Vi capita mai di pensare alla scena di una serie tv, magari guardata un bel po’ di anni fa, in modo così nitido da sembrare un vero e proprio ricordo vostro? Come se non l’aveste semplicemente guardata, ma vissuta in prima persona. A me è capitato più di una volta, ma solo con quelle serie che del mio vissuto in qualche modo sono diventate parte attiva. Ricordo così bene la scena in cui abbiamo scoperto della morte di Prue Halliwell in Streghe, che per la me bambina era casa. Ancora, ricordo in questo modo lo sfogo della madre di Finn dopo la morte del figlio in Glee, serie che mi ha accompagnata in tutta l’adolescenza. Ultima ma non per importanza, è questo lo spazio che occupa nella mia memoria la scena della presunta morte di Glenn Rhee, un personaggio del cuore in The Walking Dead.
Pensare a quella scena mi fa un effetto strano. Prima di tutto mi riporta esattamente dov’ero quando l’ho vista per la prima volta. Sono sul divano di casa dei miei, lato bracciolo sinistro, il posto perfetto perché comodo per l’appoggio e centrale per la visione della tv. Alla mia destra c’è Valeria, la cugina con la quale ormai da un po’ condivido i lunedì sera, quelli della visione di The Walking Dead in lingua originale. Perché no, noi non possiamo assolutamente aspettare più del minimo indispensabile per guardarla. Noi siamo di quelle spettatrici voraci che passano l’estate nell’attesa che l’autunno ci riporti le nostre serie, e si dà il caso che la storia di Rick, Carl, Glenn e compagnia sia proprio nostra. Sono su quel divano, guardo la tv e i “NO” mio e di Valeria scattano all’unisono. Ma non sono solo lì, essere lì non basta.
È come se fossi anche dentro la tv, ricordo ogni immagine come se insieme a Glenn ci fossi stata anche io.
È la puntata 6×03, Grazie. Glenn e Nicholas, che non ci piace poi tanto, stanno scappando dai vaganti ma vengono accerchiati. Ce li hanno davanti, ce li hanno dall’altro lato della rete sulla quale cercano di arrampicarsi. Ce li hanno dappertutto, e sono tantissimi. Infiniti contro due, è palese che le cose si stiano mettendo maluccio. Combattono come possono, poi salgono su un cassonetto, un riparo che sarebbe esagerato anche definire di fortuna. Più che un rifugio, sembra una trappola. Ci sono mille mani grigiastre che cercano di afferrare le loro caviglie, mille bocche in putrefazione dalle quali escono solo lamenti, mai parole. Nicholas dà segni di cedimento, Glenn cerca di farlo riprendere. “Look at me“, gli urla provando a catturare la sua attenzione. Ma la mente di Nicholas non c’è più: “Thank you” dà il titolo all’episodio ed è l’unica cosa che gli risponde prima di spararsi alla testa.
Il corpo di Nicholas vola giù dal cassonetto portando con sé Glenn, che cade al suolo con la faccia sporca di sangue. I vaganti afferrano, strappano e mangiano senza sosta, senza la stanchezza che non possono più provare. Circondano il cassonetto e circondano Glenn, che non vede via di scampo. Non la vediamo neanche noi, che siamo con lui pur senza esserci davvero. Per la bellezza di quattro puntate Glenn non si vede più e noi crediamo che sia morto, anche se qualcuno, dentro e fuori dai personaggi che della serie sono parte davvero, non si rassegna. Lo ritroviamo solo nella puntata 7, quando scopriamo che è riuscito a cavarsela nascondendosi sotto il cassonetto, con il corpo di Nicholas a fargli da coperta salvavita. Glenn ha ancora tempo, poco, ma questo ancora non lo sappiamo. Per noi invece ormai è troppo tardi.
The Walking Dead ci ha fatto davvero male.
