A tutti è capitato, almeno una volta nella vita, di sentirsi sbagliati. Troppo alti, troppo bassi, magri, grassi, fuori posto. Per alcuni è un brufolo, i denti, le sopracciglia, i capelli. E’ inutile girarci intorno: al giorno d’oggi, nonostante gli immensi passi avanti che sono stati fatti nei confronti dell’accettazione di se stessi, la bellezza continua ad essere un tema fondamentale nella vita di molti di noi. Ed è una fatica immensa. Noi, davanti a questa fatica, a questo vacillare costante davanti a ciò che vediamo allo specchio, rispondiamo con True Beauty, serie coreana andata in onda nel 2020 che più di tante altre produzioni oltreoceano è riuscita a raccontare in maniera innovativa una tematica che ci è fin troppo cara. True Beauty è il drama coreano che ci insegna cos’è davvero la bellezza. E sembriamo proprio averne bisogno.
Una caratteristica fondamentale dei kdrama è la loro capacità di andare a fondo delle cose senza perdersi troppo in chiacchiere. Sotto i fronzoli, gli effetti speciali e le trame spesso divertenti le serie coreane nascondono una trasparenza e capacità di analisi che manca a molte serie occidentali. E come Squid Game ci ha insegnato molto bene il significato dell’amicizia, quella vera, così fa True Beauty con un tema altrettanto spinoso: la bellezza esteriore (e non solo).
La storia è molto semplice e per questo particolarmente incisiva: Im Ju-Kyung è una liceale diciottenne come mille altre, che vive un pesante complesso di inferiorità riguardo al suo aspetto ed è vittima di bullismo da parte dei suoi compagni di scuola proprio perché percepita come brutta. Volendo cambiare vita prima del suo obbligatorio trasferimento in un’altra scuola, tramite dei video su internet diventa un’esperta di cosmetici e acquista rapidamente popolarità nella nuova scuola, guadagnandosi il soprannome di “dea” (il kdrama in lingua originale è proprio intitolato L’avvento della dea). Raccontata in questo modo, la serie sembra un prodotto di medio/scarso livello: piena di stereotipi, prevedibile e per nulla innovativa.
Ed è proprio qui che True Beauty stupisce. Non solo la serie si diverte dall’inizio a fine a giocare con lo spettatore, prendendo stereotipo dopo stereotipo e impilandoli uno sopra l’altro in quella che sembra una grossa torre grottesca. Fa molto di più: utilizza un tema di cui è molto difficile parlare “nel modo giusto” e lo ribalta completamente. Così facendo, lo rende universale.
Che cos’è la bellezza? O ancora meglio, che cos’è la vera bellezza? E’ questo che si chiede e ci chiede il kdrama: cosa vuol dire apparire belli agli occhi degli altri se dentro continuiamo a sentirci come se non valessimo nulla? La protagonista di True Beauty in apparenza ha cambiato la sua vita e si è guadagnata la tranquillità che tanto agognava; ma sotto il fondotinta che la ragazza si spalma ogni giorno sulle guance si cela una profonda insicurezza, e il costante terrore che tutti gli altri possano scoprire il suo segreto. Im Ju-Kyong vive la sua condizione come un fardello da portare: nella sua mente, essendo condannata per tutta la vita a dover portare una “brutta faccia”, il meglio che può fare è cercare di nasconderla. Davanti alla famiglia, agli amici. Anche davanti all’amore.
Ed è proprio la rappresentazione dell’amore adolescenziale l’altro grande punto a favore di True Beauty: non solo la serie coreana ci racconta una storia d’amore prettamente non convenzionale (seppure molto romantica e un poco prevedibile), ma la rende molto realistica. Dimenticatevi principi azzurri a cavallo di destrieri bianchi e cliché tipici del genere: in True Beauty ci sono lacrime, sofferenza, fraintendimenti, dolore, vergogna. E tanti, tanti fumetti. Tra l’altro, la serie riesce ad affrontare in maniera molto delicata ma incisiva il tema del suicidio tra giovani (un tema particolarmente trattato in paesi come la Corea del Sud).
Ma è nella figura della protagonista che True Beauty punta davvero tutto e riesce a fare il botto, dimostrandoci ancora una volta che un personaggio femminile di primo piano può tranquillamente riempire da solo lo schermo senza una controparte maschile. Im Ju-Kyung infatti, interpretata dalla bravissima Moon Ga-young, è una ragazza che potremmo incontrare alla fermata dell’autobus sotto una pensilina qualunque. Mancante di quell’aria vagamente principesca che caratterizza alcune figure femminili dei kdrama, la protagonista della serie buca lo schermo con tutta la sua goffaggine e il suo humour. E proprio per questo risulta molto affascinante, ma soprattutto avvicinabile: pur attraverso un processo di cambiamento esteriore (raccontato in modo comunque molto intelligente e mai ridotto ad uno stereotipo), dentro rimane sempre fedele a se stessa. E poi si arriva al tema del lookism, termine che sebbene sia ancora poco conosciuto incarna un atteggiamento che ha avuto per molto tempo, e che tutt’ora ha, tratti quasi sistematici all’interno della nostra società: il trattamento discriminatorio che ricevono gli individui considerati fisicamente poco attraenti. Ancora una volta True Beauty non si perde in trattazioni, non pone domande e piuttosto decide di agire.
Senza dire quasi nulla, True Beauty ci ricorda una cosa tanto semplice da sembrare quasi infantile: la bellezza è qualcosa di soggettivo.
E se il bello è negli occhi di chi guarda, la percezione di qualcosa di “bello” cambia da persona a persona. Non vi resta che giudicare da voi. Menzione d’onore ai protagonisti maschili, Cha Eun-woo e Hwang In-yeop, che non sono solo fisicamente prestanti ma, come direbbe qualsiasi saggia nonna italiana, sono “belli dentro”.
E prima che qualcuno dica che “non serve una serie come True Beauty per ricordarci qualcosa di così scontato”, pensate a tutte le volte in cui vi siete sentiti meno degni perché paragonati a qualcun altro. Non rivalutate solo le serie coreane, fate di più: partite da ciò che vedete davanti allo specchio.