ATTENZIONE: l’articolo contiene spoiler su The Witcher.
Approdata su Netflix il 7 dicembre scorso, la seconda stagione di The Witcher si è rivelata più eccitante e piacevole di quanto potessimo immaginare (qui troverete la nostra recensione). Dopo un’attesa di ben due anni, la serie creata da Lauren Schmidt Hissrich è tornata infatti con un entusiasmante secondo capitolo, molto più denso e ambizioso rispetto al precedente. Attraverso vecchie e nuove conoscenze, gli spettatori sono stati catapultati ancora una volta nella realtà del Continente, un mondo pericoloso dalla mitologia antica e oscura, oltre che contraddistinto da una situazione socio-politica intricata. La Congiunzione delle Sfere, la Caccia Selvaggia, giochi di potere tra re e maghi, il conflitto razziale fra elfi e umani: nel corso dei nuovi episodi è stata messa tanta carne sul fuoco, entusiasmando i fan di vecchia data e forse prendendo alla provvista coloro che non sono familiari con i romanzi e i videogiochi.
Tuttavia, questa ricco assortimento di informazioni è stato essenziale per dare maggior corpo allo show. Difatti, il primo ciclo di episodi – per quanto godibile – si era rivelato tutto fuorché perfetto. Fra timeline confuse, dialoghi spesso poveri e una CGI perlopiù scadente, la serie ispirata ai romanzi di Andrzej Sapkowski aveva sollevato alcune perplessità negli spettatori, intrigati dalla premessa ma dubbiosi sul futuro dello show. Fortunatamente, con la seconda stagione The Witcher ha saputo rimediare ai suoi errori: portando avanti la storia con maggior linearità, ha infatti provato quanto questo universo narrativo abbia ancora molto da offrire, che sia attraverso l’evoluzione dei suoi personaggi o le tematiche che impregnano le varie vicende.
Ed è proprio di questo aspetto di The Witcher che vi vogliamo parlare oggi.
Se mettiamo da parte la morale di fondo che riecheggia in ogni episodio, è chiaro quanto uno dei temi più importanti dello show sia il destino, la cui prospettiva si fa ancora più ampia ora che la formula del racconto è stata abbandonata. Difatti, in questa seconda stagione il fato non è più solo un monito ricorrente ma una vera e propria forza motrice. Ineluttabile, si pone alla base della mitologia dello show, così come degli eventi raccontati: basti pensare alla Legge della Sorpresa, al ruolo dei witcher nel mondo, alle profezie, così come alle manipolazioni di Voleth Meir, la Madre Immortale che spingerà ben tre personaggi a compiere azioni che ne tracceranno il futuro.
Lo stesso protagonista titolare si ritroverà ad accogliere il suo destino dopo una stagione in cui aveva fatto di tutto pur di evitarlo. Nel primo ciclo di episodi, il Geralt che avevamo conosciuto era infatti un witcher solitario e diffidente, il cui unico scopo era quello di cacciare mostri e ricevere denaro in cambio. Ma nonostante i grugniti, le imprecazioni e la stoica indifferenza, il personaggio di Henry Cavill è sempre stato in realtà un protettore. Un paladino dell’umanità il cui desiderio di fare del bene è stato lentamente distrutto dall’odio e il pregiudizio incontrati sulla sua strada. Ed è così che il witcher decide di limitarsi alla sopravvivenza, di non immischiarsi negli affari di corte. Di non scegliere fra un male minore o maggiore.
Ma per quanto nel Continente sia diffusa la convinzione che gli strighi non provino emozioni, in realtà è esattamente il contrario.
Come qualunque altra creatura vivente, Geralt ama e soffre, prova odio e compassione. Sa essere brutale, ma anche onorevole e giusto. Il protagonista ha infatti agito più volte come la bussola morale dello show, mostrandoci non solo quanto i mostri non vestano sempre zanne e artigli, ma anche la sua profondità. Dunque, nonostante i tentativi di vivere una vita solitaria e senza problemi, Geralt non potrà sfuggire al suo destino. Non solo perché è qualcosa di già scritto, ma perché incapace di ignorare la sua natura più vera e profonda, riemersa con forza dopo l’incontro con Ciri.
