“Se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me ne avvedrei”.
[Dialogo della Natura e di un islandese, Giacomo Leopardi, Operette Morali]
Poche settimane fa tutto il mondo ha assistito, sgomento e insieme affascinato, all’eruzione vulcanica che in Islanda ha interessato la zona a sud della capitale, Reykjavik. Le immagini di selvaggia e sublime bellezza, immortalate da intrepidi fotografi e reporter, hanno evocato nella mente degli appassionati di serie tv nordiche le ambientazioni di due serie tv islandesi poco conosciute, Katla e Trapped.
Entrambe le serie sono figlie della mente del regista islandese Baltasar Kormàkur che, nella sua poetica, mette al centro la natura nella sua forma più pura, incontaminata, affascinante e insieme terrificante, in una parola: matrigna.
Gli spettatori della Mostra del cinema di Venezia erano rimasti sbigottiti di fronte al film Everest, presentato dal regista nel 2015, in cui veniva ricostruita, con incredibile verosimiglianza e un impatto scenico notevole, la tragica spedizione sul tetto del mondo del 1996. Nella poetica di Kormàkur, dunque, la natura è la vera protagonista: ed è difficile immaginare una natura più “matrigna” di quella islandese che, infatti, è la protagonista dell’Operetta morale di Giacomo Leopardi in cui il poeta immagina un dialogo proprio tra questa entità e un islandese.
Sia in Katla che Trapped (Ófærð in lingua originale) la natura è al centro della trama, in tutta la bellezza selvaggia e non addomesticabile propria dei paesaggi islandesi. Katla è il nome di un vulcano subglaciale realmente esistente, così come Vik, il paese limitrofo in cui si svolge la vicenda, esiste davvero. Nella realtà il Katla è inattivo da quasi un secolo ma, nella serie, minaccia costantemente di cancellare il paesino, da cui gli abitanti sono stati fatti sfollare quasi tutti da ormai un anno. E, mentre dal vulcano si alzano nubi minacciose, che promettono una nuova eruzione, dalle viscere del Katla emerge una creatura, ricoperta di cenere, nuda come se fosse stata appena partorita dalla terra.
Dice di chiamarsi Gunhild ed è la copia esatta, più giovane di vent’anni, di una donna svedese che, proprio vent’anni prima, aveva trascorso l’estate a Vik, lavorando nell’albergo locale. Il suo ritorno nella cittadina scombina gli equilibri della piccola comunità e, dopo di lei, altri misteriosi parti della terra mettono in discussione qualsiasi certezza. La piccola Vik comincia a popolarsi di doppi, persone che compaiono in sostituzione di qualcuno che è effettivamente scomparso ma anche di chi esiste ancora.
Il ritorno nella comunità di qualcuno che mancava e la comparsa di doppi che sembrano avere lo scopo di rimpiazzare un sé ancora esistente ma percepito come fallato, irrimediabilmente corrotto, fa emergere conflitti e crea crepe nei rapporti umani molto più profonde e insanabili di quelle create dall’eruzione. La forza della serie islandese sta nel fatto che non contrappone i doppi (che molti ritengono changeling, personaggi del folklore mandati dalle fate per sostituire i bambini) alla loro versione “originale”, anzi.
I doppi che vediamo emergere dal Katla sembrano inviati dal vulcano per rimediare agli sbagli commessi dal sé originario, per ricucire i rapporti con i propri familiari, per far emergere la vera natura di chi sta vicino a queste persone. Non sono intrinsecamente malvagi, sono piuttosto l’espressione più pura della natura umana, votata alla sopravvivenza, al miglioramento della specie.
Baltasar Kormàkur non adotta i classici stratagemmi narrativi concitati della fantascienza ma sceglie di ricorrere a un ritmo drammaturgico lento, che segue i respiri profondi del vulcano e che si rifà al bianco e nero naturale dei paesaggi dell’Islanda più selvaggia. Una natura che cerca di rimediare agli errori dei suoi figli umani fornendo una soluzione attraverso questi “ultracorpi”, che con la loro sola esistenza sembrano capaci di rimettere in discussione intere vite.
