Mahershalalhashbaz è il nome sognato una fredda notte invernale da una ragazza di appena sedici anni, poco più di una bambina che ha amato intensamente e che porta ora questo amore con sé. Mahershala è il grido biblico di chi si affretta a far bottino, a prendere tutto per sé. Il nome del figlio del profeta Isaia. Un nome da guerriero, da condottiero sicuro di sé e sfrontato. Ma il piccolo Mahershala Ali per tanti, troppi anni si è sentito altro rispetto al suo nome. Si è sentito l’uomo in cerca del suo nome.
Mahershala nasce da un amore acerbo, tanto intenso quanto immaturo.
Un amore che brucia forte e si consuma in fretta. L’equilibrio del suo nome a Mahershala manca fin dal primo momento, fin dal primo ricordo, da quella volta in cui guarda sua madre piangere e sente dirgli: “Tuo padre è andato via“. La terra gli manca da sotto i piedi e la prima emozione che ricorda, il primo sentimento che prova è quello di una tristezza pesante. La fiamma ha bruciato intensamente e il padre ora segue nuove passioni, brucia di nuova vita inseguendo il sogno della danza e viaggiando di luogo in luogo lasciando alle spalle la sua vecchia vita e suo figlio. A Mahershala rimane la madre e un vuoto dentro. “Mi opprimeva una tristezza, una malinconia. È sempre stata con me“, ha confessato a The Hollywood Reporter.
La vita a Oakland negli anni ’70 non è facile. Lo è ancora di meno se le tue finanze sono disastrate. Madre e figlio si barcamenano come possono, vivono in una dignitosa indigenza che si avvicina molto alla povertà vera e propria. E non va meglio quando nella vita del ragazzo appare il patrigno, uomo duro e intransigente con pochi soldi e di lì a poco perfino senza un lavoro. Mahershala cresce nel rigore ottuso di chi gli impedisce di avere appuntamenti e uscire con gli amici. Non c’è equilibrio nella vita di Mahershala, non c’è luce nel suo cammino.
Non c’è il nome da guerriero, Mahershalalhashbaz, di qualcuno pronto ad ghermire ogni opportunità.
Tutt’attorno invece gli altri sembrano riuscirci. Il cugino, per esempio, che con rapacità, spacconeria e machismo si impone nelle gare di BMX diventando un professionista. Mahershala, invece, pure rifugiatosi negli sport, non riesce a eccellere, non ha quell’ostinazione convinta e sfrontata di chi gli sta attorno. “Mi faceva paura. Non ero né carne né pesce e provavo inutilmente a trovare un’equilibrio“. Quell’equilibrio che invece vede attorno a sé e che pure gli dà forza. Ma le cose sono destinate a cambiare.
La sua comunità sta per disgregarsi: i giovani, eclettici, liberi amici di suo padre di colpo cadono uno per volta sotto il peso di una malattia che negli anni ’80 fa paura solo nominare, l’AIDS.
Di loro aveva ammirato tutto, il sentirsi così in pace con loro stessi, l’essere tanto sicuri della propria strada. Il vivere sempre cogliendo il meglio. Erano Mahershalalhashbaz, facevano bottino di ogni attimo di vita. E così anche i suoi parenti. Quegli zii e amici di famiglia che sembravano essere usciti dalla povertà, che parevano avercela fatta, sfruttando ogni occasione, accaparrandosi tutto. E che ora finivano in galera come spacciatori oppure morti ammazzati. Loro, che erano stati per anni i suoi modelli. Il mondo esterno crolla, l’equilibrio va in frantumi togliendo così a Mahershala quell’unico appiglio di speranza che gli rimaneva. Non ha più guide, non ha riferimenti.
Vaga senza meta tra eccessi. Senza nome.
E anche il destino di chi sembrava aver trovato la sua strada, nello sport come nell’arte, crolla d’improvviso. “È stata dura. Ho visto così tante persone che avevano una qualche forma di genio che ammiravo, sportivo, accademico o artistico che per le circostanze della vita sono sprofondate nella mediocrità“. Se non ce l’hanno fatta loro che sembravano così “in bolla”, così convinti del loro equilibrio e della strada intrapresa, come avrebbe potuto farcela lui?
Mahershala non riesce a dormire, sperimenta la silenziosa tortura dell’insonnia. Il tormento che ha dentro non lo lascia mai, i pensieri si affollano, il corpo desto, pronto a far fronte a un nemico invisibile ma pure presente. E al ragazzo non resta altro che provare ad afferrare un magro bottino, fatto di notti pensierose e piani per il futuro. È allora, però, che scopre la terapeutica routine di mettere ogni pensiero su carta. Inizia a buttare tutto fuori, esprime sul foglio le sue preoccupazioni, speranze, dubbi e idee per uscire da quel disequilibrio che vive dentro e fuori di sé. Per ricongiungersi al suo nome.
Nel frattempo, però, i rapporti con i genitori non migliorano. L’incomunicabilità cresce giorno dopo giorno finché non scopre semplicemente di guardare a sua madre come a un estraneo. “Non è che i miei genitori non credessero in me, semplicemente non mi capivano”. Mahershala è da solo, più solo che mai, con tanti progetti e paracaduti per il futuro ma senza una reale luce che gli dia equilibrio. Prova a puntare tutto sullo sport, su quell’attività che lo allontana, per un istante, dal suo insonne rimuginare. Sarà la scelta decisiva, anche se non come immagina Mahershala.
Vince una borsa di studio per il basket e approda al Saint Mary’s College.
