«Ho un forte sospetto: abbiamo il mondo che ci meritiamo» dice la tag-line della seconda stagione di True Detective. Se ha ragione Ray Velcoro, il mondo che ci meritiamo è una specie di Sin City a colori, un’ afosa, marcia e corrottissima California popolata da malfattori, ma, diciamocelo, anche da personaggi super sexy. Già dalle prime puntate della seconda stagione i paragoni con la prima erano sprecati. Certo, eguagliare una stagione che ha fatto andare in tilt il server della HBO, costringendo l’emittente a sospendere lo streaming a causa del numero di utenti connessi, non è di certo un gioco da ragazzi, specie quando una seconda stagione è raramente all’altezza della prima. Solitamente, i sequel hanno più una funzione di conferma della qualità del prodotto. Il secondo album è sempre il più difficile, canta Caparezza, e questo vale per tutti i lavori creativi, anche per le serie tv.
Ok, va ammesso che – per ora – la trama è ingarbugliata. Cioè… un bel po’ ingarbugliata. Intendo dire che ci sono dei passaggi, alcuni anche piuttosto importanti, che sono chiari come se…mmm… come se ce li stesse raccontando Luca Giurato, ecco!
Tuttavia, la serie antologica ideata e sceneggiata da Nic Pizzolatto tiene bene il ritmo dell’azione (e quando si parla di poliziesco, il ritmo è fondamentale). La storia narrata, forse, è meno coinvolgente della prima. Si è passati dal binomio Rust – Marty, al quartetto (non d’archi, ma d’armi) di Ray, Ani, Paul e Frank. Va da sé che se i personaggi principali raddoppiano, non dico ci sarà il doppio del casino, ma per lo meno avremo un rapporto proporzionale. Quale sarebbe, dunque, il vero punto di forza di questa seconda stagione, se gliene dovessimo trovare uno? Da buoni critici, per rispondere a questa domanda, dovremmo tirare fuori dai nostri migliori cilindri fantomatici richiami conandoyliani presenti in ogni buon thriller, un manoscritto segreto di Hegel che spiegasse come applicare correttamente la dialettica alla trama di un giallo per renderla efficace e altre stronzate sciocchezze simili. Invece, noi ce ne freghiamo a noi non importa: non saremo buoni critici, saremo solo persone oneste. E è da persone oneste che vi diciamo che il punto di forza numero uno della seconda stagione di True Detective è che i quattro personaggi principali sono quattro figaccioni da assalto bei figlioli! Sono dannati e sono belli. Sono dannatamente belli.
Altro che I Fantastici 4, loro sono I Sexissimi 4!
- Raymond “Ray” Velcoro: poliziotto nell’industriale, malfamatissima e fittizia cittadina di Vinci (molto simile alla vera città di Vernon, 10 km da L.A., nella quale sono state girate alcune scene e dalla quale la cittadina finta prende ispirazione) che si trova colluso con il “gangster” Francis Frank Semyon. Non è di certo un tipo dal temperamento sereno, ma voi lo sareste se viveste in una città con un altissimo tasso di criminalità, dove vi hanno stuprato la moglie e voi pensate di averla vendicata – per poi scoprire che vi hanno fregato – e questa vi ha lasciato per stare con un mezzo damerino e voi passate il tempo libero a fare il giustiziere mascherato (ma mica sempre mascherato) e a spaccare di botte chi non rispetta il vostro codice morale e a registrare i vostri pensieri a un figlio che manco sapete se è figlio vostro o della violenza subita dalla vostra donna e che forse vi verrà tolto? Ecco, e già qui siamo al livello 9 di sexaggine, per il genere: Sexy e dannato. Aggiungete che l’interprete è quel fustacchione di Colin Farrell e abbiamo chiuso il cerchio! E ce ne è per tutti i gusti! Vi piacciono i baffi? Ray ha i baffi. Non vi piacciono i baffi? Ecco, Ray non ne ha più. Certo, il tipo parla poco, più che altro sussurra, e non pare si lavi nemmeno più di tanto. Abusa di sostanze e alcool e il rancore e la sete di vendetta gli scavano dentro con una violenza tremenda, ma è questo a conferirgli fascino: il fatto che creda ciecamente in una giustizia che non è né quella di Dio, né quella dello Stato, né quella della malavita, ma la sua. E conosce il prezzo di questa giustizia: la propria anima.