Sembra esserci una strategia dietro: piuttosto che sviluppare i personaggi in maniera intelligente e indipendente, li mettiamo in coppia, così la tragedia della morte di uno sarà in qualche modo rilevante, e le conseguenze sull’altro avanzeranno il personaggio. Caso lampante è la relazione del buon Tyreese (il cui rapporto con Sasha ho frainteso durante tutta la terza stagione e anche parte della quarta) con la “Tizia di Woodbury”, di cui onestamente ricordo solo i capelli lunghi e scuri, che inizialmente fosse super convinta del posto e pseudo gatta morta del Governatore, e che la sua morte indotta, per quanto attraverso mezzi forse discutibili, ha creato una crisi onestamente inutile.
Però sono costretta a ricordarmela perché “Tiresia” ha asfissiato me e Rick in ogni momento della sua permanenza in prigione con questa storia.
Spesso questo sistema risulta anche superfluo, come credo sia per i personaggi di Bob e di Denise.
Forse ciò è atto a rendere The Walking Dead appetibile a un pubblico ancora più vasto e che senta i suoi desideri narrativi appagati nella generazione, vita e distruzione di coppie. Comprensibile a livello di marketing forse, ma sono momenti che infastidiscono chi nella serie cerca altro, soprattutto ciò che sembrava volesse raccontarci.
A queste dinamiche fastidiose si uniscono lunghe fasi di crisi inutili, di dubbi inconsistenti, ben diversi dai momenti che contribuiscono a creare un clima di incertezza e fragilità totale o una tensione stimolante, ma per analizzarli tutti ci vorrebbero forse addirittura altri due articoli. Alcuni momenti, vedendo la serie tanto rapidamente, hanno forse effettivamente contribuito a costruire più solidi sviluppi futuri. Ma la maggior parte francamente no.
Tuttavia, quando gli elementi funzionano, funzionano davvero molto bene.
Spesso a supporto della scrittura viene il lavoro degli attori, che (almeno in lingua originale) varia dal “valido” all’ “eccellente”. Nella maggior parte dei casi, i problemi concernenti i personaggi partono da come sono stati scritti, non come vengono resi.
Eccellente ad esempio è Norman Reedus. Daryl è un personaggio difficile. Frutto del genio televisivo, sembra creato appositamente per piacere. Duro, indipendente, forte, coraggioso, determinato, inarrestabile eppure tenero, sensibile, leale, fragile. Dare realtà e consistenza a un personaggio simile, senza renderlo uno stereotipo del figo, senza renderlo scontato nel suo essere perennemente interessante, non è semplice. Ma Daryl piace proprio perché è vero. Credi in ogni singola cosa fighissima che fa. Io davvero temo ogni volta che è in pericolo perché ho la sensazione che la sua morte causerebbe la fine dell’universo. Non lo voglio un universo senza Daryl Dixon. Ma probabilmente annegherei nelle lacrime prima di poterlo anche vedere un universo senza Daryl Dixon.
A questo lupo solitario si contrappone per certi aspetti Rick, altro elemento polarizzante dello show. Alla comprensibilissima passione per questo personaggio, si oppone un astio talvolta basato sul simbolo dell’ordine che sembra costituire. Lo sceriffo che riconduce le anime perse alla legge.
Non esattamente.
Rick è un personaggio che si apprezza soprattutto nel tempo. Difficile da rendere proprio perché protagonista, ragazzo-immagine, il “leader” indiscusso e simbolo della legge.
Ma quale legge? L’evoluzione di Rick è proprio quel disperato tentativo di annaspare nel buio per trovare la luce. Non è l’uomo delle risposte: è l’uomo delle proposte e degli sbagli, l’uomo del compromesso in penombra.
