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Top Boy ieri e oggi: cronaca di un cult britannico senza tempo

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Se ne parla troppo poco in Italia, ed è davvero un peccato. Top Boy è un autentico cult britannico, distribuito nel Reno Unito su Channel 4 dal 2011 al 2013 e nel 2017 su Netflix, dopo essere stato riesumato grazie anche alla forte volontà del rapper Drake, in seguito alla decisamente prematura chiusura. In Italia è sbarcato sulla piattaforma in streaming nel 2017 con le prime due stagioni sottotitolate, e con la terza nel 2019. Oggi vi proponiamo un confronto tra le due “versioni” della serie, evitando spoiler di ogni tipo per spronarvi a recuperare questo autentico gioiellino, qualora ve lo foste persi.

Top Boy: Summerhouse ieri ed oggi

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La serie è ambientata a Londra, in un fittizio sobborgo chiamato Summerhouse, e segue le vicissitudini legate al traffico di droga, con una serie di gang che lottano per la supremazia nel territorio. Le prime due stagioni andate in onda su Channel 4 sono composte da 4 episodi l’una, mentre nella nuova versione targata Netflix ci si è spostati su un formato, più moderno, di 10 episodi. Tra i protagonisti di tutte e tre le stagioni spiccano i due rapper Asher D (Ashley Walters) nel ruolo di Dushane e Kano (Kane Robinson) nel ruolo di Sully, che nella serie formano un duo inseparabile che lotta per giungere ai vertici dello spaccio nel quartiere e non solo. Le differenze tra le due versioni di Top Boy sono parecchie, complice soprattutto il cambio di produzione e distribuzione. Il primo Top Boy è molto British, essenziale ma veramente impattante. Visivamente più sporco e grezzo, ma decisamente orientato a lasciar spazio ad una drammaticità che si concentra sull’iniziazione alla vita criminale dei due protagonisti Dushane e Sully, ancora visibilmente “immaturi” all’inizio, ma che piano piano scalano le gerarchie grazie soprattutto all’astuzia del primo. Nel terzo capitolo si vede decisamente la mano della grande produzione. Innanzitutto, il numero delle puntate più ampio, ma soprattutto formalmente, con una regia ed una fotografia di altissima qualità che in un certo senso stravolgono l’identità della serie, ampliandone la portata ad un pubblico moderno, più giovane. 

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Ciò che a noi piace della prima versione di Top Boy sta proprio nella sua crudezza visiva, che lascia tanto spazio all’analisi dei personaggi ed alla riflessione sulle azioni da loro commesse. Per farla in breve si potrebbe dire che un omicidio compiuto nelle prime due stagioni ha ben più peso drammatico di uno del terzo capitolo, perché l’intento è più mirato a sviscerare la pesantezza e la drammaticità di tali eventi. Nel terzo capitolo ci si sposta da un ambiente prettamente legato alla vita di quartiere, cosa messa da subito in chiaro con una essenziale quanto splendida sigla (che nella versione Netflix, per l’appunto, scompare), ad un discorso più ampio che comprende la città e lo spaccio a livello nazionale, per certi versi. Ciò che più cattura della terza stagione è il fatto che osi di più sia in termini di forma che, e soprattutto, di azione, mettendo un po’ da parte la riflessione per lasciare spazio ad un contenuto molto più godibile in termini di adrenalina, con faide intricate, sparatorie spettacolari e una serie di sfaccettature e tematiche coraggiose. 

Top Boy: Summerhouse e quel sapore di originalità

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Il fatto che i due protagonisti siano dei rapper è molto indicativo sul tipo di prodotto che fin dall’inizio è stato deciso. La street credibility della serie è alla base del contenuto oltre che del concetto suggerito dal titolo. I personaggi principali vengono da situazioni perlopiù disastrose, sono cresciuti in un quartiere povero, Summerhouse, in cui per “farcela” i modi sono veramente pochi. Diventare il Top Boy, qualora ci fosse bisogno di sottolinearlo, è un’aspirazione decisamente negativa ed autodistruttiva, ed i protagonisti se ne rendono conto ben presto, messi di fronte a ostacoli molto più grandi della loro giovane età. Il percorso narrativo di Dushane e Sully è il perfetto esempio dell’ascesa e delle manie di grandezza di giovani ragazzi cresciuti nel nulla, che hanno come unico obiettivo quello di diventare i migliori di quel nulla, rappresentato dalla fittizia Summerhuose, che di per sé può (e deve) ricordare le fattezze di un qualunque sobborgo cittadino. L’interpretazione dei protagonisti è molto forte, i tratti psicologici dei personaggi del nucleo principale vengono descritti accuratamente, e loro sono perfettamente in grado di trasmettere tutta la difficoltà che si fa a vivere in un ambiente ostile a qualunque tipo di rivalsa.

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E poi arriva Drake, si accorge che è stato cancellato un potenziale tormentone globale e decide di spingere per rilevarlo e dagli nuova verve, e noi non possiamo fare altro che ringraziarlo. Top Boy 3 accoglie parecchi nuovi ingressi nel cast, soprattutto quelli del rapper britannico Dave, interprete del folle e pittoresco Modie, autentico Joker della serie, e di Michael Ward nel ruolo dello spavaldo Jamie. Ma oltre alle new entry ritroviamo i due protagonisti, a distanza di anni, cresciuti e divenuti uomini, e nonostante l’esperienza fatta continuano a bazzicare nel pericoloso giro d’affari del quartiere, al quale ormai appartengono visceralmente. Nei vari scontri generazionali si apprende come non ci sia tempo per determinate tematiche, che restano tremendamente attuali ai giorni nostri. Anche se i fan di lunga data si sarebbero aspettati di vedere l’evoluzione del personaggio di Ra’Nell (unica assenza significativa del cast), le vicende legate al giovane Jamie, che è tra i protagonisti della terza stagione, sono comunque molto avvincenti e altrettanto drammatiche. Il giovane si ritrova infatti a dover fare da padre ai due fratelli minori, in seguito alla morte prematura dei genitori, e per fare ciò sfrutta la via più breve, ovvero quella dello spaccio, andando a rappresentare un’ennesima dimostrazione di come spesso sia la vita stessa a suggerire vie ardue ed ostili. Jamie impersona la spavalderia della nuova generazione, che ha i suoi pregi ma anche i suoi difetti, i difetti di chi vuole mangiarsi il mondo senza curarsi troppo del valore della vita, una autentica fast life (cit.).

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