The Walking Dead, nel corso della sua storia, ci ha abituati a vari episodi più introspettivi che d’azione. Servono per farci conoscere i personaggi, per raccontarci qualcosa che non sapevamo, per farci tirare un sospiro di sollievo o, al contrario, per metterci un po’ di agitazione.
Che effetto fa questo episodio?
E’ difficile da spiegare. Si comincia con una Carol più solare, che sa di aver perso di vista molte cose, ma che sembra pronta a ricominciare davvero. Una scena divertente (la moto che non parte, le battute e le frecciatine), un dialogo carico di significato e un gesto, quello di rimettere la cartina di Daryl al suo posto nella tasca esterna dello zaino, su cui aleggiano note di positività.
La realtà però è un’altra. “Sembra diverso, come se tutto ciò che c’è di buono nel mondo non fosse più dalla nostra parte“.
“Cercami” è un continuo scambio di opinioni e pensieri. Da “toccherà anche noi prima o poi” a “solo se glielo permettiamo“, da fedeltà indistruttibili a dipendenze date da un mondo che soffre e cade a pezzi, da amicizie profonde a rivendicazioni dolorose, da legami stretti a persone ormai perse.
Quindi, alla fine, dell’episodio cosa ci rimane?
Una storia. La storia di Daryl, di Leah e della loro ricerca di una ragione più vitale per continuare a camminare sulla Terra. Fin dal primo momento in cui Cane ci conduce alla casetta nel bosco abbiamo la netta sensazione che scopriremo qualcosa che non ci piacerà.
L’atmosfera è cupa, non che sia una novità nel mondo di The Walking Dead, ma è un “cupo” diverso, più malinconico, con un sapore che sa di sconfitta, non di morte.
Quella storia ci viene mostrata adesso, ma appartiene a un passato ormai lontano, come tiene a sottolineare Daryl. Un passato in cui c’erano incontri regolari con una Carol-fantasma, molto diversa da quella della prima scena della puntata. Un passato in cui osserviamo la ricerca del corpo di Rick, osserviamo tempeste, il primo incontro con Cane, la rabbia, la costruzione della mappa.
La timeline dell’episodio scorre veloce, passano anni, passano mesi. Una cartina nuova, Cane che cresce, la conoscenza di Leah, la continua esplorazione del fiume, poi la pesca, la foto rotta, la baita nel bosco che diventa “casa“. E poi il cuore che si apre:
“Da allora non ho più visto anima viva, finchè non sei arrivato tu. Tu chi hai perso?”
“Mio fratello”
Un’altra storia che ci viene raccontata è quella che ormai conosciamo molto bene: quella di Daryl e Carol. I due sono legati da sempre da qualcosa di più di una semplice amicizia. Sono forti, tenaci, apparentemente indistruttibili. Eppure in questo episodio ci sembrano entrambi appesi a un filo. Forse è vero che la fortuna li ha abbandonati o forse è vero che adesso, più che mai, si sente la mancanza di qualcuno che li possa guidare.
La figura di Rick, rievocata più volte in questi 40 minuti, è una necessità che aleggia sempre di più nei cuori di chi è rimasto.
I nostri personaggi sono stati in grado di di vincere contro Alpha, contro Beta, contro il fuoco che ha distrutto Hilltop e ogni altro posto da chiamare “casa”. Hanno tirato avanti, sono sopravvissuti, hanno combattuto. Ma manca sempre qualcosa. Sempre.
Manca un posto. “Qual è il tuo posto Daryl?” “Non lo so“. La verità è che il posto di Daryl non è ad Alexandria, non è nella casetta nel bosco, non è una capanna sul fiume. Il posto di Daryl, così come il posto di tutti i personaggi che amiamo è in un solo luogo. Al fianco di quel leader che manca ormai da troppo tempo.
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