La prima stagione di True Detective è da molti considerata la migliore miniserie degli ultimi anni; di fatto, ha avuto un grande successo e, come è ovvio in questi casi, il successo non si misura solo sul numero di persone che l’hanno vista o su quanti premi è riuscita a vincere. Se una Serie ha funzionato, si capisce anche e soprattutto da ciò che riesce a lasciare in ogni spettatore.
In questo senso True Detective possiede nella prima stagione qualità fondamentali: grandi interpretazioni (sono da brividi quelle dei protagonisti Matthew McConaughey e Woody Harrelson), condite da dialoghi straordinari (echeggiano con forza drama e filosofia); una storia coerente e tristemente realistica scritta da Nic Pizzolatto; una fotografia maestosa, resa epica sotto la direzione di Adam Arkapaw; infine, dulcis in fundo, una regia che ha scritto pagine importanti della televisione degli ultimi anni, quella di Cary Fukunaga. È di questi ultimi due aspetti, inevitabilmente legati quando si parla di art directing, che cercheremo di occuparci in questo articolo.
I registi provano sempre a lasciare il segno attraverso un proprio marchio identificativo o, al massimo, con la rivisitazione delle inquadrature cinematografiche classiche unita alla voglia di rischiare girando degli shot ambiziosi. In questo senso, Cary Fukunaga propone degli elementi caratteristici che vedono l’unione tra l’aderenza alla tradizione e una forte e ammirevole ambizione.
Egli è un regista giovane (classe ’77), ma potremmo definirlo un artista del cinema a tutto tondo: infatti i suoi lavori si sono distinti anche per la scrittura, la cura della fotografia e, ovviamente la regia. La vera e propria consacrazione è giunta proprio con True Detective, con cui ha vinto l’Emmy Award per la miglior regia in una miniserie nel 2015; fra i lavori di successo ancora più recenti, è giusto segnalare la sua presenza come sceneggiatore nell’horror dell’anno appena passato It, di cui inizialmente doveva curare anche la regia, affidata poi a Muschietti.
Dunque, entrando nel merito, si nota subito che Fukunaga ha una ampia esperienza nel campo della fotografia perchè una duplice caratteristica da segnalare, che dà forma alla sua regia, è quella da un lato dei dialoghi ripresi da lontano; dall’altro, quella delle cosiddette riprese dall’alto. Per quanto riguarda alcuni dialoghi, soprattutto quelli che vedono Rust e Marty interrogare e informarsi in giro in luoghi aperti, li vediamo soltanto da lontano o come osservatori esterni o dal punto di vista del detective che è rimasto in macchina senza seguire il partner. Questo è un modo per sfruttare il campo medio, mettendo quasi in sequenza le scene, e permettere allo spettatore di comprendere sia che stia passando del tempo sia, attraverso i dialoghi, carpire notizie che saranno utili successivamente. Ciò spiega anche perchè True Detective è una Serie per spettatori attenti.
Il secondo aspetto, quello delle riprese dall’alto, tocca inevitabilmente la questione fotografia e la collaborazione con Adam Arkapaw (noto principalmente per Animal Kingdom). Si tratta di numerosi campi lunghi (e lunghissimi) che hanno una filosofia e una organizzazione ben precisa; innanzitutto, a parte per la scena in piano sequenza di cui parleremo a breve in cui è stata usata una digitale, per girare sono state utilizzate macchine con rullini Kodak (vecchio stile, insomma).
Quel che preme sottolineare in merito alle riprese in campo lungo è il come e il perchè: girare queste scene spesso serve alla storia per evidenziare la desolazione e l’umidità che caratterizza il paesaggio della Louisiana, in un senso di perdizione fortemente condiviso e vissuto da tutti i protagonisti, che sono a loro volta persi. Oltre alle citate riprese dall’alto (soprattutto per testimoniare gli spostamenti in macchina dei due detective), merita una menzione la scena dell’incendio notturno (durato ben 90 minuti nella realtà quando doveva durarne 15) con cui di fatto si apre la Serie. Girato con cinque telecamere posizionate in zone diverse il cui obiettivo era, a detta di Arkapaw, quello di “portare gli spettatori verso qualcosa di cinematografico attraverso la televisione”.
