Siamo ormai arrivati anche al termine della decima stagione con questa puntata di The Walking Dead 10×15. Purtroppo per l’ultimo episodio ufficiale dovremo aspettare la fine dell’emergenza internazionale (leggi qui la notizia).
Questo pre-finale di stagione avrebbe avuto tutte le carte in regole per essere un vero e proprio final season. Sono stati 41 minuti più che intensi quelli di The Walking Dead 10×15. Sono stati minuti in cui abbiamo dovuto conoscere un nuovo personaggio, cercare di capire quali fossero i piani dei due schieramenti. Sono stati minuti in cui abbiamo dovuto perdonare, in cui abbiamo amato, pianto e odiato.
Dopo l’episodio precedente basato sull’accettazione di se stessi e degli altri (qui la recensione), il filo conduttore di questa puntata sembra essere la volontà di avere una Casa. Casa intesa non solo come abitazione o come rifugio sicuro in cui tornare, ma Casa come gruppo di persone da amare, proteggere e con cui condividere gli avvenimenti.
Le storylines hanno un denominatore comune in tutti gli scenari. Che sia un vecchio ospedale che “puzza di pipì di gatto”, che sia un bosco, che sia una città deserta con un campo minato, non importa. I nostri protagonisti sono in guerra da tanto, troppo tempo e cominciano ad accusare il colpo morale, emozionale e fisico.
Benvenuta Principessa!
La prima storyline che ci parla di “Casa” è dedicata all’introduzione di un nuovo personaggio divenuto presto il simbolo del riscatto e della necessità reale dell’uomo di avere una vita sociale.
La ragazza dal look stravagante (già conosciuta dai lettori del fumetto, quindi da me no) non parte con il piede giusto. Ironizza sul titolo di “Regina” che potrebbe farla sembrare vecchia e presuntuosa davanti ad Ezekiel, fa scappare i cavalli, appare decisamente disturbata e instabile (Perché sprechi munizioni in quel modo? Perché pensi di avere allucinazioni? Perché non ti nascondi dagli altri esseri umani? Perché urli? Perché vuoi che gli zombie riproducano attività umane?), conduce i nostri in un campo minato. Ma.. ormai lo sappiamo. Non solo i personaggi hanno imparato a familiarizzare con le impressioni sui nuovi arrivati, ci comportiamo così anche noi. Sappiamo a prima vista di chi possiamo provare a fidarci e di chi no.
Principessa ci piace, o per lo meno, non ci sembra una minaccia. Lo capiamo dalla sua chiara distinzione tra un attacco e una presentazione, dall’assenza di paura nel mostrarsi (vuol dire che non ha niente da nascondere e/o perdere). Vuole dimostrare il suo valore, è sola, le dispiace sinceramente quando fa scappare i cavalli e quando non ricorda la strada del campo minato, ma più importante di tutto: ammette le sue colpe.
Il suo “parlare a cuore aperto” a tratti ci innervosisce, a tratti ci incuriosisce. Yumiko ed Ezekiel sono come l’angioletto e il diavoletto appoggiati sulle spalle di chi deve prendere decisioni. L’ago della bilancia per una volta è in mano a Eugene, perché quella che stanno per affrontare è la sua missione. A conti fatti Principessa ha consegnato il suo fucile, ha mantenuto la parola sul garage e li ha condotti al sicuro.
In cambio chiede solo di poter far parte della missione, quindi della famiglia, per avere di nuovo uno scopo.
La seconda storyline di The Walking Dead 10×15 è dedicata agli “ancora un po’ emarginati”: Negan e Lydia. Per nessuno dei due abbiamo assistito al reinserimento “ufficiale” in società, ma di una cosa siamo sicuri: se sono lì è perché ci vogliono stare e perché sono stati accettati. Entrambi avevano la possibilità di andarsene, di pensare di costruire qualcosa di nuovo altrove, invece sono rimasti.
Tutti e due hanno ferite importanti da rimarginare, lacrime da versare, parole da dire e, sotto sotto, sanno di poter contare sull’altro. Hanno bisogno di riscoprire la propria vita senza i fardelli che erano soliti portare. Lydia ha sempre avuto l’ombra di sua madre da temere e spostare da se stessa; Negan deve liberarsi della sua identità di “nemico” dopo il lungo cammino del perdono percorso.
