Arriva un momento, nella vita di tutti, in cui si hanno delle rivelazioni folgoranti: come quando si incontra la persona giusta, quando ci si rende conto che l’estate è alle porte e non sarai pronta alla prova costume e, quindi, decidi di scofanarti l’ennesimo barattolo di Nutella in barba a tutto, o quando, al casello dell’Autostrada del Sole il 14 di agosto alle 4:30 del mattino, capisci dolorosamente che quella che pensavi sarebbe stata una partenza intelligente, in realtà, di intelligente non ha nulla. O quando ti rendi conto di essere una malata di Serie Tv.
Per anni ho guardato Serie Tv per mero passatempo: da ragazzina macinavo quelle americane anni ’90 tipo La Tata o Beverly Hills, all’università, commentavo le puntate di Dawson’s Creek con le mie amiche, i primi tempi della convivenza con quello che sarebbe diventato mio marito, ancora privi di Sky, recuperammo e completammo Serie Tv storiche come Friends o Ally McBeal.
Ma tutto era normale, sotto controllo, non c’era niente di inquietante nei miei comportamenti e reazioni. Se perdevo una puntata, pazienza.
Poi ho iniziato a vedere The Walking Dead, commettendo uno dei più madornali errori della mia vita.
Ho iniziato a recuperarlo tardi, durante la mia maternità, perché cosa c’è di più rasserenante e confortante di vedere dei poveri disperati tentare di sopravvivere all’apocalisse zombie mentre tu fai all’uncinetto il corredo del pupo (che, poi, avremmo scoperto essere due pupi al prezzo di uno)?
Via via che le puntate passavano, notavo un inspiegabile attaccamento verso personaggi di pura fantasia, nonché un’insaziabile sete di vedere cosa succedeva dopo: una puntata dopo l’altra, una vera maratona.
Finalmente in pari con le stagioni, io e mio marito abbiamo iniziato ad aspettare con un filo di ansia la messa in onda della nuova, credo fosse la quarta. A ottobre non prendevamo impegni, anzi, lo scrivevamo sul calendario: “Oggi ricomincia TWD!!!” con tanto di faccine sorridenti. Abbiamo instaurato dei veri e propri rituali, per quanto la cosa suoni abbastanza preoccupante.
Durante la messa in onda, difficilmente si parla: sono concessi solo sguardi sgomenti e reazioni di sorpresa. Finita la puntata, di solito ce la riguardiamo per essere sicuri sicuri di non esserci persi qualche dettaglio. A volte ci capita di rivederla anche una terza volta, magari fermando la registrazione e commentando le scene salienti. I dibattiti possono durare un tempo infinito, anche ore, se non siamo d’accordo, con tanto di moviolone in stile Biscardi.
Avrei dovuto rendermi conto che quello non era un buon segno e, col senno di poi, capire che le nostre vite stavano prendendo una piega malsana.
Abbiamo portato il tutto a un livello superiore con il finale della sesta stagione e la mazzata anonima di Negan. Chi aveva ucciso? Perché giocavano così coi nostri sentimenti? Come avremmo fatto fino a ottobre 2016 con questo dubbio?
Per sei mesi, da aprile ad ottobre, la mia icona di Facebook non venne mai cambiata: non ci furono foto dei miei figli, scritte buffe tipo “Keep calm e mangiati una panzanella” o gattini vaporosi. No, per sei mesi, alla mia veneranda età, la mia icona fu Daryl Dixon, perché speravo che quel sacrificio (?) servisse a salvarlo dallo psicopatico in giacca di pelle. Giuro che non sono pazza, almeno credo.
E questo non era ancora niente: parliamo di mesi trascorsi a stalkerare i profili social degli attori per capire che progetti avevano a parte TWD, a rivedere fotogramma per fotogramma la scena finale nella speranza di cogliere un dettaglio che mi facesse capire chi fosse il prescelto, a cercare su YouTube tutti i fan video con le teorie più disparate, solo per rendermi conto che, di fatto, nessuno sapeva chi sarebbe morto.
Ma non bastava: ormai avevamo le potenzialità per portare il trash di famiglia a un livello superiore.
Per cui sì, quella fatidica domenica notte, in barba al successivo lunedì lavorativo, ci siamo svegliati alle 2.30 e, in pigiama, ci siamo seduti sul divano e ci siamo dati la mano, manco dovessimo intraprendere un viaggio spirituale. Ormai sapevamo perfettamente chi sarebbe morto, ma fu lo stesso come perdere un amico, anzi due. Abbiamo pianto e ci siamo abbracciati, mio marito mi passava Kleenex su Kleenex, confortandomi con delicati pat pat sulla spalla.
In quel momento, in una vera epifania, mi sono resa conto che quella per le Serie Tv per noi ormai non era più un’innocente passione, una passeggiata nel parco, qualcosa che si vedeva per un’oretta per staccare dalla realtà.
No, quella era un’ossessione che ci aveva trascinato in un nuovo girone infernale dantesco: quello dei serial addicted, perché di lì a poco, la nostra ossessione (per fortuna la condivido con mio marito, perché se lui fosse stato appassionato di tressette col morto, la nostra relazione sarebbe stata seriamente messa alla prova) si è estesa a tantissime altre Serie, fino a perdere il controllo.
E, ora, non possiamo più tornare indietro.
Ciao, sono Bruna, e sono una malata di Serie Tv.
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