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La giornata tipo di Daryl Dixon

Daryl Dixon

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Daryl Dixon è uno di quei personaggi che o si ama o si ama, non c’è alternativa.

Un vero eroe, con macchia, ma senza paura, complesso, fuori controllo, iconico,  sprezzante del pericolo, indomito e, spesso, un po’ stronzetto. Bello, ribelle e irraggiungibile, proprio perché non si fa toccare da nessuno, né a livello fisico, né a livello emotivo. Vendicativo, concreto, oggettivo, appassionato.

Un uomo che ricopre mille ruoli: è un amico, un guerriero, una persona problematica, un fratello, un figlio, una vittima e un carnefice.

Un uomo per tutte le stagioni e la spalla ideale durante l’apocalisse.

Cosa chiedere di più?

Ma che fa tutto il giorno Daryl Dixon, a parte ammazzare zombie ed essere un eroe?

Ecco la sua giornata tipo.

Diciamo prima di tutto che Daryl non dorme mai. Non mi sembra proprio uno di quelli che resta in branda fino a mezzogiorno. In questo (ma solo in questo), io e lui siamo molto simili: insonni, svegli alle tre di mattina a pensare ai massimi sistemi, darsi tutte le colpe del mondo, dal riscaldamento globale all’espulsione di Predolin al Grande Fratello VIP, o a giocare a Candy Crush.

Quindi, alle prime luci dell’alba, lui è lì che si guarda intorno, seduto sul portico fighetto di una delle case di Alexandria, con lo sguardo stretto e la sigaretta scroccata a qualche cadavere in giro. Mai che si trovi un pacchetto intonso da fumarsi in santa pace.

È un pesce fuor d’acqua, ad Alexandria, perché lì non sanno fare nulla se non piantare cetrioli e costruire gufi di latta, mentre lui è un uomo d’azione.

Ha passato la notte in bianco, perché, all’apparenza, lui è sovrumano e non ha bisogno di dormire come noi altri.

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Gli altri si svegliano e fanno colazione come tutti i comuni mortali, mentre lui no: scuoia scoiattoli, marmotte e serpenti, pronto ad allestire una dispensa degna della cucina di Masterchef.

Incurante degli sguardi lascivi delle sciure di Alexandria, che non vedevano un uomo così da prima dell’apocalisse, si dedica a vari lavoretti di bricolage, tra cui affilare frecce per la sua balestra, aggiustare carillon, costruire in legno massello il corredino bebè della Spaccaculi (ora ha un corredo che le servirà fino al quarto anno di matrimonio).

E, così, viene l’ora di pranzo. Siccome è un asociale e non sa neanche cucinarsi uno spaghetto, scrocca un invito ad Aron ed Eric, che, rassegnati, ormai l’hanno adottato nella forma perfetta di famiglia arcobaleno.

Mentre tutti si dedicano alla sacrosanta pennica post pranzo, lui si colpevolizza per aver mangiato troppo, è tutta colpa sua se Sophia, Merle, Hershel, Beth, molti di quelli della prigione, gran parte di Woodbury, quella sfigata della sorella di Sherry – che pensa sia una buona idea abbracciare un cadavere che non si sa quanto sia morto sul serio – e molti altri che non ricordo sono morti. Daryl Dixon porta sulle spalle tutto il peso del mondo, anche se nessuno gliel’ha chiesto.

Ma questo è tipico delle persone di animo sensibile: si sentono sempre in colpa.

Va in missione solitaria con una moto che fa un casino pazzesco, perché, anche se attrae gli zombie, lui è figo abbastanza da non morire mai e mentre tutti camminano in punta di piedi, lui, quando passa, sembra il carosello sulla via centrale del paese quando vince l’Italia.

Niente, non gli succede niente. D’altronde lui è Daryl, mica Eugene.

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Torna carico di ricchi premi e cotillon, ma vigliacco se ha trovato l’agognata stecca di sigarette. No, lui solo medicine, generi di prima necessità e, probabilmente, quel delizioso peluche di Peppa Pig che, sicuramente, a Judith piacerà da impazzire.

Ormai è l’imbrunire, guarda da lontano Carol e Rick che confabulano su strategie e potenziali omicidi di massa, li mira e ammira, non è dato sapere chi, tra i due, sia il vero oggetto del desiderio del nostro eroe. E non è nemmeno importante.

Daryl, sveglio da circa 49 ore, si risiede sul portico fighetto della casa ad Alexandria e, mentre cala la notte, fissa la comunità con sguardo gelido, distaccato, perché tanto non ha più niente da perdere e, soprattutto, è consapevole che resterà davvero, come ha profetizzato Beth, “the last man standing”.

D’altronde, se non ce la fa Daryl Dixon, chi mai potrebbe?

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