Tribes of Europa è la nuova scommessa targata Netflix dei produttori di Dark che strizza l’occhio agli amanti del genere distopico. Un progetto ambizioso che affonda le proprie radici in un evento che ha realmente sconvolto gli scenari europei: il creatore Philip Koch, infatti, ha individuato nella Brexit l’origine dell’ispirazione per il nuovo show. Un cuore europeo è dunque al centro dell’atmosfera di Tribes of Europa, una novità per un genere che spesso vede l’America come setting protagonista. E la premessa è proprio quella legata a una Brexit portata all’estremo: cosa succederebbe in un futuro ipotetico se ogni stato decidesse di andare avanti per conto proprio? Nel 2047 – anno in cui si sviluppano le vicende dei protagonisti di Tribes of Europa – la società è divisa in tribù e micro-stati, molti dei quali nemmeno si conoscono tra loro. A questo si aggiunga la decisione di alcune tribù di tagliare i ponti con la tecnologia – che ha causato solo dolore e distruzione in passato – e si ha il concept principale della serie tv. Interessante, no?
Ma in Tribes of Europa sono stati in grado di sviluppare queste buonissime premesse nel modo più efficace?
Vostro figlio è sveglio e intelligente, ma non si applica. Se Tribes of Europa fosse uno studente, i suoi genitori si sentirebbero dire proprio questo. Perché a fronte di un concept accattivante, che potrebbe miscelare azione e momenti di riflessione, creare suspense e dipanarsi in una storia complessa ma avvincente, la resa non soddisfa del tutto le aspettative.
Il primo errore della serie è il pilot, e dare a qualcuno un biglietto da visita sbagliato è sempre un rischio enorme. Il primo sguardo a questo mondo diviso in tribù è confusionario. Nei primissimi minuti, Liv introduce la situazione come una narratrice e porta lo spettatore a crederla la protagonista assoluta – quando in realtà la serie si svilupperà su tre storyline diverse, ognuna relativa a uno dei tre fratelli Liv, Kiano e Elja, appartenenti alla tribù degli Origini.
Il resto del pilot è un susseguirsi di personaggi abbozzati, apparentemente piatti, e violenza che sfocia nel ridicolo, una caratteristica che ritroveremo anche negli altri episodi. In che senso? Gli Origini vengono attaccati dai Corvi, dei guerrieri temibili e spietati (sulla carta), ma che scadono nel trash nel momento in cui – inspiegabilmente – prima di attaccare inalano qualcosa da un oggetto che sembra la maschera dell’aerosol. Ehm, cosa?
Verso la fine del primo episodio si ha una prima idea di questa storyline divisa in tre filoni, siccome i tre fratelli sono costretti a dividersi: Kiano, insieme a suo padre, viene rapito dai Corvi; Liv viene trovata dai Crimson, una società militare in lotta contro i Corvi e Elja scappa portandosi dietro il Cubo degli Atlantidei, l’oggetto cardine attorno a cui pare ruotare tutto.
La confusione del pilot rischia di far desistere lo spettatore dal proseguire con una serie che, seppur imperfetta, dal secondo episodio in poi si rivela godibile.
Ci pensa Oliver Masucci (l’Urlich di Dark) a salvare tutto nel secondo episodio: Moses, il suo personaggio, è quella scintilla che fa pensare ci sia davvero originalità in Tribes of Europa. Ogni scena che riguarda Masucci è divertente in maniera genuina, non forzata. L’amicizia che nasce tra lui e Elja è però molto prevedibile e sarebbe potuta essere sviluppata in maniera diversa, più completa. Questo è un po’ il problema generale di Tribes of Europa: i legami che nascono tra i personaggi sono troppo scontati, nel momento in cui vediamo due figure interagire tra loro, indoviniamo già nei primi secondi come andrà a finire la loro storyline.
