Uscita il 14 maggio del 2021 su Amazon Prime Video, The Underground Railroad è una di quelle serie che o piace o non piace. Senza via di mezzo. E se piace è pure possibile che lo faccia in una maniera del tutto originale, non propriamente consona ai canoni ai quali normalmente lo spettatore è abituato. Perché The Underground Railroad, vincitrice tra gli altri premi di un Golden Globe come miglior serie drammatica antologica, è una di quelle serie che spiazza lo spettatore, pure malamente, fin dalla prima delle dieci puntate.
Tratta dall’omonimo romanzo dello scrittore afroamericano Colson Whitehead (1969), vincitore di un premio Pulitzer e una Carnegie Medal per la narrativa, The Underground Railroad è stata scritta da Jihan Crowther (già co-autrice di The Man in the High Castle) insieme a Barry Jenkins che ne ha anche curato la regia (in qualità di regista Jenkins ha diretto Moonlight, film del 2016 vincitore di un Golden Globe come miglior film drammatico e tre Oscar tra i quali quello di miglior film), prodotta tra gli altri da Brad Pitt e interpretata da Thuso Mbedu nei panni di Cora, schiava fuggiasca, diJoel Edgerton nei panni di Ridgeway, cacciatore di schiavi, e Chase Dillon nei panni di Homer, suo aiutante.
The Underground Railroad racconta la storia di Cora, giovane schiava in una piantagione della Georgia, che all’ennesimo sopruso da parte del suo padrone nei confronti di uno schiavo decide di scappare accodandosi a Caesar, dotto compagno di schiavitù capace di leggere e di citare a memoria frasi tratte da I viaggi di Gulliver. I due sanno bene cosa devono fare: affidarsi alla ferrovia sotterranea che li porterà attraverso vari viaggi ma soprattutto infinite peripezie, all’agognata libertà negli stati del nord. E le dieci puntate, per un totale di quasi dieci ore di spettacolo, non sono altro che una sorta di stazioni della via crucis alla quale Cora è costretta per poter essere finalmente una donna libera.
Durante il lungo viaggio che la vede attraversare diversi stati degli Stati Uniti d’America precedenti la guerra di Secessione, Cora proverà sulla sua stessa pelle quanto non sia sufficiente lasciare la piantagione per poter sciogliere le catene che la tengono ancorata alla sua unica colpa: il colore della sua pelle.
Fin dalla prima puntata The Underground Railroad fa capire allo spettatore che questo non sarà un viaggio facile e che il rischio che finisca male, via via con lo svilupparsi della storia, è sempre dietro l’angolo. A cosa vada incontro Cora in caso di cattura dopo una fuga viene palesato come punizione pubblica, alla piantagione del suo padrone. Uno schiavo viene frustato, poi dato alle fiamme e lasciato morire tra atroci sofferenze mentre attorno lui gli schiavi guardano nemmeno poi tanto spaventati e i padroni mangiano, agghindati a festa. Una scena raccapricciante non tanto per la violenza in sé quanto per l’intrinseca sensazione di terrificante abitudine alla quale entrambi gli schieramenti sembrano ormai assuefatti. Da una parte gli schiavi, certi del loro destino eppure consapevoli che la morte potrebbe essere meglio della schiavitù; dall’altro i padroni, consapevoli del loro fittizio potere, perché sì, sono proprietari di esseri umani esattamente come lo fossero di un cavallo o di una sedia a dondolo e quindi liberi di farne quello che vogliono, eppure incapaci di farsi rispettare se non attraverso la violenza.
E su entrambi gli schieramenti aleggia la libertà, con le sue mille sfaccettature. Proprio quella libertà che i Padri Fondatori, nel 1776, misero in cima alla Dichiarazione di Indipendenza: “[…] che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità […]” e che per diversi altri secoli a venire, difficilmente venne concessa, soprattutto a chi aveva la pelle di un colore diverso dal pallido rosa.
