La mattina di Natale è sbarcata su Netflix The Witcher: Blood Origin, una miniserie che funge da prequel rispetto alle avventure di Geralt e di tutti i personaggi che popolano il Continente ideato dallo scrittore polacco Andrzej Sapkowski. Ambientata 1500 anni prima degli eventi raccontati da The Witcher, Blood Origin, in particolare, si pone l’obiettivo di indagare sulla genesi di due fenomeni della grandissima importanza e sino ad ora avvolti nel mistero che hanno cambiato per sempre il mondo: la creazione del primo Witcher e l’enigmatica Congiunzione delle Sfere, grande cataclisma magico, al termine del quale creature provenienti da diversi mondi, tra cui umani e mostri, rimasero bloccate in questo.
Composta da quattro episodi che vanno dai 40 minuti a un’ora, la miniserie Netflix non nasconde una certa ambizione, volendo portare in scena, almeno nelle intenzioni, un prodotto che possa rivaleggiare con le altre produzioni fantasy del momento e che possa far riaccendere l’attenzione dello spettatore nei confronti del mondo in cui si ambienta la storia di Geralt in attesa della terza stagione e dopo la grave e discussa notizia dell’abbandono di Henry Cavill dal progetto, gesto che ha getto nel panico molti tra i fan del brand.
Senza ulteriori indugi vi lasciamo con la nostra recensione di The Witcher: Blood Origin. Allerta spoiler su tutta la stagione.
Il potere di una grande storia sulla gente: questo il filo che segue tutta la narrazione di Blood Origin e che già anticipa, per alcuni aspetti, tematiche che sicuramente verranno riprese dalla terza stagione della serie madre. D’altra parte, la presenza dell’amatissimo bardo Ranuncolo, già anticipata dall’ultimo trailer, nella cornice della vicenda, ne è simbolo lampante: una storia necessita di essere riscoperta, una storia capace di ispirare le azioni di molti. Ma questa storia merita davvero di essere rispolverata e cantata ovunque?
Le premesse portate in scena sono sicuramente intriganti, così come gli ingredienti proposti dalla narrazione: sette eroi dalle origini e dalle storie diverse che si ritrovano uniti da un obiettivo comune, sfidando il sistema e creando qualcosa destinato a mutare le sorti del mondo. Troviamo infatti due protagonisti Fjall e Éile, l’Allodola, (Laurence O’Fuarain e Sophia Brown), la maestra di spada Scian (una sempre brava Michelle Yeoh), Callan, detto anche Fratello Morte, i maghi gemelli celesti Zacaré e Syndril e la nana Meldof. Tra intrighi e azione, Blood Origin avrebbe davvero tante cose da dire, ma, a causa di una durata eccessivamente risicata e a dinamiche troppo frettolose, molto spesso fallisce nel portare in scena storie appassionanti e personaggi per cui tifare ed emozionarsi.
A causa di una sceneggiatura molto spesso troppo superficiale, infatti, per il pubblico diviene davvero difficile identificarsi con i tanti personaggi introdotti man mano dalla narrazione, senza nulla togliere alla loro recitazione. Tra repentini cambi nella caratterizzazione dei protagonisti (che in poco tempo passano dall’odio all’amore), che cambiano idea su questioni di vitale importanza davvero troppo rapidamente, e cattivi dalle motivazioni e dalle indoli poco significative (come il Balor di Lenny Henry), Blood Origin non riesce mai a toccare i picchi emotivi a cui altre serie fantasy, tra cui The Witcher stessa, ci hanno abituato, nonostante alcune scene che vorrebbero scavare nel profondo.
L’impressione che se ne trae è infatti quella secondo cui, tagliando dalla trama generale alcuni personaggi, la storia sarebbe risultata altrettanto scorrevole. Tra forzature e scelte narrative che puntano più sul raccontare a parole (grazie a comparse loquaci e chiacchierone che ci fanno tornare in mente l’o’dimo di Boris) che sul mostrare le conseguenze delle azioni dei malvagi e di altri particolari scenari, la serie non brilla in quanto a sceneggiatura, ma potrebbe risultare scorrevole per chi è alla ricerca di un prodotto in cui privilegiare l’azione e il ritmo rispetto al resto. Altro elemento che, purtroppo, finisce con lo stonare è, inoltre, la scelta da parte della serie di avvalersi, molto spesso in maniera eccessiva e poco elegante, di un narratore onnisciente, cosa che porta la serie a diventare fin troppo didascalica, andando a ribadire l’ovvio o sottolineando aspetti che il pubblico era già riuscito a cogliere senza nulla aggiungere.