A entrambi serve un posto in cui fermarsi, un luogo da chiamare “casa“, persone da chiamare “famiglia“. Non è un caso che sia Judith la prima a dire “mi dispiace per tua mamma” a Lydia. In queste parole bisogna notare che Daryl poco dopo dirà: “c’è un sacco di gente là dentro che farebbe di tutto per te e un giorno, quando sarai più grande, avranno bisogno che tu faccia qualcosa per loro” come a sottolineare che prima o poi sarà Judith a guidare le comunità. Inoltre Lydia, nel suo dialogo con Carol a Hilltop, disse che non c’erano più persone in grado di guardarti negli occhi e dirti frasi del genere. Ma le persone non sono bambini, sono solo adulti. I bambini sanno essere più trasparenti, sanno incoraggiare, sanno farti sentire a “casa“, ma hanno anche bisogno di certezze. L’unica certezza di Judith in questo momento è Daryl e lei ha bisogno di stargli vicino, di imparare quello che sa fare lui, “nel caso succedesse qualcosa”.
L’altra storyline è dedicata invece a esploratori, cacciatori, a coloro che sono fuori in prima linea a controllare i confini (Daryl e Judith), cercare beni di necessità (Carol e Kelly) e attuare piani (Alden e Aaron).
Il nostro gruppo ha un piano che ci viene svelato con il proseguire della puntata. Alexandria è stata svuotata e tutti i suoi abitanti si sono rifugiati in un vecchio ospedale. Sotto lo stesso tetto ogni personalità si è ritrovata a dover convivere con gli altri, volente o nolente. Così vediamo Negan andare a caccia di opossum, Carol proporsi per una missione richiesta da Luke. Qualcuno custodisce i bambini, Gabriel cerca di imparare la lingua dei segni. “Ognuno ha un compito“, l’eterna saggezza di Hershel traspare ancora sotto le azioni di ogni singolo individuo.
Quella situazione così surreale e buia ha comunque un sapore di “casa”. Le persone possono convivere e sopravvivere in qualunque situazione se sanno di poter contare l’una sull’altra. Ce lo ricordano anche le parole nostalgiche di Daryl rivolte alla radio di Michonne “abbiamo un piano per chiudere la cosa, un piano che credo ti piacerebbe. Essere in fuga, farcela a malapena mi ricorda la vecchia banda. Sembrano passati secoli“.
Come in un beffardo segno del destino, Daryl prova a comunicare con Michonne e parla di “vecchia banda” mentre gli zombie distruggono la loro casa fisica, quella costruita con sforzi e patimenti. Vedere Alexandria completamente invasa ci fa male, ci disgusta. Sembrano le immagini esattamente opposte ai sogni di Rick, Maggie, Ezekiel ai tempi della guerra con i Salvatori.
“Io non posso guardare oltre, ma posso combattere qui, cercare di fare in modo di non perdere di nuovo per Gracie e Adam. Costi quel che costi.”
Le parole di Aaron rafforzano l’importanza del presente. Se ti fermi a pensare a cosa hai perso o agli errori commessi, come Carol con Kelly, non puoi andare avanti. Se ti siedi a guardare il futuro, non puoi lavorare per arrivarci. Quindi ognuno ha il suo compito, o ognuno ha il suo superpotere, e deve metterlo a servizio degli altri per continuare a costruire ciò che tutti desiderano: una Casa.
“Pensi che il tuo modo di essere sia una debolezza? Quello è il tuo superpotere. Non puoi rinunciare a ciò che sei perché accadono brutte cose.”
C’è la necessità di imparare tutto ciò che di bello e brutto c’è nel mondo. Daryl accetta di portare Judith con sé, ma le parla chiaro: non esistono solo le emozioni positive. Un cacciatore impara come riconoscere un vagante, impara ad osservare e a valutare, ma non deve avere dubbi davanti alla morte e non deve avere paura della verità (“stava morendo, meglio fare in fretta“).
Il filo conduttore dell’episodio, ovvero la necessità intrinseca dell’uomo di avere un gruppo sociale a cui appartenere, avvolge anche i Sussurratori.
Beta ascolta e invoca più volte Alpha perché ha bisogno di sapere che lei lo sta ancora guidando. Sente nei lamenti dei vaganti la sua voce, pretende di trovare la strada e la ricompensa sulla base di vere e proprie allucinazioni uditive. E’ talmente forte la sua abnegazione che riconosce ad Alpha il merito del suo intuito (non andare a Oceanside).
Ma ancora una volta i nostri vengono elevati dal punto di vista morale perché non sono caduti nell’oblio della disperazione. Costruendo, e non distruggendo come fa la mandria, hanno creato una Casa. Accogliendo, e non uccidendo, hanno scoperto i loro leader perché “niente può prendere il posto di qualcuno che ami e non c’è più, ma questo non significa che tutto ciò che accadrà ti spezzerà il cuore”.
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