Di solito quando guardo le serie scandinave e, più in generale nordiche, dato che Trapped è islandese, lo faccio o perché è inverno e c’è molto freddo o perché è estate e c’è molto caldo. In un altro articolo il concetto stagionale è già stato spiegato.
Una seconda ragione è quando voglio spostare lo sguardo, allontanarmi dalle serie crime ad alta tensione ambientate a DC o LA, e ampliarlo verso un orizzonte di paesaggi meravigliosi da osservare, una Natura incontrastata che vale la pena scoprire e visitare nella realtà oltre che nella fiction. Infine, il thriller, il cosiddetto noir nordico , è quel prodotto seriale televisivo che ricerco quando non voglio sfociare nel binge watching ma prediligo una una visone calma, lenta, riflessiva. Certo, alcune di queste serie possono conciliare il sonno ovviamente! Tuttavia non è il caso di Trapped.
Rivelazione dell’anno 2015 in Islanda, Trapped presto raggiunge il successo europeo, sbarcando in Italia tra il 2018 e il 2019.
Prodotta da RVK Studios e diretta da Baltasar Kormàtur, regista di Cani Sciolti (2013) ed Everest (2015), Trapped è una crime story cupa e avvincente, che ben si inserisce, valorizzandone aspetti estetici – come la straordinaria fotografia -e narrativi, nella migliore tradizione dei gialli scandinavi. Le prime due stagioni (10 episodi ciascuna, da circa 50 min.) sono attualmente disponibili su Netflix.
A incrementarne il valore sono anche le musiche originali, minimal con archi e sonorità elettroniche diffuse che si aprono sulle ambientazioni, composte da Jóhann Jóhannsson, musicista e produttore discografico islandese, vincitore nel 2015 del Golden Globe per la La teoria del tutto. A lui, scomparso nel 2018, è dedicata la seconda stagione il cui lavoro sonoro è portato avanti da Hildur Guðnadóttir e Rutger Hoedemaekers.
Girata principalmente a Siglufjörður – piccolo villaggio all’estremo Nord dell’Islanda, affacciato sui fiordi, circondato da cieli immensi e montagne altissime – Trapped ambienta qui la sua prima stagione. Il paesaggio che vediamo è invernale, sommerso dalla neve, oscuro e invalicabile. Nessuno può andarsene, neanche l’assassino. Al centro della trama c’è un omicidio, il ritrovamento di un cadavere mutilato, che avvolgerà il paese insieme a una tormenta dalla quale non si potrà fuggire.
Come ha affermato lo stesso regista, nella prima stagione Trapped rivela una trappola fisica, ambientale che circonda i fatti con la manifestazione imponente e misteriosa della forza della Natura, che diventa a tutti gli effetti elemento centrale della narrazione.
Nella seconda stagione saranno invece le trappole interiori, psicologiche dei personaggi a contornare lo sviluppo della storia e delle indagini. In questo caso, l’intreccio ha inizio nella capitale Reykjavík, dinanzi al Parlamento, dove la Ministra del Lavoro, di nome Halle, prende fuoco in un tentato omicidio a opera del fratello gemello Gisli mentre si sta per firmare un importante accordo commerciale con l’obiettivo di incrementare la struttura di una centrale elettrica geotermica nei pressi della cittadina di Siglufjörður.
Il FUOCO è un elemento centrale in una serie GHIACCIATA come Trapped.
Alcune delle principali morti avvengono tra le fiamme. Dietro la nitidezza dei dialoghi e l’interpretazione attoriale precisa, razionale, fredda si nasconde il fuoco vivo della violenza e del mistero. C’è come una costante dissonanza tra una società che sembra funzionare perfettamente, nella quiete di paesaggi mozzafiato e strutture governative, e la violenza efferata dell’atto criminale.
In Trapped, motivo per cui dovreste vederla, il contrasto sociale tra il sistema di welfare efficiente e i lati oscuri dei cittadini e delle piccole comunità è raccontato in modo profondo, conturbante e realistico.
Come nella migliore tradizione letteraria noir scandinava, Trapped è una serie long form con una storia che affianca al corso delle indagini altri fili narrativi legati a questioni politiche, di critica al potere e di crisi familiari. Più e meglio di altre serie, fa emergere il conflitto tra genitori e figli adolescenti, tra ricchi potenti e poveri sfruttati in un mix a svelamento progressivo dove si intrecciano tematiche di grande interesse contemporaneo come il razzismo, l’omofobia, le migrazioni, l’ambiente.
Il protagonista è sempre lui, Andri Olafsson (Ólafur Darri Ólafsson) una figura di detective controversa, distante dai canoni di fascino e bellezza che piacerebbero alle signore austriache amanti del poliziesco. Andri si muove pesante, è sgualcito e stanco, separato dalla moglie, cui ancora vuole molto bene, e in una complicata relazione con la figlia adolescente che ritrova nella seconda stagione.
Si aggira spesso, tra i luoghi dei delitti, i fiordi e le brughiere, con le mani in tasca sia perché fa freddo sia come una sorta di segno di inquieta rassegnazione che spesso abita i dialoghi, lenti e ragionati, consumati in macchina o negli interni tra tazze di thè e caffè fumanti che ricordano alcuni frame dei film di Bergman.
Andri però è un poliziotto buono e acuto e dietro l’atteggiamento riflessivo si cela sempre un guizzo e una speranza nell’obiettivo di riportare il bene nella comunità. Lo accompagnano nelle indagini i colleghi Asgeir (Ingvar Sigurdsson) ed Hinrika (Ilmur Kristjansdottir) che, nella seconda stagione, è diventata Capo della polizia locale, fortemente motivata sul lavoro e dinamica rispetto a certo altro gelido immobilismo psicologico che attraversa i personaggi e le relazioni.
Hirinka e Andri formano una coppia forte, distinta e complementare, capace di fare la differenza nella risoluzione di casi, anche quando – come nella seconda stagione – il mistero è fitto e nasconde molte più perversioni di quelle che lo spettatore può immaginare.
Trapped è affascinante da seguire in islandese, si assottigliano invece le sfumature psicologiche nella versione doppiata che la rendono decisamente meno intensa.