Il seguente articolo contiene SPOILER sulla seconda stagione di Them.
La seconda stagione di Them, serie antologica targata Prime Video dalle tinte horror, ha ribadito la forza del concept ideato da Little Marvin. Dalla trama forse ci si aspettava qualcosa di più coerente, eppure il risultato è stato comunque sorprendente, a modo suo. La storia di Them 2 è ambientata a Los Angeles nel 1991 durante gli scontri razziali di quel periodo, ma questo capitolo non è stato in grado di ricostruire al meglio la follia razzista che avevamo visto nella prima stagione. Little Marvin ha preferito dare continuità al suo progetto ribaltando completamente l’immaginario che aveva minuziosamente costruito. La narrativa di Them, tuttavia, non ha bisogno di ripetersi o di restare agganciata a un unico filone per stupire. La forza di questa serie, così come fu nel primo capitolo, è la sua regia. Una regia asfissiante e priva di scrupoli, capace di sballottare lo spettatore tra cruda realtà e follia pura.
Rispetto alla prima stagione, Them 2 ha puntato più sulla narrativa che sul simbolismo, ricercando un’identità ben precisa
Non a caso, il secondo capitolo dell’opera antologica di Little Marvin ha un sottotitolo inequivocabile: The Scare, la paura. Fin dal primo episodio l’atmosfera è molto diversa rispetto a quella della prima stagione. C’è di mezzo un caso intricato, la protagonista è una detective e il nemico sembra essere in carne e ossa. Quando la detective Dawn Reeve, interpretata da Deborah Ayorinde (stessa interprete della prima stagione) entra nell’appartamento della prima vittima, abbiamo subito l’impressione che il focus si sia spostato su una più classica rincorsa al serial killer. Questa sensazione prosegue con le prime vittime, tutte appartenenti a minoranze etniche e tutte brutalmente uccise con lo stesso modus operandi. Sembrerebbe dunque di avere a che fare con un assassino seriale accecato dall’odio in una Los Angeles profondamente razzista. Ma ciò che si profila sullo sfondo della L.A. dei primi Novanta è invece molto più vicino all’horror di quanto non sia stato il primo capitolo della serie.
Dawn Reeve entra nella casa della prima vittima e spalanca al pubblico le porte di un incubo agghiacciante, che presto diventerà il suo.
Ciò che resta impresso nella mente dello spettatore sono i dettagli mostrati sulla prima scena del crimine. Tutto viene raccontato senza filtri, chi guarda viene messo immediatamente di fronte alla brutalità. In questo senso, Them decide di rivelarsi subito rispetto alla prima stagione, in cui il male è stato mostrato pezzo dopo pezzo. La camera segue la detective Reeve nella scoperta del palcoscenico più macabro, lo stesso su cui si concluderà la storia. L’enorme quantità di dettagli presenti nella casa affidataria fa capire che quella non sarà l’ultima visita per il pubblico. Little Marvin ha voluto mettere il pubblico alla prova immediatamente, rallentando i tempi narrativi e lasciando parlare la messinscena affinché lo spettatore avesse subito un primo contatto diretto con la mente della protagonista.
La regia dell’opera di Little Marvin è poliedrica: gioca con lo spazio e con il tempo intrappolando il pubblico in un incubo a occhi aperti
In questo senso è emblematica la scena in cui Dawn rincorre la seconda (futura) vittima del serial killer. Il più classico degli inseguimenti di un police drama enfatizzato all’ennesima potenza dalla scelta della camera a mano. Tutto ciò accade nel primo episodio e riassume ciò che Them 2 si prefissa di mostrare: la paura. La paura degli ultimi, le vittime, di non sopravvivere in una società deprimente, anti progressista. La stessa paura che ha sempre infestato la mente della protagonista ma che non si era mai palesata prima d’ora e che ha cominciato a infettarla lentamente. La seconda stagione di Them, da un punto di vista registico, è forse più matura e consapevole: richiama una propria identità senza preoccuparsi di cadere nei cliché del genere che affronta. Prende un po’ da un genere e un po’ dall’altro, posizionando tutto nell’ordine corretto.
Un inseguimento da capogiro lascia spazio alla profondità dei luoghi chiusi. Gli spazi sono prevalentemente ampi ma la sensazione più immediata è quella di un angosciante soffocamento. Them 2 si serve di una messinscena intrigante, capace di catturare immagini forti che, sommate con l’incredibile lavoro svolto sul sonoro, restituiscono un’atmosfera angosciante. In particolare, ogni volta che la scena passa dalla realtà all’esoterismo, il suono ricorrente richiama lo spegnimento dei riflettori. Dalla realtà disumana della Los Angeles degli anni Novanta si passa improvvisamente a una dimensione esoterica, un palcoscenico teatrale in cui la paura è l’unica mattatrice. Le lunghe carrellate a seguire trascinano lo spettatore nel dramma personale della protagonista, servendosi di un punto di vista realistico in un ambiente surreale e rendendo il tutto ancora più straniante.
In una serie che vuole raccontare la paura, il colore predominante non poteva che essere il rosso
Il vero turning point della seconda stagione di Them è rappresentato dall’improvvisa crasi temporale verso la metà del racconto. Precisamente quando Edmund Gaines, attore disilluso e con evidenti segni di instabilità mentale, si stacca da quella che pareva essere un’unica linea temporale. Edmund è costantemente attorniato dal colore rosso, quello della sua divisa da mascotte di un locale dozzinale, quello sporco della maschera che indossa al provino e quello degli interni della sua auto, quando è sul punto di uccidere per la prima volta. E dal momento in cui Edmund Gaines si stacca dal presente narrativo della serie, il rosso prende il sopravvento anche sulla protagonista. L’unico fattore comune e costante è il colore dei capelli della bambola che tormenta i personaggi principali. Ma è soltanto quando Edmund cessa di esistere all’interno della narrazione che la bambola assume dimensioni demoniache.
Man mano che la trama di Them si avvicina alla propria conclusione, il tutto diventa sempre più incline alla dimensione paranormale. Il rosso intenso che prima aveva solo pre allertato lo spettatore, ora permea completamente la messinscena. La bambola non è più un oggetto, ora è un personaggio a tutti gli effetti. E ogni volta che lo spettro di Edmund si abbatte su quel che resta della sua famiglia, lo fa in modo invasivo, trascinando le sue vittime e gli spettatori in un incubo da cui è impossibile sottrarsi. La seconda stagione di Them ha voluto servirsi di qualunque cliché possibile a modo suo. In termini di trama non si è spinta oltre, non ha cercato niente di nuovo. Ma in quanto serie antologica ha puntato tutto sulla poliedricità e sulla volontà di ribaltare gli stessi canoni di cui si era servita nel primo capitolo.