Ogni martedì sul canale Sky Atlantic vanno in onda due episodi della nuovissima Serie Tv Tin Star con protagonista il celebre Tim Roth. Qualche giorno fa mi sono occupata della recensione del pilot, molto buono e con la giusta dose di suspense che richiede il genere thriller in cui si cataloga.
In questa seconda puntata di Tin Star vedremo come si conclude un parte della narrazione dello show – ossia quello di presentare tutti i personaggi che si trovano invischiati in questo mistero -, l’accelerazione del climax ascendente verso la fine della puntata e un finale alquanto interessante.
Il sipario di Tin Star si apre nel reparto ospedaliero dove avevamo lasciato lo sceriffo Jim e sua figlia Anna. Mentre la madre Angela è ancora in sala operatoria, apprendiamo dal medico qualcosa che delinea meglio l’accaduto: il proiettile ha colpito il bambino e l’impatto è stato tale da aver fatto schizzar fuori parte della scatola cranica che ha ferito poi la madre.
Chiusa finalmente la questione su chi effettivamente era rimasto vittima dell’assassino (non che ci fosse poi molto da immaginare), si passa al lutto del piccolo Pete. Una carrellata di sequenze denotano meglio il dolore che la povera Anna sta passando. Toccante la scena in cui è raggomitolata tra le braccia del padre, unico superstite insieme a lei.
La loro vita è inevitabilmente cambiata: gli equilibri che si erano creati dopo la fuga da Londra sono di nuovo saltati e il futuro non sembra dei più rosei.
Soprattutto perché non vi è soltanto un assassino a perseguitarli, bensì quattro: un ragazzino biondo dal carattere singolare, due uomini sulla quarantina e un omaccione nero. Particolare come banda d’assassini, soprattutto perché non lo sembrano affatto. O meglio, alcuni di loro non lo sembrano. Tutti e quattro vengono dall’Inghilterra e sono giunti in Canada per uccidere Jim Worth, per che cosa però ancora non ci è dato saperlo.
Whitey, il ragazzo che ha ucciso Pete, è la figura più criptica, volubile e spietata del gruppo. Lo vediamo spesso preso da scatti d’ira verso gli altri tre compagni ed è molto incuriosito dalla ragazza, Anna, che incrocia nel pub della cittadina. La parte più enigmatica di questo personaggio di Tin Star è il legame con Jim: sembra esserci qualche sorta di connessione tra i due, che va oltre la semplice caccia all’uomo.
Quando si intrufola a casa per ucciderli, senza trovarli, ripiega sulla camera del bambino che ha ucciso, mettendo in scena un fermo immagine abbastanza creepy.
Quando dicevo che non tutti sembrano dei provetti assassini, mi riferivo al tizio uscito direttamente dagli anni ’80: il genio del male che ha avuto la brillante idea di lasciare un mozzicone di sigaretta vicino la casa delle vittime e che Anna adesso tiene con sé nella borsa. Sembra essere volutamente presentata come un gruppo di idioti che tentano di fare i bad guys della situazione.
L’unico che al momento si salva, è Whitey: con l’ultima scena è riuscito a portare il climax della puntata alle stelle, innescando nello spettatore la voglia di continuare a vedere Tin Star.
Ma vorrei soffermarmi meglio su un altro personaggio, che potrebbe rivelare un potenziale lato cattivo: sto parlando di Elizabeth Bradshaw. Potrebbe infatti nascondere il vero “cattivo” di questa Serie Tv: un colletto bianco inquietante che non si fa scrupoli a svendere informazioni sull’assassino in cambio di favori da parte dello sceriffo. Non solo, il capo sicurezza dell’azienda, Louis Gagnon, non sembra dirigere la situazione, anzi si rimette sempre agli ordini della Bradshaw. Qui gatta ci cova.
Tim Roth è magnetico e sembra nato per mettere in scena personaggi particolari e sempre border-line, in questo caso con un’identità apparentemente calma e devota alla famiglia. Ma in quegli sprazzi di poca lucidità, l’identità di Devlin sembra essere sempre pronta ad uscire. Chissà se non proprio nella prossima puntata, visto la situazione sempre più disperata in cui si trova Jim. L’attore è convincente nei momenti di debolezza dello sceriffo: quando prende in mano le pillole, quando tenta di mettere via l’alcol dalla camera, eppure a fine giornata rimane solo in macchina e il dolore lo soverchia.
L’elemento che lascia presupporre l’emergere imminente dell’alter ego violento, è la fuga/rapimento della figlia di cui verrà a conoscenza.
Ci sono ancora alcuni elementi da scoprire, ma a grandi linee si conoscono ormai tutti i protagonisti di questo thriller con sfondo un disastro ambientale. Vi sono alcune migliorie da fare, ma siamo solo alle prime puntate, il beneficio del dubbio si può ancora dare (ma non per questo bisogna accontentarsi). Il lato “umano” andrebbe leggermente più sviscerato, soprattutto per il protagonista Jim. La narrazione è succinta, lasciata allo stretto necessario e non dà le giuste motivazioni a determinati atti: come ad esempio la figlia che esce dall’hotel sapendo di essere nel mirino. Così come stride la combriccola di cattivi in mezzo a tutta la serietà della situazione. Buona la suondtrack, che incita il climax e aumenta la suspense nelle giuste scene, enfatizzando spesso il rapporto dello sceriffo con alcol/pillole.
Una puntata un pelo più deludente della prima, ma che mantiene alta la qualità recitativa e la regia sempre cinematografica e ben delineata. Nota di merito anche alla fotografia, che sottolinea lo spaesamento del protagonista e rende quasi surreali gli scenari in cui si trova. Come a dire che egli stona in quella realtà canadese.