“Ad un certo punto quando ero immerso nell’oscurità, so che qualcosa… qualsiasi cosa fossi diventato, non era neanche coscienza. Più una indistinta consapevolezza.”
Rust Cohle (True Detective, st. 1)
Si tratta sempre di evolvere. Stasi e movimento sono lo stesso mezzo di un’esistenza che si rivela perciò deterministica, e che conduce a un’inevitabile trasformazione. Cambiamo stando fermi tanto quanto lo facciamo muovendoci, avendo l’illusione di cambiare rotta per diventare “qualcos’altro”.
Si tratta sempre di evolvere. Anche quando l’epifania è il risultato di una discesa passiva, una stanca fusione con l’ambiente che ci circonda e che restituisce un sapere meditativo.
Si tratta sempre e solo di evolvere, ed è quello che fa True Detective 4 (dal sottotitolo Night Country) a partire dalla sigla, diventando qualcos’altro pur restando la stessa cosa.
Prima di True Detective 4 (Night Country), l’abbiamo già visto succedere: l’inizio di qualcosa carico di aspettative, che esordisce spezzando il climax distintivo l’opera.
La seconda stagione di True Detective si era presentata sulle note della Nevermind di Leonard Cohen. Una dichiarazione d’intenti chiaramente mirata ad affermare una matrice folk che però si allontanasse dalla nicchia, al fine di abbracciare un beat dalle sonorità più pop. Quella Far From Any Road degli The Handsome Family che vestiva la sigla della prima True Detective si ascoltava col sole sotto le mani, quello stampato sul manubrio consunto di una Cadillac Eldorado lanciata sull’asfalto bollente della Louisiana. La sigla conteneva trama e luogo della serie, e lo stesso obiettivo aveva la sigla di True Detective 2.
È per questa ragione che l’essenzialità musicale (il folk), che cattura l’aspetto più filosofico della serie, ha avuto l’obbligo di combinare l’elemento ambientale a ogni stagione. Così ha finito per disegnare l’atmosfera torbida e corrotta, la puzza di vicoli ciechi e tombini ribollenti di Vinci, della seconda stagione. Lo stesso accade oggi, con True Detective 4 e l’opening di Billie Eilish. Per quanto spiazzante e apparentemente inadatto sia il binomio.
Ad anticipare la sigla di True Detective 4 è una finta citazione di Hildred Castaigne che squarcia lo scenario gelido dell’Alaska.
Finta perché, in realtà, inventata da Issa López per costruire un presunto collegamento con la prima stagione.
Perché non sappiamo quali belve sogna la notte, quando il buio dura così a lungo che nemmeno Dio riesce a restare sveglio.
Hildred Castaigne
È nell’analisi “logica” di questa citazione che, proprio per la sua natura pretestuosa, possiamo trovare il senso di questa stagione e dell’azzeccata scelta di Bury A Friend. Nella misura in cui le “belve” sono il nostro complemento e la notte uno dei nostri soggetti. Ma andiamo per gradi, partendo dal motivo per cui Issa López ha affermato di aver scelto il testo di Billie Eilish. Anzi, sembrerebbe quasi che il processo creativo sia partito anche dalla canzone stessa. È proprio ascoltando Bury A Friend durante la scrittura, infatti, che Issa López ha affermato di aver visto “unirsi tutti i puntini”. Nella malinconica e ironica poetica di Billie Eilish, prende forma buona parte dell’estetica (il mezzo, la conduzione metaforica) di True Detective 4.
A partire dalle parole che scandiscono il ritornello di Bury A Friend (qui trovate il testo completo).
What do you want from me? Why don’t you run from me?
Bury A Friend – Billie Eilish
What are you wondering? What do you know?
Why aren’t you scared of me? Why do you care for me?
When we all fall asleep, where do we go?
Billie Eilish ha definito “il mostro sotto al letto” il vero soggetto di Bury A Friend, e al tempo stesso definisce quel mostro se stessa.
Questo in quanto demiurgo che dà forma al mostro stesso. Billie Eilish si autoritrae di stellato e, come lo spettatore di True Detective 4, diventa quella notte. Quella forza generante il dubbio, le incertezze. L’horror vacui che deve essere nella sigla tanto quanto è nell’ambientazione silenziosa e spaventosamente sconfinata di questa nuova stagione. Così come fanno tutte le sigle prima di questa, a loro diverso modo.
David Lynch dice che “Le ambientazioni, talvolta, diventano personaggi”, e per un’opera che sin dalla prima stagione condivide un’esistenzialismo nichilista con la madre delle serie, Twin Peaks, questo concetto diventa più che mai attuale. La notte di True Detective 4 è sia il protagonista che l’ambientazione, così come il mostro sotto al letto di Bury A Friend è sia la paura che l’uomo destinato a generarla. Il “dove” che si tramuta in “chi” è anche la risposta al motivo portante della canzone: “quando ci addormentiamo, dove andiamo?”. O meglio, traducendo il tutto con le parole di Hildred Castaigne (che, per i più attenti, è un chiaro rimando a Il Re Giallo, a sua volta riferimento alla prima stagione) nella citazione di apertura di True Detective 4: “noi/la notte quali belve generiamo/sogniamo, quando siamo irrimediabilmente soli/dormiamo?”.
Un pizzico di misantropia, esasperata e portata all’abiura di sé, caratterizza la sigla di True Detective 4 e la avvicina come poche altre cose alla prima stagione.
C’è una superiore consapevolezza della nefandezza umana, una concezione dell’uomo come essere puramente contingente e caratterizzato da schematici impulsi. Ma stavolta non la si sente nella claustrofobia di una “mente maledetta e condannata” dal trauma come quella di Rust. Questa volta si percepisce nell’eterea vastità del nulla che è l’ambientazione, rappresentata da paure e incertezze che noi stessi creiamo “quando dormiamo“. Quando la ragione è assente; quando la coscienza manca così a lungo da diventare onirico. “Quando il buio dura così a lungo che nemmeno Dio riesce a restare sveglio“.
La sigla di True Detective 4 (Night Country) tocca alcuni dei temi esistenziali più apprezzati in True Detective 1, e nel rappresentare quel trascendentalismo meditativo di chi “diventa altro stando fermo” abbraccia anche la maledizione di sembrare parossistica. Inverosimile. Ma l’errore più grave che si possa fare nel valutare questo nuovo avvio di True Detective è inciampare sulla sottilissima differenza (che ha reso grande la stessa True Detective 1) tra fantascienza ed esoterismo. Perché è sulla seconda che True Detective 4 costruirà probabilmente un altro grande capitolo nella storia della televisione.
Silenziosamente, evolvendo stando ferma, nella consapevolezza che ha assunto stando nel buio per così tanto tempo. Così tanto che i suoi mostri sotto al letto ha imparato a conoscerli bene.
E non siamo certo noi spettatori.