Lo chiamavano l’Esattore. No, non è un titolo di un film spaghetti western, è molto di più. L’esattore è un nome che rimarrà scolpito nella storia della serialità mondiale, un monumento. Lo chiamavano l’Esattore perché a differenza di tutti i detective non si appuntava le cose su dei comuni post-it, ma aveva cartella e fogli grandi come quegli occhi con cui vedeva oltre il velo di Maya della malvagità della gente. E su quei grandi pezzi di carta ruvida ci scriveva idee, ci disegnava corpi senza vita delle sue indagini. Ma vi abbiamo spiegato il come e il perché senza dirvi il chi e il dove. Il dove è True Detective, il chi è Rust Cohle.
Questo non è un semplice articolo, bensì un omaggio a uno dei personaggio migliori di tutta la storia della serialità televisiva. Parliamoci chiaro: chiunque abbia visto True Detective non può non amare Rust Cohle. Il carattere creato da Nic Pizzolatto (ecco la sua idea folle per la quarta stagione) e messo in scena da Matthew McConaughey è qualcosa che va oltre il pensabile. Rust è un investigatore dell’animo umano, un filosofo post-moderno decadente e nichilista. Il detective Cohle è un conglomerato di emozioni, uno specchio della società attuale.
Rust è il punto a cui siamo destinati ad arrivare nel momento in cui ci renderemo conto che tutto quello a cui diamo la caccia è il nulla cosmico, e cosmico sarà da quel momento in poi il pessimismo da noi provato.
Rust Cohle è la nostra coscienza che in True Detective cerca di risollevarci dal torpore primordiale.
I suoi monologhi, le sue teorie. Tutto quello che dice ai due detective che lo interrogano lo dice anche a noi che lo guardiamo. Rust prova a offrirci una visione differente della vita, prova a spiegarci che il nostro correre dietro al nulla ci porterà alla rovina. L’esattore che diventa filosofo e che ci conduce in mezzo alla tenebre con la fiaccola della conoscenza a illuminare la nostra via. Rust prova a squarciare quel Velo di Maya che offusca i nostri occhi e che non ci fa vedere la “realtà”: il mondo è dolore e male, e noi siamo come kart che girano in una pista per una vita intera.
Anzi, per tutte le vite che viviamo, vivremo e che abbiamo vissuto.
Siamo delle cose insignificanti, che non dovrebbero esistere, secondo Cohle.
Tutto questo dramma, questo pessimismo cosmico, è frutto del passato di Rust. Una figlia morta, una moglie che lo incolpa, una vita da infiltrato, una vita da soldato. Una vita nel dramma, appunto. E il dramma ce lo veicola in maniera magistrale. Matthew McConaughey attraversava un periodo di grazia in quel momento. Prima Dallas Buyers Club, l’Oscar e la gloria cinematografica. Poi True Detective e la gloria televisiva. Un paio di mesi che hanno segnato la carriera dell’attore e che hanno reso iconici i suoi personaggi. Rust è la summa di tutto questo.
Ma nonostante tutto questo dramma, per Rust in fondo al tunnel c’è la luce.
I sogni, le allucinazioni, Carcosa e il Re Giallo. Alla fine di tutto questo sembra esserci una flebile fiammella di speranza che illumina la notte.
La scena finale di True Detective è il concentrato di tutta la speranza che torna a crescere in Rust, dopo il buio del triste pessimismo che lo ha sempre circondato. C’è una storia, come dice Rust, la più antica di tutte: il bene contro il male, la luce contro l’oscurità. Nella notte eterna in cui noi tutti stiamo vivendo, sembra che le tenebre stiano vincendo.
Ma non per Rust, non per un uomo che per anni ha guardato i cieli dell’Alaska disegnando storie tra le stelle. Per lui la luce sta vincendo, finalmente, ed è pronto a mostrarcelo.