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The Witcher è migliorata facendo meno

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Il 17 dicembre scorso, The Witcher è tornata con la sua seconda stagione, di cui vi abbiamo parlato nella nostra recensione. Atteso da molti, questo secondo capitolo non solo ha portato avanti le avventure di Geralt, Yennefer e Ciri, ma ha anche limato le perplessità del passato. Difatti, nonostante fosse stata godibile, la prima stagione era incappata in diversi errori, deludendo in parte le aspettative che si erano venute a creare prima del suo esordio. Vediamo in che modo.

Dopo la fine di Game of Thrones, molti spettatori speravano di poter apprezzare nuovamente un un prodotto fantasy, popolato da personaggi di spessore ed elementi sovrannaturali credibili. Pur essendo diverso da quello dello show HBO, il mondo di The Witcher offre tutto questo: personalità interessanti, giochi di potere, conflitti razziali e creature magiche. Lo show è poi ambientato in un universo pseudo-medievale dalla mitologia antica e intricata, in cui folklore slavo, nordico e celtico si fondono insieme creando un contesto decisamente intrigante. L’atmosfera che impregna lo show è infatti oscura e fumosa, drammatica e avvincente. E sì certo, non priva di occasionali momenti imbarazzanti, ma comunque fedele allo spirito dei romanzi, così come lo è la struttura narrativa.

La prima stagione trae infatti ispirazione dai primi romanzi di Andrzej Sapkowski, due raccolte di racconti che inizialmente erano stati pubblicati sulla rivista polacca Fantastika.

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È solo in un secondo momento che, realizzato il successo del suo personaggio, Sapkowski ha deciso di dare una certa cronologia agli eventi della sua creazione. Tuttavia, nonostante questa operazione, l’autore ha continuato ad affidarsi a flashback e salti temporali, proponendo un intreccio che trova la sua concretezza solo con il progredire della lettura.

Dall’andamento frenetico e frammentato, la prima stagione segue la stessa direzione intrapresa da Sapkowski: nel corso dei primi otto episodi, The Witcher ha proposto infatti tre linee temporali diverse che, pur ricongiungendosi alla fine della stagione, hanno creato diversi problemi agli spettatori non familiari con il materiale originale. Se infatti i fan dei romanzi e videogiochi sono riusciti a seguire l’intricata sequela di avvenimenti, coloro che si sono avvicinati per la prima volta alla storia di Geralt sono stati sopraffatti da eventi e nozioni apparentemente privi di continuità. Inoltre, se si considera la presenza di alcuni personaggi virtualmente immortali e dall’aspetto immutabile, è chiaro quanto possa essere stato difficile riconoscere le varie timeline.

Ma la mancanza di linearità non è stata l’unica pecca della prima stagione di The Witcher.

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Difatti, la produzione ha ricorso spesso a dialoghi poveri e incomprensibili, ritmi non sempre sostenuti, così come tinte trash di cui gli scrittori avrebbero potuto fare a meno, mantenendo un’atmosfera più cruda e verosimile. Anche in termini di impianto visivo lo show si è dimostrato traballante, nonostante un budget affatto indifferente (circa 10 milioni di dollari a episodio). Mentre gli ambienti e gli scorci paesaggistici sanno incantare, la CGI usata per le creature magiche è piuttosto deludente, salvo forse la strige affrontata da Geralt nell’episodio “Luna Traditrice“.

Un vero peccato, soprattutto se si considera la bravura di Henry Cavill nelle scene di combattimento. E non solo! L’attore ha dimostrato infatti di essere il perfetto Geralt, portando sullo schermo il suo pacato stoicismo e asciutto sarcasmo, così come un grave vissuto che è emerso in poche ma significative scene. The Witcher non è infatti solo mostri e azione: è una storia di emozioni e conflitti interiori, di obblighi morali e crudeltà. Di un mondo spietato e cinico, in cui i personaggi cercano di sopravvivere con i mezzi a loro disposizione, che siano decisioni morali ma impopolari, inganni subdoli ma necessari. E di tanto in tanto quella empatia che, nel Continente, è più unica che rara.

Dunque, nonostante i suoi limiti, la prima stagione non è stata un fallimento, quanto più un inizio incerto con ancora un margine di miglioramento che, fortunatamente, è arrivato con la seconda stagione.

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Pur avendo ancora alcuni difetti di scrittura, il nuovo capitolo si è saputo perfezionare, dando prova di quanto la showrunner abbia ascoltato l’opinione e le perplessità del pubblico. Difatti, oltre al miglioramento degli effetti speciali, costumi e make-up, sono stati fatti passi avanti anche dal punto di vista strutturale. La narrazione – frammentaria e caotica nella prima stagione – è diventata più lineare. Senza i salti temporali e la confusione generata da essi, la storia è risultata molto più omogenea e coinvolgente. E soprattutto pronta ad avanzare per portarci in un nuovo capitolo insieme ai personaggi che ormai conosciamo.