Paradossalmente, il suo iniziale rifiuto di reclamare la Bambina Sorpresa sarà ciò lo spingerà sempre di più verso il suo destino, attraverso avventure che lo porteranno a incontrare personaggi fondamentali per la sua storia, Yennefer in primis. La maga diventerà infatti una costante nell’esistenza di Geralt, facendogli inoltre comprendere quanto sia grande la responsabilità che ha deciso di ignorare. Una responsabilità vincolata al destino che gli era stata anticipata da altre figure femminili nello show: a Blaviken, Renfri gli aveva infatti profetizzato l’incontro con la ragazza nel bosco. Nel regno di Temeria, Triss Merigold gli aveva invece sottolineato l’impossibilità di vivere una vita senza l’influenza del destino:
You say this is all life is to you. But there is a vortex of fate around all of us, Geralt, growing with each and every one of our choices, drawing our destinies in closer. I feel something out there waits for you, something more”
E come volevasi dimostrare, il destino aveva davvero riservato qualcosa di più per Geralt.
Un cammino difficile e impervio in compagnia di una principessa in fuga, determinato dal fato ma allo stesso tempo scelto dallo strigo. E qui arriviamo a quello che si può considerare un eterno dilemma nel mondo del Continente (così come che nel nostro): la nostra vita è un libro già scritto, oppure un’insieme di scelte determinate dal libero arbitrio? Siamo trasportati dalla corrente mentre il fato ci spinge verso la nostra strada, o abbiamo il potere di decidere quale cammino intraprendere? Le risposte nello show sono molteplici: c’è chi pensa che certi incontri siano determinati dal destino, chi lo considera come l’incarnazione del desiderio dell’anima di crescere, e chi invece sia convinto che sia solo un mezzo con il quale le persone cercano di dare un senso a un mondo insensato.
Ciò che è sicuro, è che in The Witcher ogni decisione, che sia tessuta dal fato o dalla propria volontà, ha le sue conseguenze. E anche se il più delle volte il costo da pagare è sangue e morte, in altre occasioni lo show ci ha mostrato come scegliere l’onore porti a risvolti ben diversi: amore, senso di appartenenza, famiglia. Ed è proprio la famiglia che, insieme al destino, ha definito i nuovi episodi dello show.
Si tratta infatti di un filo rosso che connette ogni episodio, mettendo in luce l’elemento più emotivo di The Witcher.
In questa stagione ancor più che nella prima, i personaggi sono infatti alla ricerca di un senso di appartenenza in un mondo in cui ognuno sembra pensare solo a se stesso. Lo vediamo nella controversa storia d’amore tra Nivellen e la bruxa, nel desiderio di Francesca Findabair di assicurare un futuro alla figlia e al suo popolo, così come in quello di Fringilla di coltivare un’amicizia con la leader degli elfi (assicurandosi così anche una posizione di potere a Nilfgaard).
Ovviamente, lo stesso si può dire dei tre protagonisti principali.
Partiamo da Ciri: strappata dalla sua casa e legata a un destino che fatica a comprendere, la ragazza lotta fra il ricordo di ciò che ha perso e la nuova vita che si è creata a Kaer Morhen. Ma pur trovando amore e affetto in Geralt, Vesemir e gli altri witcher, non potrà che continuare a sentirsi persa e indifesa. Nonostante abbia a disposizione un potere enorme e il potenziale per diventare una grande guerriera, non sa ancora quale sia il suo posto nel mondo. Tormentata da questo senso di impotenza e incertezza, cercherà un modo per dimenticarsi del dolore, delle bugie che hanno macchiato la sua esistenza. Purtroppo, come le verrà ricordato dallo strigo di Rivia, non esiste una scorciatoia che possa annullare il passato, o che possa eliminare ciò che siamo. L’unico modo per sopravvivere – o meglio per tornare a vivere – è lasciare andare l’odio che proviamo, attaccandoci a ciò che è reale. E nel caso di Ciri non si tratta della famiglia che ha perso, ma di quella che ha trovato.
Così come la principessa, anche Yennefer cercherà un modo per affrontare le sue perdite.