Parlare di The Underground Railroad è impossibile farlo senza essersi documentati almeno un po’ anche di storia dal momento che la serie, pur in maniera ucronica, tratta il drammatico argomento della schiavitù negli Stati Uniti d’America ante Guerra di Secessione (1861-1865). Un argomento decisamente spinoso che ha ancora oggi, lo dimostra la cronaca recente, ripercussioni decisamente forti e che nel corso della storia della cinematografia è stato trattato sotto diversi punti di vista mettendo quasi sempre in evidenza e denunciando la disparità che la comunità afroamericana ancora oggi subisce. The Underground Railroad, però, ha la capacità di non essere soltanto una storia specifica sul trattamento di un gruppo specifico di esseri umani in uno specifico paese perché il regista, Jenkins, è capace di fornire spunti di riflessione tali da obbligare lo spettatore a porsi domande su tutta la storia del genere umano e su come, ancora oggi, esista la schiavitù là dove i diritti umani, minimi, non vengono rispettati né tantomeno garantiti. Al tempo stesso Underground Railroad non è un dramma storico in costume né una lezione di storia. E nemmeno ne ha la pretesa dal momento che non dà mai l’impressione di voler insegnare qualcosa. Senza alcun moralismo è come se a fianco di Cora, nel suo viaggio folle attraverso la ferrovia sotterranea, ci fosse lo spettatore con la possibilità di poter, e al tempo stesso con il fardello di dover, guardarsi attorno nel tempo, avanti e indietro, constatando drammaticamente che certe situazioni come erano così purtroppo sono rimaste.
The Underground Railroad è straziante, incredibilmente bello e commovente, terrificante e al tempo stesso profondamente genuino e poetico. A concorrere alla creazione di un prodotto così fantastico, nel vero senso della parola, ci sono una grandissima fotografia diretta da James Laxton e una incredibile colonna sonora composta da Nicholas Brittell i quali hanno già collaborato con Jenkins in Moonlight.
Dal punto di vista visivo si ha l’impressione di essere dentro un quadro romantico. Jenkins e Laxton ricercano spesso la possibilità di utilizzare la luce naturale. Candele, lanterne, raggi della luna, senza espedienti esagerati i colori che ne vengono fuori sono così caldi da dare ai volti una vitalità e complessità tale da mettere lo spettatore nella capacità di provare quasi per forza una fortissima empatia nei confronti dei personaggi, anche quelli più crudeli e spietati come il perfido cacciatore di schiavi Ridgeway.
E se dal punto di vista visivo è un vero piacere The Underground Railroad lo è anche dal punto di vista uditivo. Oltre a una colonna sonora che non è mai prevaricante, che gioca con la ripetizione dei temi musicali così come la storia gioca con Cora alla ricerca, ripetutamente, della sua libertà, ed è perfettamente in grado di aggiungere una imponente consistenza emotiva alle scene, la serie è meravigliosa per come riesce a trasmettere i suoni reali della natura: dallo scoppiettio del fuoco allo schiocco drammatico della frustate sembra davvero di essere lì.
The Underground Railroad non è una di quella serie da guardare tutta d’un fiato. Occorre prendersi il tempo giusto, sia per gustarsela, sia per digerirla. All’apparenza, già per via di quella ferrovia sotterranea fatta di treni e binari quando in realtà si trattava di una rete clandestina fatta di case sicure e persone disponibili a rischiare la propria vita per gli altri, c’è il rischio di perdersi, non capire e trarne così un giudizio negativo affrettato. Ci vuole molta pazienza, una certa predisposizione a inghiottire bocconi amari oltre alla capacità di lasciarsi trasportare dalle forti emozioni.
The Underground Railroad è qualcosa di unico nel suo genere pur trattando un argomento, quello della schiavitù, già visto. Non è Via col Vento, non è 12 anni schiavo, men che meno è parente di Nascita di una nazione. Non assomiglia a Radici né ha un briciolo di Glory. Non c’è Lincoln né tanto meno Django. Lo straordinario adattamento della Crowter, dal romanzo di Whitehead, messo in scena da Jenkins è una rappresentazione onirica, eppure terribilmente realistica, dell’umana capacità di fare del male al prossimo senza alcun pensiero né tanto meno rimorso. Una capacità senza tempo né confini in grado di infettare là dove si posa, insinuandosi subdolamente. Una storia, disgraziatamente, vecchia come il mondo.
Per questo, The Underground Railroad è un’opera che non può non scuotere e incantare al tempo stesso l’animo di chi la guarda . Nel realismo magico della sua storia si finisce per esser presi per mano da Cora che non è più fuggiasca ma guida e da lei accompagnati nei sentieri più bui dell’animo umano alla ricerca di un barlume di speranza che possa far tirare, almeno per un momento, il fiato.
Amazing grace / How sweet the sound / That saved a wretch like me / I once was lost / but now I’m found / Was blind, but now I see [J. Newton, ex negriero poi fervente abolizionista 1725 – 1807]