Non va dimenticato, inoltre, che True Detective è raccontato per lunga parte su due linee temporali diverse e, dal punto di vista visivo, i racconti del presente si inseriscono come descrizioni degli eventi del passato.
Ottenere questo effetto-incastro (pensiamo all’interrogatorio di Rust nel 2012 con la sua voce in sottofondo e al tempo stesso alle immagini di come non riusciva a dormire nel 1995) richiede una grandissima operazione di montaggio e di unione tra regia e fotografia. Sempre in riferimento a queste scene, si pensi ai colori: la grande prevalenza del giallo nella casa di Rust doveva avere l’intenzione, secondo Fukunaga e Arkapaw, di rendere visivamente accettabile un posto in cui mai nessuno degli spettatori avrebbe voluto vivere.
Veniamo, dunque, alla ciliegina sulla torta ben preparata dal trio Fukunaga-Pizzolatto-Arkapaw: il piano sequenza dell’episodio 1×04, Who Goes There. In un’intervista al The Guardian, Fukunaga ha dichiarato che la prima cosa che ha detto a Pizzolatto (sceneggiatore e creatore della Serie) è stata:
“Una delle mie priorità come regista è quella di difendere il mestiere indipendentemente dai limiti di tempo e budget”
L’arte, il mestiere, la passione prima di tutto dunque. L’ambizione, in questo senso, è lampante: con il long shot dell’episodio 1×04, Fukunaga ha dimostrato di non essere uno dei tanti. La circostanza in cui la scena si sviluppa prevede diversi spunti interessanti: è la prima e unica volta in cui non ci sono interruzioni temporali che riportano la storia nel 2012, per più di 10 minuti (di cui 6 sono di piano sequenza); si vive, inoltre, una costante sensazione di tensione non solo per eventuali proiettili che potrebbero da un momento all’altro colpire i protagonisti, ma soprattutto per il fatto che Rust non deve essere scoperto. Proprio questo era l’obiettivo del regista.
Nella scena, Rust e i criminali si ritrovano al centro di un’incredibile sparatoria con altri delinquenti e con la polizia. Il piano sequenza si concentra quasi tutto il tempo su Rust e sul trafficante suo conoscente che tiene bloccato con un braccio: per 6 minuti lo spettatore è catapultato in questo scontro incredibile tra corsa, spari, interni di appartamenti ed esterni (con un vero e proprio capolavoro nella parte in cui i due personaggi attraversano un intera casa e la telecamera li segue non da dietro all’interno, ma lateralmente all’esterno), chiamate al cellulare (l’interpretazione di McConaughey è impressionante) e, ovviamente, tanto movimento.
Questo modo di fare televisione coinvolge lo spettatore all’ennesima potenza, trasmettendo tutte le sensazioni provate dai personaggi: ansia, paura, adrenalina, non si riescono a staccare gli occhi da questa scena. Fukunaga ha dichiarato che per girare la scena alla perfezione hanno impiegato un giorno e mezzo di girato e sette ciak: un long shot, infatti, implica la modulazione di una sequenza attraverso una sola inquadratura, che generalmente si cerca di rendere abbastanza lunga. Detto in parole povere, si tratta di scene che non subiscono il montaggio e quindi non sono tagliate: o scorre tutta alla perfezione, oppure si interrompe e si ricomincia.
In conclusione, dunque, si può esser certi di una cosa: se le 8 puntate della prima stagione di True Detective sono risultate così godibili e piacevoli è grazie all’unione dell’ambizione di Fukunaga con quella di Pizzolatto i quali, insieme con Arkapaw, hanno creato una chimica pazzesca regalando qualcosa che ha scalfito le anime della maggior parte degli spettatori. Chimica di cui ha purtroppo fatto a meno la meno fortunata seppur valida seconda stagione.