico di Helen si nasconda qualcos’altro, mentre l’isola in subbuglio si prepara all’arrivo di un nascituro.
La narrazione è ancora piuttosto lenta e il motore che ci spinge ad andare avanti è la pura e semplice curiosità di scoprire qualcosa in più sul cupo trambusto dell’isola e sulla vera identità di Helen (che negli ultimi secondi scopriamo essere la moglie di Sam).
Reduci da un terzo episodio che ci ha quasi fatto percepire l’acqua nei polmoni e la sensazione di asfissia che ne consegue, la potenza scenica sembra ora attenuarsi e la natura e i suoi suoni perdono il loro predominio.
Ancora una volta terminiamo la visione con tante incertezze, chi sarà mai il bambino o la bambina che tutti attendono con ansia? Riuscirà Helen a ricongiungersi con suo marito e tirarlo fuori dalla trappola di Osea, o tutta la famiglia affogherà nei meandri del folklore? Speriamo di scoprirlo lunedì prossimo con gli episodi conclusivi di The Third Day.