Decidere di cominciare a guardare una serie post-apocalittica incentrata sulla sopravvivenza di un gruppo di persone in un mondo composto prettamente da vaganti zombie è un’arma a doppio taglio. Se da un lato infatti può essere garanzia di adrenalina, dall’altro comporta il rischio di affezionarsi davvero ai personaggi e alle loro storie. Ma se i personaggi vivono per l’appunto in un mondo così pericoloso, le probabilità che un giorno ci troveremo a dire addio anche a quelli ai quali siamo parecchio affezionati sono più che concrete. Nella sua tristezza, la possibilità che uno tra i protagonisti muoia in un contesto del genere è anche sinonimo di serietà del racconto, e in questo posso affermare con certezza che The Walking Dead, per quanto a un certo punto abbia perso buona parte di ciò che la rendeva davvero unica, non ci ha mai deluso.
L’episodio 6×03 non è certo il primo in cui abbiamo visto – o creduto di vedere – uno tra i personaggi principali morire tragicamente. Il finale della seconda stagione aveva fatto terminare il percorso di Sophia, perduta a inizio stagione e ritrovata sottoforma di vagante, e del nemico-amico Shane. Nella stagione successiva era stata Lori a perdere la vita dopo il parto. Nella quarta stagione era toccato invece a Hershel, all’inizio non il più affabile della serie ma poi sempre più amabile e amato. Glenn stesso aveva già rischiato la vita mille volte. Insomma, di morti più o meno improvvise e toccanti se ne erano già viste, e se ne sarebbero viste ancora. Prima fra tutti proprio quella vera di Glenn. Ma per quanto quella della sua morte sia tra le scene più difficili da reggere dell’intera serialità, la sensazione di sgomento e vulnerabilità che segue la 6×03 è un’altra cosa.
La presunta morte di Glenn ci consegna una triste verità: nessuno è salvo. Mai.
Crediamo sempre di saperlo quando guardiamo una serie tv. Crediamo sempre di saperlo anche quando ci barcameniamo tra un problema e l’altro delle nostre vite: tutto può succedere, e può succedere a chiunque. Le cose belle, ma anche quelle peggiori. Crediamo sempre di saperlo fino a quando qualcosa di davvero brutto non succede davvero, e noi restiamo lì immobili. A volte riusciamo a dire quel “No” che a me e Valeria è venuto naturale; altre volte nemmeno questo. Restiamo fermi a fare i conti con il fatto che essere consapevoli della possibilità che succeda qualcosa non ci prepara davvero a viverlo quando effettivamente accade. Soprattutto quando accade a chi meno se lo merita.
E allora può succedere che Glenn, uno dei personaggi sui quali durante il primo episodio di The Walking Dead non avremmo scommesso un euro, diventi un uomo forte e sicuro di sé. Un uomo di quelli rari che sa sopravvivere senza mettere mai in secondo piano la vita altrui. Anzi, rischiando anche la propria per fare quella che ritiene la cosa giusta. Può succedere che questo ragazzo ormai uomo trovi una donna con cui essere felice, e che questa donna resti incinta in un contesto in cui la vita non sembra quasi mai avere la meglio. Può succedere anche che in quello che dovrebbe essere il periodo più felice della sua nuova vita, quest’uomo si ritrovi in piedi su un cassonetto circondato da vaganti, e che poi cada giù.
L’ho già scritto 1000 volte, lo scriverò 1001: ci sono serie tv che vanno ben oltre il semplice intrattenimento.
Serie tv che ci mettono davanti a storie alle quali ci affezioniamo e a emozioni vere, concrete, che sentiamo in tutta la loro profondità. Con la scena della presunta morte di Glenn The Walking Dead non si posiziona semplicemente tra queste, ma fa un ulteriore passo in più: ci mette davanti a tutta la nostra umanità. Ci fa sentire vulnerabili, una sensazione dalla quale spesso tentiamo di fuggire. Perché niente, se ci pensiamo bene, fa più paura della consapevolezza di essere vincibili e di non essere pieni padroni del nostro destino. Ma quando una sensazione arriva da una scena a colpirci così in piena faccia, non c’è fuga che tenga.
Sono passati anni da quella 6×03, e io quella sensazione ancora non l’ho dimenticata. So anche di non essere la sola. Eppure col senno di poi, dopo aver ritrovato Glenn e averlo riperso, io un po’ me la tengo anche stretta: è il brutto e il bello di affezionarsi davvero alle cose. È il brutto e il bello di viverle sul serio, anche quando sono frutto della fantasia.