Ciò che ne è scaturita è una maggiore maturità: lo show ha iniziato infatti a prendersi molto più sul serio, dando maggior spazio al percorso dei protagonisti piuttosto che all’azione (che è comunque piacevolmente intessuta nella narrazione), all’interazione fra le varie personalità piuttosto che a scene di nudo fine a se stesse. E anche a una comicità che, seppur sempre presente, si è dimostrata più soppesata e meno tendente al cringe.

Dunque, facendo meno ed evitando un approccio all’avanguardia, The Witcher ha fatto un considerevole salto di qualità.

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Ma ciò non significa che non sia stato portato niente di nuovo nella show, anzi. Grazie a un ritmo più avvincente e lineare, quello che prima era un racconto di introduzione si è trasformato in un mosaico delle varie forze in gioco per tutto il Continente. È proprio in questo quadro geopolitico in pieno tumulto che i protagonisti hanno intrapreso un percorso di evoluzione, mostrandoci così la loro complessità. Difatti, mentre le drammatiche vicende di Yennefer erano state esplorate a fondo nella prima stagione, quelle di Geralt e Ciri avevano ancora un certo margine per essere approfondite.

Ed è proprio questo ciò che è successo nella seconda stagione. Grazie ai temi di destino e famiglia, Geralt ha avuto la possibilità di mostrarsi per quello che è veramente: non un mutante freddo e spietato, ma un uomo che prova emozioni come chiunque altro (nonostante non lo dia sempre a vedere). E che farebbe qualsiasi cosa per chi ama, dalla sua famiglia a Kaer Morhen fino a Ciri, la figlia che non aveva chiesto ma che finirà per proteggere con la sua stessa vita.

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E parlando di Ciri, la principessa di Cintra si è rivelata la vera sorpresa della stagione. La Hissrich ha deciso infatti di porre un maggior focus sul personaggio, che ha affrontato un importante percorso di maturazione: pur conservando le paure e incertezze del passato, grazie alla guida di Geralt riuscirà a crescere e fortificarsi, imparando a gestire il suo potere e ad affrontare il Continente. Un mondo oscuro che, mentre darà qualcosa a Geralt e Ciri, toglierà a Yennefer.

In questa stagione, la maga infatti perde la sua magia, ritrovandosi così in una realtà in cui non sa più quale sia il suo posto o valore. Privata del suo potere – e convinta di non avere più una possibilità di creare una famiglia – Yen affronta un cammino difficile e costellato di errori. Un capitolo di apparente involuzione che, pur non essendo stato gestito sempre nei migliori dei modi, è riuscito comunque a catturare il pubblico grazie alla bravura di Anya Chalotra che, come sempre, sa catturare l’essenza del personaggio.

Messa da parte la patina artigianale del passato, The Witcher riesce finalmente ad abbracciare un’epica più moderna e convincente, mostrandoci l’oscurità e decadenza del suo universo narrativo, senza però perdere il suo cuore.

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Il rapporto fra Geralt e Ciri è ciò che più di tutto ci ha mostrato il lato emotivo dello show, così come quello fra lo strigo e Vesemir (il cui passato è stata esplorato in The Witcher: Nightmare of the Wolf), un patriarca che, nonostante gli errori, si è rivelato un personaggio umano e convincente. Parlando di nuove e vecchie conoscenze, purtroppo non tutte hanno avuto lo spazio che si sarebbero meritate, ma se non altro hanno contribuito ad arricchire una stagione che ha innalzato le sue ambizioni, mettendo in scena una regia più gradevole e impregnando le vicende con tematiche perfette per la storia raccontata. Il senso d’onore, la famiglia, il destino. L’amicizia, il desiderio di affermarsi, così come quello di trovare il proprio posto in un mondo pericoloso e impietoso.

Una realtà in cui i mostri da affrontare non sono sempre così riconoscibili. Perché, d’altronde, cosa qualifica davvero un mostro? Uccidere per nutrirsi in accordo con la propria natura, compiere azioni inammissibili per il proprio tornaconto? Oppure avere un potere talmente grande da essere in grado di fare qualsiasi cosa? Se così fosse, anche i protagonisti dovrebbero essere considerati dei mostri: Yennefer ha manipolato il prossimo innumerevoli volte, Geralt ha ucciso centinaia di uomini e con il suo potere Ciri ha seminato morte e distruzione. Eppure ci è difficile odiare i protagonisti, non perché di parte ma perché consapevoli di quanto siano molto più di quello che appare.

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Ed è anche questo ciò che ha reso questa seconda stagione di The Witcher così avvincente. L’universo dello show non si basa su un pensiero dicotomico, fra bianco e nero, giusto o sbagliato, buono o cattivo. La realtà è ben più sfumata e sfaccettata, così come lo sono i personaggi e le relazioni che instaurano fra loro. Ogni creatura – umana o mostruosa – che cammina sul Continente è molto più di ciò che sembra. O molto meno di quanto voglia apparire. E noi non vediamo l’ora di saperne di più nella prossima stagione che, dopo questo entusiasmante capitolo, ci auguriamo possa essere ugualmente travolgente.

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