Nella seconda stagione, la maga sembra aver abbandonato la speranza di avere un figlio, così come quella di una storia d’amore con Geralt. Dunque, una volta persa la sua connessione con il Chaos, si convincerà che l’unica cosa che le è rimasta sia il potere. Ma ancor prima dei risvolti dell’episodio finale, diventerà chiaro quanto Yennefer sia molto di più della sua magia, così come quanto il suo cuore brami ancora una famiglia, un luogo sicuro in cui amare e sentirsi amata. Non c’è dunque da stupirsi se Voleth Meir la manipolerà proprio attraverso una visione di una possibile vita felice con Geralt. Così come non c’è da sorprendersi se alla fine la maga tornerà indietro sui suoi passi, incapace di fare del male a Ciri.
Difatti, una volta arrivata alla resa dei conti la donna capirà quanto l’unico modo per guarire le sue ferite non sia la magia, ma qualcuno da amare e proteggere. Qualcuno che le faccia sentire quella scintilla che aveva perso dopo la Battaglia di Sodden, e forse anche prima di allora. Dunque, nello scontro con la Madre Immortale non sarà il suo egoismo a prevalere, o la brama di potere, ma un amore premuroso, sancito da un sacrificio di sangue. Così come era successo con la maledizione di Nivellen, amore e sangue saranno la chiave per il successo dei nostri eroi. Due strumenti dall’immenso potere, efficaci solo se i sentimenti provati sono reali. E nonostante i disguidi, le incomprensioni e i tradimenti, l’amore che Yennefer prova è autentico, sia nei confronti di Geralt che in quelli di Ciri. Da un lato l’amante che non la fa sentire così sola, dall’altra la figlia che non ha mai potuto avere, ma per la quale cercherà di essere una madre.
Per quanto riguarda Geralt, è il personaggio che più di tutti ci ha mostrato l’importanza della famiglia.
Avevamo già potuto capire quanto non fosse un assassino senza emozioni, ma una vittima di un mondo che lo aveva creato per poi odiarlo. Sapevamo anche quanto gli strighi fossero una razza in via d’estinzione, sempre più piccola e in pericolo. Ma ciò che ancora non avevamo visto era il legame che unisce questi mutanti tanto disprezzati quanto incompresi. Nella suggestiva Kaer Morhen assistiamo infatti all’incontro di fratelli che sono stati cresciuti insieme da un padre unito a loro dallo stesso destino. Attraverso le interazioni con Vesemir e gli altri witcher, scopriamo dunque un Geralt diverso: un uomo con un cuore pulsante, riflessivo, intellettuale, quasi giocoso.
Dunque, in questa stagione l’umanità del protagonista emerge maggiormente, mostrandoci quanto sia disposto a tutto pur di proteggere coloro che ama. Si tratta di un cambiamento che era già iniziato grazie all’incontro con Yennefer, ma che diventa ancora più chiaro grazie alla presenza della principessa di Cintra. Difatti, una volta accettato il suo destino Geralt inizierà ad agire non solo in nome dell’onore, ma anche in quello dell’amore. Se prima la sua esistenza ruotava solo intorno alla sopravvivenza, ora finalmente c’è qualcosa di più: una ragazza da addestrare così che possa affrontare i pericoli del mondo anche da sola. Una figlia a cui dare una nuova famiglia che, per quanto imperfetta, è reale.
Il rapporto padre/figlia che si è venuto a creare tra Geralt e Ciri è sicuramente uno degli elementi più interessanti della seconda stagione.
La loro dinamica ha arricchito lo show ancor più degli intrighi di corte e i giochi di potere, gettando le basi per una storia che siamo sicuri ci riserverà sorprese, gioie e ostacoli. Difatti, seppur legati da un grande affetto, lo strigo e la principessa sono ancora due sconosciuti che devono imparare a convivere, mentre cercano di capire quale sia la strada giusta da prendere insieme. Se poi si considera il percorso di redenzione che Yennefer dovrà affrontare per farsi perdonare, le cose non potranno che prendere una piega ancor più interessante. Non ci resta dunque che aspettare la terza stagione di The Witcher (di cui Freya Allan ha già visto dei copioni), augurandoci di ritrovare ciò che ha reso questo capitolo così intrigante: avventura e azione, intrighi e tradimenti. Amori impossibili e rapporti umani capaci di toccare le corde del nostro cuore.