A migliorare The Witcher: Blood Origin non aiuta, d’altra parte, il comparto tecnico che porta in scena una CGI davvero poco curata anche per un prodotto seriale.
I mostri, gli sfondi dei green-screen e le magie che affollano il Continente riescono infatti ad abbattere il patto di sospensione dell’incredulità dello spettatore. Un vero peccato se si pensa alle prodezze a cui, anche di recente, siamo riusciti ad assistere nel corso di alcune serie tv fantasy come in House of The Dragon e ne Gli Anelli del Potere. Se a ciò aggiungiamo una regia che, salvo alcune eccezioni, non dimostra particolari guizzi, ma si rivela a tratti confusa nelle scene di combattimento e una fotografia che non riesce a farsi notare, possiamo dire che, dal punto di vista tecnico, la serie non ha saputo conquistarci, nonostante un’ottima colonna sonora e un certo gusto per le ambientazioni naturali dove avvengono molte riprese degli esterni.
Nemmeno la resa estetica della serie però è da promuovere completamente: soprattutto se si vanno a considerare costumi, trucchi e scenografie, Blood Origin non riesce a convincere particolarmente. Basti pensare anche solo alla società elfica che impariamo a conoscere di puntata in puntata: essa non pare infatti avere nulla di diverso rispetto alla civiltà umana che troveremo all’apice del potere 1500 anni dopo da quanto verificatosi in questa miniserie. Ciò non ci permette di comprendere il reale scorrere del tempo e porta a un generale appiattimento visivo della serie: nonostante i nomi delle ambientazioni cambino, l’impressione è che non molto sia davvero mutato.
Aspetto che poi non piacerà per nulla ai lettori della saga di Sapkowski e ai videogiocatori dei giochi della CD Project Red è quello di aver scelto di introdurre in questa miniserie alcuni personaggi molto importanti per la saga, come Eredin e Avallac’h, (che, come mostrato dalla serie Netflix stessa, sicuramente rivedremo in futuro) ma con delle caratterizzazioni che si discostano notevolmente da quelle originali. Ciò che più infastidisce è il fatto di essere stati posti di fronte alla necessità di vedere spiegato il fenomeno della Convergenza delle Sfere e della creazione del primo Witcher senza che ciò in realtà venga davvero spiegato nello specifico. La trasformazione di Fjall nel primo Witcher è infatti fin troppo rapida e le conseguenze di tale atto, rivelatosi mal concepito e ancora inesatto, non trovano una spiegazione dettagliata, così come quelle della Convergenza, che viene liquidata in poche parole dal narratore.
Ciò che ne emerge dunque non è un effettivo approfondimento per due tra gli eventi più misteriosi e interessanti di tutta la narrazione di Sapkowski, quanto lo sbrigativo epilogo di una storia a tratti troppo frettolosa che lancia a sua volta nuove piste per il futuro a partire dalle profezie di Ithlinne, già elemento cardine per tutta la saga di The Witcher.
Nonostante le nostre perplessità e ritrosie circa la riuscita dell’operazione e la bassa ricezione subita dalla serie su Rotten Tomatoes e altri aggregatori di recensione, siamo però certi che Blood Origin possa essere comunque riuscita nel suo intento primigenio: intrattenere per qualche ora parte del pubblico di riferimento di The Witcher e, grazie a tanta azione e alcuni interessanti spunti dietro alla mitologia della serie, preparare lo spettatore al ritorno di Geralt, Ciri, Ranuncolo e Yennefer ma al contempo anche a quello di Avallac’h e di Eredin. Orfani, nel bene o nel male, anche di questo prodotto seriale fantasy, a noi non resta che attendere pazientemente l’arrivo della terza stagione sulle avventure dello Strigo e sul destino del Continente nell’estate 2023 su Netflix.