Un fattore probabilmente legato alla scarsa profondità dei personaggi, che mostrano accenni di quella che sarebbe potuta essere una caratterizzazione interessante, ma che di fatto non si evolve in maniera efficace. La speranza è che, in un’eventuale seconda stagione, ci sia più spazio per l’approfondimento psicologico e per scelte meno banali.
A questo proposito, forse è la scelta del format a risultare fatale: 6 episodi non sembrano sufficienti per sviluppare in maniera accurata protagonisti, personaggi secondari, vicende e tutto il contesto (una problematica riscontrata ad esempio in un’altra recente produzione Netflix, Fate: The Winx Saga, ne abbiamo parlato qui), specialmente quando si tratta di fantasy o distopia, dove non si può dare nulla per scontato, perché entrano in gioco mondi con regole, oggetti, situazioni e caratteristiche ben lontane dalla realtà che conosciamo.
In ogni caso, dal secondo episodio in avanti, oltre all’arrivo di Masucci nei panni di Moses, conosciamo altri personaggi appartenenti ai Corvi o ai Crimson che ci permettono di capire meglio la struttura di questo mondo. E il wordbuilding è il punto di forza di questa serie che ha sacrificato la dinamicità dei personaggi, ma non si è risparmiata nella creazione di uno scenario distopico a tratti esagerato, però interessante e coinvolgente. Grazie alla storyline di Eljo, che insieme a Moses cerca il modo di riparare il fantomatico Cubo, lo spettatore compie un viaggio in questa bizzarra Europa e nota l’eterogeneità di queste popolazioni che vivono nelle maniere più disparate. Seguendo Liv, invece, si scopre il mondo dei Crimson e delle loro battaglie militari, forse il mondo più sobrio tra quelli della serie. Perché con la terza storyline, quella di Kiano, si scivola spesso nell’assurdo e nel cringe.
Il mondo dei Corvi, infatti, è costruito in modo contraddittorio e forse avrebbe avuto una resa diversa se non fosse stato così trash.
Due esempi di cringe: Varvara che, dopo aver reso Kiano un suo schiavo lo vuole costringere a un rapporto intimo, punta una lama al collo del ragazzo e lo minaccia “se vieni prima di me ti taglio la gola” oppure, sempre Varvara che, stesa nel letto con le gambe aperte prima di un altro rapporto chiede a Kiano “raccontami di come è morta tua madre”. Ma sul serio? I Corvi dovrebbero essere i personaggi più temibili, sadici e violenti di Tribes of Europa, eppure sono terribilmente trash. Il punto non è tanto l’essere eccentrici, ma il modo in cui viene sviluppata questa loro caratteristica. Scene di questo tipo suonano grottesche, fanno perdere di credibilità perché sembrano fuori luogo all’interno della serie.
Eppure, Tribes of Europa non rientra comunque in quelle serie tv da scartare a priori. Nonostante tutte le criticità, si rivela una storia avvincente e godibile e, anche se non ci si affeziona a tutti i personaggi – soprattutto perché spesso compiono scelte stupide o perché sono amebe, come Kiano – resta la curiosità di accompagnarli fino alla fine del viaggio e scoprire cosa succederà quando (e se) si ricongiungeranno.
La scena finale, poi, apre tanti nuovi orizzonti: per tutto il tempo, Eljo e Moses hanno cercato di portare il Cubo all’Arca, per poi scoprire che il Cubo è l’Arca. E ora? Ma soprattutto, qual è il legame di Atlantide con tutto quanto?
Siamo ben lontani da un capolavoro alla Dark, ma sicuramente lo scopo di Tribes of Europa non era quello di emulare l’altra ormai iconica serie tedesca. Ci sono dei piccoli germogli che se ben coltivati e curati potrebbero regalare allo spettatore una buona seconda stagione: è come se avessimo dato un’occhiata a questo mondo dallo spioncino e la sensazione è che spalancando la porta si potrebbe trovare molto di più.