Qui non impressiona tanto l’allenatore quanto un’altra insegnante che nei suoi movimenti, nel portamento, nel modo di fare ci legge un’eleganza e un potenziale raro. Lo avvicina decisa e senza giri di parole la professoressa Rebecca Engle gli comunica che sarà nella rappresentazione teatrale del suo Otello. Mahershala è perplesso, confuso, senza il giusto equilibrio per prendere una scelta sensata. Dice di no, con garbo e indecisione. Ma Rebecca non demorde, lo tampina, gli sta addosso. Mettiamo in scena Spunk di George C. Wolfe, non accetto un no come risposta. D’improvviso in lui riaffiora una memoria dal passato. In lui torna viva l’immagine del padre che lo aveva portato a vedere proprio quella rappresentazione teatrale. Un ricordo felice e indelebile. Mahershala accetta. È un successo totale, standing ovation a ogni nuova riproposizione dello spettacolo.
Mahershala ha afferrato di colpo il suo bottino, si è riscoperto, inaspettatamente, padrone del nome che porta. “È stata la miccia: ho percepito che era l’unica cosa che avrei potuto fare e che scegliere qualunque altra cosa mi avrebbe allontanato dalla mia strada“. Ora sa cosa vuole fare, sa cosa deve fare. Ha visto con i suoi occhi il fallimento di chi gli sta intorno e capito cosa è mancato a ognuno di loro: quell’ostinazione devota, passionale, missionaria che aveva invece portato suo cugino a diventare un professionista di gare in BMX.
Ma l’equilibrio ritrovato è destinato a non durare.
Muore il padre dopo una lunga malattia e con un profondo rimpianto per Mahershala: non avergli mai potuto mostrare la sua abilità nella recitazione, in un arte che avrebbe potuto di colpo riavvicinarli e metterli in connessione. Inizia così per Mahershala una nuova, disperata ricerca di equilibrio nella consapevolezza che il suo nome non basta più, che arraffare tutto quello che la vita offre non è una risposta soddisfacente.
Ed è così che, in cerca di nuove risposte, Mahershala troverà un nuovo, secondo ma altrettanto importante nome. E anche qualcos’altro. Quando incontra Amatus nella scuola di specializzazione, lui è un uomo in cerca di risposte, lei una donna con qualche risposta di troppo. Non è sicura di voler continuare ad abbracciare l’Islam che l’ha accompagnata per tutta la vita avendo un padre imam. Mahershala partecipa alla preghiera in moschea più per seguire lei che per altro, anche se dentro di sé non manca un germe di curiosità.
Quando la preghiera inizia Mahershala non capisce le parole in arabo ma percepisce immediatamente un‘innata connessione con quel luogo, quel suono, quella religiosità. Scoppia in pianto. “Ricordo di aver visto l’imam pronunciare la khuṭba, il sermone, e poi fare la preghiera collettiva. E ho iniziato a piangere. Non capivo bene perché stavo piangendo, perché la preghiera era in arabo e non riuscivo a capire l’arabo. Stavo semplicemente piangendo in un modo che non avevo mai sperimentato prima“. Una settimana dopo, a New York, durante la pausa natalizia, si sveglia con il fortissimo desiderio di andare alla moschea.
Si dirige a Brooklyn. La moschea è gremita.
Inizia la preghiera e di nuovo Mahershala sente in sé un irresistibile spinta a lasciarsi andare. Piange ancora, libero e in profonda connessione con tutto ciò che gli sta attorno. Qualcuno gli batte sulla spalla. Mahershala si asciuga le lacrime, si gira verso di lui, lo guarda ancora scosso. “Sei musulmano?”, gli domanda quello. “No”. “Vorresti esserlo?”. “Sì”. Vanno dall’imam e Mahershala abbraccia così il suo secondo nome, Ali, quel nome che completa e arricchisce il primo. Il nome che lega la devota passione artistica propria di Mahershalalhashbaz con la spiritualità carica di amore e speranza di Ali.
Amatus diventa sua moglie e madre di sua figlia mentre dopo qualche passaggio a vuoto (sapevate che è uno dei 5 attori delle Serie Tv che hanno perso un grande ruolo per colpa di un’audizione orribile?) arriva improvvisa la candidatura per un film a basso budget, un progetto senza troppe pretese ma con tanto valore al suo interno. Moonlight, partito dal nulla, diventerà il primo film con cast totalmente afroamericano a vincere l’Oscar e Mahershala Ali il primo musulmano a conquistare la statuetta. In quelle tematiche LGBT Mahershala Ali rivede la fiera libertà degli amici di suo padre, li omaggia così, a modo suo, nell’unico modo che gli riesce bene, recitando. Fa la parte di uno spacciatore dal cuore buono, caricandosi così addosso anche le immagini di parenti e amici del suo passato, di tutti quelle persone che non ce l’hanno fatta ma che l’hanno aiutato a capire come riconquistare il suo nome.
Due anni dopo si ripete in Green Book. Nuovo Oscar e fama mondiale.
Questa è la storia di Mahershala Ali, di un uomo che ha cercato per tutta la sua vita di riconquistare la propria identità, che ha inseguito un equilibrio difficile ma ora finalmente raggiunto. La storia di un uomo che, alla ricerca del suo nome, ha scoperto di averne due, entrambi imprescindibili per la sua fame di recitazione e per la spiritualità delle sue emozioni. Mahershala Ali, l’uomo che ha trovato il suo nome.
Una piccola curiosità a margine: sapevi che in The Last of Us il protagonista della serie sarebbe potuto essere proprio Mahershala Ali?