“Mi manca Rust Cohle”; Matthew McConaughey
Rustin Spencer Cohle. Un nome, mille sfumature. Un moderno Zarathustra che avanza solitario tra le frattaglie di un mondo abbandonato a se stesso. Magnetico, affascinante e disorientante, Rust tocca, a tratti sciocca i nostri sensi e la nostra coscienza come pochi altri prima di lui. Si finisce con il credere che questo personaggio immaginario sia, in qualche modo, la proiezione di quella parte più cupa e celata che alberga nel nostro essere uomini. Ciò che ci lega al ruolo disegnato intorno a McConaughey in “True Detective” è un legame intimo e atavico (pronti a rivederlo nella terza stagione? leggete qui per i dettagli).
Forse la parola “amore” non è quella adatta per descrivere quanto suscitato da questo personaggio così perfetto nella sua imperfezione. L’esperienza emozionale che ci troviamo a subire ammirandolo è ben più simile a quella della sindrome di Stendhal, perché Rust Cohle si può definire un’opera d’arte dei nostri tempi. La sua espressione così passiva e tormentata, le membra tese ed elettriche e una dialogica spiazzante ci turbano e allo stesso tempo cullano durante tutta la visione. Si potrebbe rimanere ore e ore a contemplarlo nel tentativo di cogliere la scintilla primordiale che brucia in fondo ad un’anima e ad un pensiero che vanno “oltre” l’uomo.
Rust è l’eccesso in terra. Imitarlo? Impossibile. Ispirarsi a lui? D’obbligo.
Sveliamo dieci motivi per amare Rust, uomo unico e allo stesso tempo così vicino a noi e addentriamoci un passo dietro l’altro nell’oscurità che avvolge questa figura, in un percorso che vuol dire scoperta di se stessi.