Solitamente quando si inizia a raccontare una serie, e in questo caso stiamo parlando di una GRANDISSIMA serie, viene comodo introdurla spiegando di che cosa parla: The Wire non te lo permette.
Può essere vista come la storia di un gruppo di lavoro, un poliziesco, uno spaccato di psicologia sociale, un focus sulla cultura afroamericana, un’inchiesta sulla droga, una metafora della corruzione dell’uomo e tante altre cose ancora, perciò il consiglio che voglio dare fin da subito a chi sta leggendo queste righe è di procurarsela di corsa e divorarla nel minor tempo possibile, così che possiate scegliere voi il tema ricorrente che più vi aggrada. Mi ringrazierete.
La location è quella di Baltimora, una città molto difficile della costa Est degli Stati Uniti dove la lotta tra crimine e legge imperversa da molto tempo, con il primo in netto vantaggio sulla seconda. Il problema principale è sicuramente quello della droga, o meglio, dell’enorme potere di cui i trafficanti godono grazie ai loro legami con la politica, che però è anche colei che finanzia e promuove le iniziative della polizia venendo a creare una dialettica di tipo gattopardesco in cui tra sovvenzioni statali e tangenti tutto cambia in continuazione, lasciando le cose così come sono.
Se per caso la parte più impulsiva di voi ha appena proferito una frase tipo : “esattamente come nella vita reale”, vi conviene ascoltarla perché ha ragione.
The Wire è vero. Ti porta lì, sulla strada, dove puoi sentire lo smog entrarti nei polmoni, vedere il fumo uscire dai tombini, udire il suono impetuoso della musica Hip-Hop avvicinarsi e poi allontanarsi insieme al SUV da cui proveniva e calpestare una siringa su un marciapiede; è questa la sua enorme forza, è questo il motivo per cui è impossibile non innamorarsene alla follia.
E i personaggi? Beh su ognuno di quelli si potrebbe scrivere una trilogia di romanzi.
Il protagonista è Jimmy McNulty, un figlio di buona donna irlandese, totalmente incurante delle regole ma furbo e astuto come un leprecauno, che col suo fido compagno Bunk Moreland fa avanti e indietro per la città ad acciuffare i cattivi, o almeno questa è l’idea perché spesso e volentieri tutto si riduce a prendere all’amo qualche pesce piccolo e sbronzarsi prepotentemente la sera per festeggiare.
Tutto questo fin quando un giudice ambizioso ordina la fondazione di una task force incaricata di indagare sui traffici del più grande boss della droga della città, Avon Barksale, che coadiuvato da suo nipote D’angelo e dal geniale Stringer Bell (indovinate chi lo impersona?) irrora di roba tutta Baltimora.
Ci si aspetterebbe il solito squadrone armato fino ai denti di dispositivi iper-tecnologici e composto da quarantenni biondi e strafighe vogliose di emanciparsi che si vede nei film, peccato che per quello non ci siano i fondi e ai piani alti decidano di affidare alle mani del sagace tenente Daniels il peggior equipaggiamento e il peggior personale di tutto il ristretto, più l’indisciplinato McNulty. Insomma, la volontà chiara del potere è far fallire quell’esperimento illudendo gli elettori di averci provato, peccato che all’interno di quella squadra si nascondano alcuni ottimi poliziotti, come ad esempio Lester Freamon, uno che da giovane sarebbe potuto diventare un pezzo grosso se solo non avesse pestato i piedi alla gente sbagliata venendo spedito all’ufficio pegni a fare la muffa per ben 13 anni, oppure la testa calda Ellis Carver, che a parte il temperamento e qualche brutta decisione presa rimane un ottimo elemento su cui contare e tanti altri ancora. Ben presto i risultati arrivano e c’è chi inizia a sperare che da quel gruppo possa davvero nascere il progresso di cui Baltimora necessita!
William Rawls ed Ervin Burrell, i due grandi uomini corrotti del dipartimento, si rendono velocemente conto che quel gruppo potrebbe sconvolgere gli equilibri e tenteranno di mettergli i bastoni tra le ruote in tutti i modi nel corso delle 5 stagioni, ma non vi svelerò altro.
Questo per quanto riguarda i “buoni”, e i cattivi dove sono finiti?
La strada è appannaggio della malavita afroamericana, che attraverso la sua cultura fatta di machismo e omertà (incredibilmente simile a quella mafiosa) controlla saldamente i bassifondi e i quartieri popolari, con conseguenze nefaste per le classi meno abbienti che sono molto spesso protagoniste o vittime di casi di omicidio, stupro, violenza e, ovviamente, droga. Figure come quella di Bubbles ci mostrano quanto possa essere distruttivo l’effetto dell’eroina su una persona, anzi, su una BELLA persona, mentre a partire da Bodie per arrivare al predetto Avon possiamo ammirare la semantica e la forma mentis di chi vede lo spaccio come un business ed è disposto a fare letteralmente di tutto per arraffare più quattrini possibili.
Vi sono poi alcuni battitori liberi che nel corso della storia si inseriranno prepotentemente parteggiando a volte per l’una a volte per l’altra fazione e tra essi è impossibile non menzionare Omar Little, la leggenda fischiettante: parliamo di un ladro e un assassino omosessuale (non ve l’ho detto? questo gioiellino televisivo è clamorosamente avanti anche sotto il punto di vista della sessualità) che si aggira per i vicoli con il suo fucile a pompa e un giubbotto antiproiettile, scatenando il caos e fungendo molto spesso da elemento decisivo per stabilire l’esito di uno scontro.
Vi rendete conto di come tutto questo sia incredibilmente verosimile, specie nel mondo così improbabile e pittoresco di oggi? Sostanzialmente ci si può soffermare su ogni fotogramma per fare riflessioni e chiederci cosa avremmo fatto noi in quel determinato momento, con quel degrado sociale e quel peso sulle spalle. Tosto vero? Si, ma anche magnetico.
Eravate stati avvisati qualche riga fa: questa serie ha un numero incredibile di sfaccettature e negare a voi stessi di provare a coglierne almeno qualcuna è un crimine su cui il cinico realismo di The Wire non può soprassedere.