Lo sceriffo in divisa che approccia l’apocalisse sul cavallo bianco è caduto dalla sella. Si sono pure mangiati il cavallo. Il modo in cui il suo passato emerge è sempre interessante; emblematico il ritorno in carica ad Alessandria come simbolo dell’anacronismo. E diventa sempre più palese come la legge non possa più venire dall’alto, come la si debba trovare insieme. Ma per ogni tentativo di Rick di creare famiglie, che spaziano dal branco a comunità più complesse, per ogni inquadratura con Judith in braccio, come una specie di madonna dei disperati, creare un nucleo, approcciare l’altro in The Walking Dead non è mai facile.
E anche l’interpretazione di Andrew Lincoln si evolve enormemente nel tempo. La reazione iniziale è stata semplicemente un’alzata di spalle a ogni espressione “intensa”: Andrew ha lasciato da parte i cartelloni con inappropriate dediche amorose ed è passato oltre la friendzone obbligata. Adesso il cartello ce l’ha in fronte. Dice: “Cornuto”. Mi dicono che la sua reazione alla morte di Lori ha dato vita a plurimi memes. Ci credo, ma credo anche che adesso il livello della sua performance sia incontestabile.
Ho sentito fra chi ha seguito la serie pian piano un sentimento di spreco nei confronti del tempo dedicato a Morgan.
Non so se sia un effetto esclusivamente della visione così rapida di The Walking Dead o di gusto personale, però vi dirò che a me interessava molto sapere di Morgan.
Quella terribile puntata che segna il secondo incontro con Rick era stata per me più significativa come perdita della speranza che la morte di Sophia. Mi sembra anche un personaggio con un conflitto interiore ben più valido di altri.
Un altro aspetto su cui mi sono trovata in disaccordo con chi ha seguito la serie a puntate singole è la nascente relazione romantica fra il tostissimo Carl e la ninja adolescente-tipo-del-2009 Enid.
Mi rendo conto che per chi ha aspettato mesi e poi di settimana in settimana questa relazione può sembrare un modo di portare la puntata ai suoi 45 minuti circa, ma a dire il vero mi pare sia una delle poche che funzioni (ovviamente è impossibile non credere nella relazione fra Glenn e Maggie. Contro certe cose non c’è cinismo che regga).
Carl e Enid erano praticamente bambini allo scoppio dell’epidemia. La percezione delle tragedie, ma anche il potenziale di adattabilità sono molto diversi per chi è appena in procinto di uscire dalla bacinella dell’infanzia per iniziare a nuotare nel mare dell’età adulta. Carl e Enid non sono adulti, non hanno avuto il tempo per crearsi un sistema valoriale fisso, per accettare un mondo nel quale sappiano muoversi. Il mondo in cui stanno imparando a muoversi è quello apocalittico, ed il loro diverso modo di crescere appare evidente quando messo a confronto con una Sophia o con quello dei coetanei che avevano goduto di maggiore protezione. E poi io credo ciecamente nello tsunami ormonale adolescenziale.
La relazione dolce, forse un po’ ingenua fra Carl e Enid ha sicuramente più senso delle pippe mentali di Abraham per Sasha, per dire.
Guardare The Walking Dead tutto d’un fiato è un’esperienza che forse non vi farà benissimo, però comunque ve la consiglio, sia se siete già appassionati della serie ma non avete ancora avuto modo di farlo, ma soprattutto se, vedendola a dosi contenute, non vi ha esattamente convinto. Va bene, forse non la vedrete in una settimana, ma se avete modo di dedicarvici ovviando ai lunghi tempi d’attesa dettati dalla messa in onda, forse le perdonerete i suoi sbagli.
La visione generale offre tanto da poter sorpassare, almeno per il momento, gli errori. Soprattutto se avete mollato fra la 4° e la 5° stagione, io vi direi che questa serie merita decisamente un’altra possibilità.
In caso di lamentele, confido che potremo discuterne amorevolmente con il mio Lucien: da quando l’ho adornato con il filo spinato, il bastone di mia nonna ha assunto capacità persuasive davvero formidabili. Provare per credere.