Diversamente da serie concepite attorno al medesimo concetto del doppio, pensiamo a Les Revenants o alla meno ambiziosa Curòn, Katla non porta lo spettatore a parteggiare per l’uno o per l’altro, non cerca la contrapposizione tra doppi e “originali”. E proprio qui sta la bellezza malinconica di questa serie, concepita da un narratore che non vuole creare spettatori schierati ma consapevoli della propria impotenza e inferiorità di fronte ai meccanismi inconcepibili della natura. Katla non fornisce spiegazioni al fenomeno sovrannaturale, non le interessa: ciò che conta è evocare sensazioni di straziante sopraffazione, la stessa emozione che si prova di fronte al paesaggio extraterrestre dell’Islanda.
Dalle atmosfere rarefatte, naturalmente in bianco e nero tipiche delle eruzioni vulcaniche islandesi passiamo al paesaggio ancora più minimale e ostile di Trapped.
Questa serie di Baltasar Kormàkur ha avuto un successo lento ma inesorabile, come le valanghe mostrate nella prima stagione. Anche qui il tema al centro della narrazione è l’impotenza della volontà di potenza dell’uomo di fronte all’indifferente impulso distruttivo e creativo della natura.
Una piccola comunità costiera islandese si trova paralizzata da una tormenta di neve proprio nel mezzo di un raccapricciante caso di omicidio: un torso umano viene trovato nella baia e toccherà ai pochi poliziotti locali, tra cui il tormentato protagonista Andri, fare luce sui fatti, non potendo contare sull’aiuto degli eleganti e tecnologici colleghi della capitale.
L’atmosfera chiusa e quasi claustrofobica della piccola comunità di Siglufjörður è il terreno ideale in cui si agitano segreti passati, faide familiari e ambizioni imprenditoriali che si scontrano con la cocciutaggine degli ultimi, irriducibili ambientalisti locali. Una tematica, quella della guerra tra progresso e ambientalismo, indagata più approfonditamente nella seconda stagione di Trapped, in cui Andri dovrà far luce sull’attentato al Ministro dell’industria islandese, facendo emergere una realtà di intrighi politici ed economici e comunità di eco combattenti clandestini.
La tematica della guerra in chiave ecologista tra progresso capitalista e conservatorismo è al centro anche della terza stagione, Entrapped, che perde però molto dello smalto narrativo che aveva contraddistinto le prime stagioni. Baltasar Kormàkur deve riacquistare la spinta narrativa che lo aveva portato a confezionare un piccolo gioiello come Katla e la prima, folgorante stagione di Trapped, magari ritirandosi in solitudine su un fiordo islandese o in prossimità di un vulcano in procinto di eruttare.
Sia Katla che Trapped sono una riflessione estremamente moderna sulle tematiche poste da Leopardi nel Dialogo: se in Katla la principale fonte di infelicità per l’essere umano sono gli altri esseri umani e i rapporti che intercorrono, in Trapped non sembra esserci soluzione nemmeno nell’abbraccio gelido e mortale della natura.
L’essere umano, ci dicono sia Leopardi che Kormàkur, è destinato all’infelicità perenne, sia che rifugga i rapporti sociali per rifugiarsi nella natura sia che compia il percorso inverso.
Il concetto di felicità, del resto, è unicamente umano: non appartiene ai vulcani, alle valanghe, ai fiordi, alla neve e ai sassi. Eppure è impossibile non provare una sorta di malinconia estatica ammirando i paesaggi lunari dell’Islanda, che così bene si fondono con dettagli del corpo umano come mostrato nella splendida sigla iniziale di Trapped. L’identificazione tra uomo e natura, esplicitata anche nell’irrisolvibile conflitto che ne deriva è al centro della produzione di Baltasar Kormàkur, un autore il cui dialogo con la natura può regalarci ancora molti titoli di pregio.
Giulia Vanda Zennaro