L’episodio di The Walking Dead 11×05, contro ogni aspettativa, comincia con Aaron come protagonista. L’uomo è da solo nel bosco con la figlia adottiva Gracie e noi non ci mettiamo molto a capire che ci troviamo dentro un incubo davvero terrificante. Aaron nel suo sogno ripercorre gli ultimi anni e gli ultimi nemici che si sono susseguiti alle porte di casa. Si comincia con un tizio con un W intagliata sulla fronte che gli va incontro in mezzo agli alberi. Ci ricorda i Wolves e i primi veri problemi ad Alexandria. Poi la strada si fa sempre più e cupa, c’è il fischio di Negan che aleggia nell’aria, c’è un vagante che indossa una maschera, ci sono gli ultimi nemici più temibili del nostro gruppo a cui non riusciamo ancora a dare un nome preciso. Gracie nell’incubo sparisce, mentre la disperazione di Aaron cresce e un urlo segna la fine della vita dello stesso tra tante pugnalate al petto.
E’ un modo abbastanza inquietante per cominciare una puntata che non promette nulla di buono. I protagonisti di The Walking Dead sono talmente abituati alle cose orribili di quel mondo che talvolta passa in secondo piano quanto possa essere devastante per una persona vivere delle esperienze del genere. Attraverso gli occhi di Aaron gli autori vogliono per qualche secondo ricordarci che tutto quello che sta per accadere non è altro che l’ennesima tragedia nel mondo dei morti, dove i vivi rimangono umani anche grazie ai traumi che hanno vissuto.
La breccia nel muro di Alexandria non è altro che l’ennesimo segno premonitore di tutto ciò che di negativo può abbattersi su una comunità al momento così fragile e indifesa.
Per quanto si cerchi di mettere una pezza a tutto ciò che cade nell’attesa dei rinforzi, nemmeno sugli altri fronti le cose sembrano andare meglio. Da una parte il Commonwealth ha appena aperto le sue porte ai nuovi arrivati. Pamela Milton ha presentato i suoi progetti agli occhi sospettosi dei nostri quattro protagonisti. Ha assegnato loro un lavoro, una possibilità per cominciare una vita nuova o la speranza di ritrovare qualcuno di caro come Tomi per Yumiko.
Tutti i segnali di speranza e di ripresa vengono immediatamente stroncati da qualche brutta notizia o da qualche resa dei conti negativi. A Hilltop vediamo consumarsi l’umanità di Carol che si piega alle lacrime pur di dimostrare ad Aaron che la violenza non è la risposta giusta al fuoco e allo sterminio che hanno provocato i Sussurratori. Nel prosperoso Commonwealth Stephanie si lascia convincere da Eugene a tentare una comunicazione nei confronti di Rosita e Judith. Per ogni bambino o ragazzino che cerca un modo per non far spegnere la speranza ce ne sono almeno due che possono distruggere tutto in pochi secondi (ricordate i bambini alla prigione?).
E poi ancora Negan e Maggie sono sempre più ai ferri corti. Contano sul rispetto reciproco e sulla possibilità di ammettere di aver bisogno l’uno dell’altro ma le filosofie e gli stili di vita sono ancora abbastanza diversi, anche se talvolta sembrano molto più simili di quanto non si voglia ammettere.
“I pezzi di legno sono belli ma non ne hai bisogno per ricordarti di quanto ti amassero“
Mentre il resto del mondo va in frantumi per fortuna gli autori sono in grado di regalarci ancora qualche briciolo di speranza. La notizia che Connie è viva ci da forza sul suo ritrovamento, perché nessuno di noi ha pensato di non rivederla davvero mai più. Le manine da ricostruire e il ricordo di Carl ci riportano dritti dritti a quando passare le ultime ore di vita con la sorellina era la cosa più importante al mondo, ancora più importante di combattere una guerra molto più grande di un giovane ragazzo. La speranza che infonde Rosita a Judith è ciò di cui abbiamo bisogno anche noi, la tenerezza di Lydia nei confronti di Keith ci parla di un’umanità ancora presente nel cuore di chi ha deciso di non farsi sopraffare dalla morte e il tentativo disperato di Stephanie apre la via a quella che possibilmente sarà l’ultima grande rivoluzione di The Walking Dead.
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