L’episodio di The Walking Dead 11×04 ricomincia praticamente dove si era interrotto l’11×02 e segue le orme di Daryl che, richiamato il suo Cane, prosegue la fuga dai nuovi nemici nel bosco, in solitaria. In un primo momento riesce a depistare i suoi inseguitori, poi combatte violentemente con uno di essi aiutato dal suo fedele amico, ma successivamente Cane viene allontanato e lui rimane intrappolato in una situazione a dir poco scomodissima. E così abbiamo una nuova visione del nostro protagonista: le torture, la cella, lo sguardo di una persona amata tantissimo tempo prima e delle parole “il nostro capo non sarà così gentile” che suonano come veleno.
Leah ci viene riproposta sotto le spoglie di una donna che non è più la stessa che Daryl aveva incontrato in mezzo al bosco. Dal canto suo Daryl non è più l’uomo incappucciato che lei aveva incontrato e che era tornato a cercarla dopo essersi allontanato.
Come spesso accade ci ritroviamo a riflettere sulle nuove comparse e i nuovi personaggi che ci vengono proposti. In questo episodio viene nuovamente evidenziata quella linea sottilissima tra dover uccidere e mettersi a cacciare le persone per farlo.
E’ una linea che nel mondo di The Walking Dead è sempre stata oltrepassata più volte, da più persone, in più momenti. Lo spettatore, come noi, in silenzio, giudica e trae le sue conclusioni per decretare quell’eterna divisione tra “questi sono i buoni, questi sono i cattivi“.
Il nuovo gruppo di persone a cui abbiamo tolto un po’ di maschera durante la puntata sembra abbastanza organizzato. Sono dei validi combattenti, hanno buone armi, non patiscono particolarmente la fame. Sono una famiglia, si chiamano fratelli, ma temono il capo famiglia, il leader, e torturano i prigionieri per avere informazioni. Come se non bastasse inseguono le prede per ucciderle, attaccano prima di essere attaccati e sono convinti di essere dalla parte giusta del mondo, benedetti da un qualche Dio in cui credono ciecamente. Il mix di ingredienti appena descritti è letale applicato a un mondo in cui o sei preda o sei cacciatore (vi ricordate di Terminus?) e in cui le persone oneste scarseggiano da molto, moltissimo tempo.
“Forgiamo dal fuoco” è questo il motto del gruppo presentato nell’episodio.
Pope racconta a Daryl della loro storia prima dell’apocalisse zombie, di quando si chiedeva dove fosse finito Dio, di quando sono stati traditi dai loro stessi datori di lavoro, di quando, illesi, sono riusciti a tornare a casa e a cominciare una nuova vita.
Daryl nel frattempo subisce e ascolta. Mente, non si fa ingannare, regala gli elementi giusti per guadagnare la fiducia di una persona ancora troppo legata a lui per accorgersi degli inganni. Impara, legge le persone come ha sempre fatto, studia i movimenti, capisce chi ha davanti. Osserva in silenzio e trae le sue conclusioni. E intanto lo facciamo anche noi: Pope sembra fin troppo equilibrato per essere un leader saggio e paziente del mondo di The Walking Dead. Se fosse così saggio e paziente i suoi stessi uomini non lo temerebbero.
Anche noi spettatori abbiamo imparato a leggere i personaggi. La sua gente lo teme, chiede in continuazione il suo giudizio, sa che è pericoloso. Lo osserviamo mentre consuma le sue mosse. Pope ha accettato un nuovo membro nel gruppo, un membro su cui tanti hanno ancora delle riserve. Per questo motivo lo deve mettere alla prova: se muore aveva ragione lui, se vive ha un buon motivo per accoglierlo. Ma non succede solo questo. Per rafforzare la sua autorità in un momento in cui rischia di essere messa in discussione deve condannare uno dei suoi uomini per una bugia sgamata da tempo, un po’ come faceva Negan con le sue punizioni. Sempre con il fuoco.
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