Da sempre il viaggio nel tempo accompagna l’immaginario comune legato al mondo del fantascientifico. Ci affascina immaginare di poter toccare con mano il passato, modificarlo per eliminarne le brutture, migliorarlo per rendere migliore il presente. Vorremmo conoscere più profondamente la storia che i libri di scuola ci insegnano attraverso testi e immagini che vorremmo veder prendere vita. E, d’altra parte, siamo fortemente attratti dall’idea di conoscere il nostro futuro prima che sia il susseguirsi di giorni, settimane e anni a portarci fin lì.
Vogliamo identificare in anticipo i rischi, le trappole in cui potremmo incorrere e nutriamo una curiosità morbosa sulla nostra identità futura. Ma che succederebbe se scoprissimo che un viaggio nel tempo è l’unico modo che abbiamo per salvare noi e il resto del mondo, e che ha il costo di una vita umana? Come potremmo mai relazionarci con l’idea che l’unico modo per spostarsi da un punto all’altro della linea temporale del mondo è prendere in ostaggio un corpo che non è il nostro?
Di tutto questo ci ha parlato – in modo profondamente dettagliato – la serie Netflix creata da Brad Wright, Travelers.
È successo qualcosa, in quel futuro che ancora non conosciamo. C’è stata una guerra fatta di codici e di virus digitali che ha portato buona parte dell’umanità a disporsi in classi di viaggiatori: medici, ingegneri, programmatori, storici, soldati.
A capo di tutto, il Direttore. Colui che vede ogni cosa di ieri e di domani e sa individuare i punti esatti della linea temporale in cui l’umanità ha cominciato a cannibalizzare se stessa. Un’intelligenza artificiale nei cui logaritmi risiede il destino del mondo. Il suo scopo, realizzato grazie a diverse squadre di viaggiatori del tempo, è cambiare il passato per portare alla luce un nuovo futuro, un futuro migliore. Il momento di svolta si verifica nel XXI secolo ed è lì che è diretto il viaggiatore 3461 insieme alla sua squadra di travelers. Nei corpi di persone destinate a morire in un preciso momento, un istante in cui la loro coscienza lascia il corpo vuoto e lo spazio necessario ai viaggiatori per prendere il controllo.
Le regole, o protocolli, da seguire sono poche: la missione viene prima di tutto, mai compromettere la copertura, non prendere una vita, non salvare una vita (se non per gli ordini), non riprodurti, in mancanza di diversa indicazione, continua la vita del tuo ospite, nessuna interazione tra le diverse squadre, se non in casi di emergenza. Ma c’è una regola, forse la più complessa tra tutte, la più difficile da rispettare e comprendere fino in fondo: lascia il futuro nel passato. Ciò che hai fatto, ciò che sei stato, non può varcare le porte del tempo; qui e ora, sei solo un ospite in un corpo che ti impone una copertura ben precisa. Questi sono gli ordini del Direttore.
In una trama tessuta a filo strettissimo tra guerre attraverso il tempo e tecnologie che periscono sotto il peso di errori di calcolo e sottraggono vita all’esperienza umana, Travelers ci chiede: in cosa risiede la nostra identità?
Seppur nascosta sotto il ritmo serrato della serie e gli eventi costantemente in evoluzione di una squadra di viaggiatori impegnata in una serie di missioni volte a evitare disastri mondiali, c’è una riflessione su cosa voglia dire essere ridotti a pura coscienza. I viaggiatori del tempo mantengono conoscenze, abilità e informazioni che hanno acquisito nel futuro, eppure sono indotti a vivere cercando di fingersi le persone di cui hanno tratto in ostaggio il corpo. Ne ereditano i dolori e le dipendenze fisiche, ma anche i rapporti e le connessioni umane da mantenere in vita per non lasciare che l’illusione di continuità fra tramite e ospite svanisca. Tutto questo, inevitabilmente, influisce sui travelers, ne modifica gli intenti e i bisogni, portandoli spesso a un punto di rottura e li porta a domandarsi se ci sia giustizia in ciò che fanno.
La nostra essenza, il nostro essere, possono davvero essere ridotti a informazioni contenute nella nostra mente? Con un semplice “upload” in un nuovo corpo della nostra intera vita trasformata in codici alfanumerici, saremmo ancora noi stessi?
In questo senso la serie Netflix, con i suoi personaggi frammentati tra un futuro da salvare e un presente spesso inospitale, pungola e sfida tutto ciò che concerne non solo i viaggi nel tempo e la loro correttezza in termini di possibili paradossi, ma soprattutto il concetto di “eticità” del cambiamento del passato. Salvare tante vite prendendone una in ostaggio è corretto? Sacrificare la memoria e la percezione che il mondo ha di un tramite è davvero la scelta giusta, anche quando c’è in ballo il destino del mondo?
Più che una semplice storia di angeli futuristici tornati indietro nel tempo per salvarci da distruzioni che l’umanità stessa stava per causare, Travelers mostra un mondo in cui s’impone il dominio della mente e della conoscenza, ma in cui sono le percezioni e le sensazioni a mettere in discussione ogni aspetto morale.
Così, oltre a chiederci se davvero prima o poi potranno giungere entità dal domani a indicarci la strada per salvarci da noi stessi, una domanda resta sospesa anche molto tempo dopo aver concluso la visione: è davvero possibile per un viaggiatore rimanere se stesso nel corpo di un altro? Oppure lasciare il futuro nel passato smetterà di essere un protocollo di copertura e diventerà sinonimo di una trasformazione in una persona differente, incapace di tornare a ciò che era e troppo lontana dalla vita che ha rubato?