Quando Netflix ha annunciato l’uscita di The Watcher (con la bravissima Naomi Watts), ero a dir poco entusiasta. Avevo appena finito uno dei suoi lavori migliori, Dahmer, e da amante del genere true crime mi sentivo finalmente soddisfatta dall’offerta del catalogo della piattaforma.
Purtroppo sono bastati i primi dieci minuti per rendermi conto che, in realtà, The Watcher di true aveva davvero poco. Come successo altre volte, ero già informata in merito al caso inquietante di quello che in italiano hanno tradotto letteralmente come “l’osservatore”, ma al contrario del Cannibale di Milwaukee, le cose non sono andate proprio come Ryan Murphy ce le ha raccontate.
The Watcher – Una serie alla Ryan Murphy
Il timbro registico e creativo inconfondibile di Ryan Murphy è più che evidente in The Watcher, anche troppo oserei dire. Se una serie come Dahmer me l’ha ricordato a tratti, spingendomi più che altro ad appassionarmi alla storia, The Watcher mi ha ricordato più opere come American Horror Story. E qual è il problema, vi domanderete voi?
Il problema è che in questo caso stiamo parlando di un evento realmente avvenuto (che il regista ha creato ispirandosi a un articolo di Reeves Wiedeman per il New York Magazine), che avrei preferito venisse trattato un po’ meno in maniera finta. Murphy lo mette in chiaro fin da subito: i personaggi sono estremamente costruiti e assurdi, ma un assurdo diverso dall’incredulità che possiamo avere di fronte agli atti ad esempio del cannibale. L’assurdità in questo caso sta nel loro essere troppo personaggi, troppo strani, troppo ambigui e costruiti per essere così nello stesso luogo e allo stesso tempo.
La storia vera dietro The Watcher
Tutto ha inizio nel 2014, quando i coniugi Derek e Maria Broaddus (i romanzati Brannock della seria interpretati da Naomi Watts e Bobby Cannavale) acquistano una casa da sogno a Westfield, in New Jersey. Nulla sembra poter andare storto, tant’è che nello stesso anno finiscono anche di fare tutti i lavori di ristrutturazione, che portano il valore del gioiellino immobiliare situato al 657 Boulevard a ben 1,3 milioni di dollari. Ovviamente se questa situazione fosse proseguita in questo modo non ci sarebbe stata una storia da raccontare, e proprio come nella serie (questa parte è piuttosto attendibile) i coniugi ricevono la prima di una serie di strane lettere.
«Carissimo nuovo vicino del 657 di Boulevard Street, permettimi di darti il benvenuto nel quartiere» comincia la lettera, lasciando presagire un bizzarro benvenuto che però ben presto si trasforma in qualcosa di molto più losco.
«Sapete cosa si nasconde tra le mura del 657 Boulevard? – chiede l’interlocutore – Non volete rendere infelice il 657 Boulevard». La parte che inoltre ha destabilizzato di più i coniugi, che sono immediatamente andati alla polizia (senza ottere nulla di fatto) è stata quella che si riferiva ai figli come al «sangue giovane che ho richiesto».
Ryan Murphy prende una storia inquietante per renderla ancora più assurda
Insomma, come avrete potuto notare, la base della storia non è stata totalmente fatta a pezzi da Murphy, il problema principale risiede quanto più nella sua costruzione e nella caratterizzazione dei personaggi. Alcune scene, come ad esempio quella in cui il padre di famiglia viene sorpreso con la presunta amante. Oppure quelle della figlia con l’addetto alla sicurezza e il filone del razzismo, sono totalmente inventate dalla mente di Murphy.
I Broaddus avevano effettivamente dei vicini ambigui, tant’è che a un certo punto sono davvero finiti nella lista dei sospettati. Sospettati, per così dire, visto che nessuno ha mai effettivamente fatto nulla a riguardo. Tuttavia, come molti di voi avranno capito, la loro caratterizzazione è stata totalmente estremizzata. Pearl e Jasper non esistono e sono probabilmente una libera reinterpretazione della famiglia Langford, che risiedeva vicino alla casa dei Broaddus dagli anni ’60. All’interno della vera famiglia Langford vi era infatti il figlio, Michael, un uomo di sessant’anni che era solito sbirciare attraverso le finestre dei vicini, ma che sicuramente non si all’interno della casa.
Mitch e Mo, sono invece ispirati a una strana coppia che viveva nella casa di fronte e che era solita posizionarsi con le sdraio rivolte verso il giardino dei Broaddus. Su di loro ovviamente non vi è nessun suggerimento su tutto ciò che riguarda la storia della setta, la sparatoria del figlio e via dicendo.
John Graff, l’insegnante e l’agente immobiliare
Come abbiamo visto, la fantasia di Ryan Murphy si è vista in praticamente l’80% delle puntate. Al contrario della serie su Dahmer, che ripeto resta forse il suo miglior lavoro, The Watcher non avrebbe problemi ad essere confusa con una stagione di American Horror Story.
Anche il personaggio di John Graff, che in seguito dice di chiamarsi William Webster, non centra assolutamente nulla con le vicende dei Broaddus. O meglio, John è ispirato a un personaggio realmente esistito, e che ha effettivamente ucciso madre, moglie e i tre figli nella loro casa a Westfield, ma che non ha mai messo piede nella casa dei Broaddus ne è stato mai minimamente associato ad essi (non può neanche essere The Watcher perché era in prigione negli anni degli eventi). Seguono poi altri personaggi, come l’insegnate Kaplow, che realmente scriveva lettere d’amore alle case, ma non a quella magione. Karen, l’agente immobiliare non è mai esistita, così come Theodora.
Perché penso ad American Horror Story
Nella serie vediamo l’animale domestico del bambino orribilmente ucciso, così come il cane di Karen. Passiamo poi per la scoperta di tunnel sotterranei, fino a continui estranei in casa.
Insomma, Murphy si è sbizzarrito, attingendo al suo repertorio per costruire un intrattenimento horror che portasse avanti le fila del racconto per 7 puntate. Lo stile registico, così come quello narrativo, non sono assolutamente la parte che mi ha disturbata di più. Anzi, le ho trovate molto coerenti con quello che è il Murphy’s Style (passatemi il termine). Ciò che forse mi ha impedito di godere a pieno della serie è stata l’aspettativa. Innanzitutto venivo da Dahmer, che è stata definita dagli stessi parenti delle vittime come incredibilmente veritiera (segnatevelo, perché non capita quasi mai) e inoltre era riuscito a trasmettermi quel senso di angoscia vero che solo una serie true crime fatta bene riesce a veicolare.
The Watcher manca proprio in tutto questo: prende una mezza verità, così come fosse una sorta di storia metropolitana e ne fa un prodotto di finzione (proprio come American Horror Story), lo fa uscire a poca distanza da una serie dello stesso genere, e ci racconta qualche mezza verità condita da tante storielle per allungare il brodo.
Insomma, la serie tv si guarda e a tratti si apprezza anche, anche grazie alla presenza di Naomi Watts, ma forse avrei preferito vederla senza conoscere i fatti e senza aspettarmi un altro piccolo capolavoro come quello che è stato il caso Dahmer.