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La fotografia e la colonna sonora di Them la rendono un piccolo capolavoro

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Riuscire a realizzare un buon prodotto di genere horror senza cadere sul banale o anche soltanto senza ricorrere ad alcun tipo di stereotipo è veramente un’impresa ardua, tuttavia negli ultimi anni sono stati parecchi i casi di film che hanno colpito critica e pubblico per l’originalità, segnando così la nascita di un nuova tendenza più che positiva per un genere che nel tempo ha regalato tante pellicole divenute pietre miliari, sulle quali si sono basate le successive generazioni. E figuriamoci quanto possa essere complesso raccontare un horror in forma seriale, mantenendo costantemente alta l’asticella. Anche in questo senso recentemente qualche prodotto notevole c’è stato, basti pensare a Hill House, l’ancor più recente Midnight Mass, giusto per fare due esempi semplicissimi. Noi di Hall of Series pensiamo che Them, la serie antologica di Little Marvin uscita lo scorso 9 aprile su Amazon Prime Video, abbia tutte le carte in regola per diventare un cult di genere, ed oggi vogliamo provare a spiegarvi perché.

La trama di Them 

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La storia di Them è ambientata nel 1953, nel bel mezzo della Seconda Grande Migrazione, e si sviluppa intorno alle vicende legate agli Emory, una famiglia afroamericana che in seguito ad un terribile accadimento decide di trasferirsi dalla Carolina del Nord fino alla California, più precisamente a Los Angeles in quel di Compton, che a quel tempo era un quartiere profondamente razzista e rigorosamente bianco. La famiglia Emory è composta da Henry, un promettente ingegnere, Lucky, una ex insegnante e le loro due figlie Ruby Lee e Gracie. I quattro dovranno vedersela con una società arretrata ed intollerante che basa il proprio credo sull’odio per il diverso, aspetto che discende da radici lontane e sinistre, da un mondo in cui regnano razzismo e fanatismo religioso. La trama si sviluppa sua due binari. Gli Emory dovranno imparare a combattere innanzitutto contro i propri demoni interiori, simbolo della sofferenza alla quale sono stati sottoposti, e in secondo luogo contro i pericoli esterni dettati dalla violenta e sprezzante società in cui vivono.

L’identità visiva di Them

Tra i capolavori del panorama horror ci sono parecchi esempi rivoluzionari che in modo del tutto anticonvenzionale hanno dimostrato che, per quanto si tratti di un genere che più di altri necessita di una serie di elementi specifici, è sempre possibile spaziare e ottenere risultati eccezionali che a loro volta finiscono per fare scuola. L’originalità di Them deriva soprattutto da scelte stilistiche ben delineate e da subito messe in mostra dal regista.

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Fin da quando gli Emory si mettono in viaggio verso Compton lo spettatore si trova di fronte ad una serie di elementi fortemente caratterizzanti dell’epoca, a partire dalle riviste pubblicitarie sfogliate da Ruby e il fazzoletto sulla testa della bellissima Lucky, incipit di uno scenario minuziosamente dettagliato che richiama romanticamente (e questo solo all’apparenza) il tipico quartiere delle più classiche storie incentrate sull’American dream. Proprio grazie al geniale quanto elegante modo in cui si concentra sulla demistificazione del sogno americano, la serie dimostra di avere tutte le carte in regola per segnare il proprio nome sulla grande mappa del panorama horror internazionale. La paradossale Compton di un tempo viene descritta come il perfetto quartiere delle perfette famiglie classiche che lo abitano, con tutti i cliché su patriottismo e fanatismo a stelle e strisce espressi in modo da creare un contrasto visivo spiazzante e al contempo ammaliante in termini di resa scenica. E’ quando ci si rende conto che la strepitosa Alison Pill (nei panni della isterica Betty) sembra essere uscita dall’episodio Caduta libera di Black Mirror che si comprende l’enorme lavoro fatto su personaggi ed ambientazione e soprattutto sulla inquietante atmosfera. La finezza delle tonalità pastello di costumi e setting funge da cartina di tornasole per lo spettatore, che non tarda di certo a smascherare la perfidia degli abitanti del quartiere, visto che si fiondando sul vialetto per fissare gli Emory nella loro impietosa walk of shame verso casa, ma tutto ciò fa si che si rimanga ammaliati dalla potenza visiva con cui viene dettagliatamente descritto lo scenario nella sua interezza.

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Tuttavia un horror non può fare a meno dell’elemento spettrale e sinistro tipico del genere, la vera difficoltà, piuttosto, sta nello stupire in tal senso. Nella fotografia di Them sicuramente degno di nota è il modo in cui vengono coniugate la straniante descrizione di Compton e la spettrale atmosfera della casa degli Emory, infestata da fantasmi che prendono di mira i protagonisti separandoli e tormentandoli singolarmente, mettendo ciascuno di essi a confronto con la propria antitesi. Per analizzare più a fondo il rapporto che c’è tra i membri della famiglia ed i rispettivi demoni si fa ricorso a sotto trame volte a fornire una chiave di lettura caratteriale ben specifica di ognuno di essi, ed in particolare il personaggio di Hiram Epps, che assume un ruolo centrale, viene analizzato affondo in una puntata interamente realizzata in bianco e nero, cosa che da un lato marginalizza il ruolo della resa visiva per dare più importanza alla storia che si ricollega con la trama principale, ma che d’altro canto rende lo scenario ancora più inquietante. 

Them: quando la colonna sonora assume un ruolo primario

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Fin dal primo secondo la colonna sonora di Them punta sulla nostalgia e sulla riconoscibilità, aprendo le danze sulle note di Somewhere over the Rainbow mentre il sipario rosso sangue si apre sulla villetta degli Emory, nel racconto della terribile vicenda antecedente la narrazione. In tale scena sentiamo l’inquietante canzoncina che sarà il leitmotiv dell’intera serie, Old Black Joe, cantata dalla perfida donna con tono spregevole per spaventare a morte Lucky. Nello stesso primo episodio Civilzation apre le porte all’alternarsi tra brani della cultura popolare dell’America bianca e di quella afroamericana di quel periodo e non solo, fuoriuscendo talvolta dal tempo della storia, nella scelta musicale, per aggiungere un ulteriore elemento che faccia da contorno alla volontà di fondo di enfatizzare il contrasto tra l’intolleranza generale della società razzista e una precisa veduta della condizione della comunità afro, anche prendendo in prestito brani cult di generazioni successive ma che funzionano perfettamente con il contesto narrato, basti pensare a titoli come Ready Or Not, Here I Come nella sua versione originale dei The Delfonics, ma anche Who Will Survive America e People Make the World Go ‘Round di un giovanissimo Michael Jackson. In sostanza si tratta di un enorme lavoro di ricerca musicale svolto per aumentare la potenza dell’identità di Them, mischiando abilmente storicità, senso di appartenenza e soprattutto puntando sull’immediata riconoscibilità nei confronti dello spettatore. E se quando sentiamo una canzone ci ritorna in mente la scena in cui l’abbiamo sentita, allora vuol dire che, in quell’ambito, è stato fatto un lavoro veramente eccezionale.

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