Una premessa che è lecito fare è che l’articolo qui presente è dedicato alla prima stagione di True Detective, detto ciò possiamo anche iniziare. La Serie Tv scritta da Nic Pizzolatto (che presto avrà una terza stagione) conserva fino alla fine la sua potenza narrativa. E non perché l’interpretazione magistrale di Matthew McConaughey lascia lo spettatore avvinto al susseguirsi degli eventi. No, la vera ragione è che in True Detective la caccia al serial killer è soltanto un pretesto. Il vero nucleo della storia è la discesa negli inferi dei protagonisti alla ricerca del senso dell’esistenza.
Se si riduce, infatti, True Detective ad un semplice crime drama si rischia di rimanere delusi. Nell’epilogo delle vicende rimangono molti punti oscuri, il male non viene arginato, non tutti i colpevoli vengono assicurati alla giustizia, a dirla tutta l’esecuzione di Reggie Ledoux e l’uccisione di suo cugino DeWall e di Errol Childress assegnano un punto alla squadra dei criminali: l’unica persona che la polizia riesce ad arrestare è mentalmente instabile e non sarà in grado di aggiungere i tasselli mancanti alle indagini, e la morte, per soggetti tanto abietti, non può che costituire un sollievo. L’’intreccio, di fatto, non viene sciolto completamente. Il racconto non torna del tutto, i requisiti del poliziesco non vengono soddisfatti.
La spirale distinguibile sui corpi delle vittime è la rappresentazione visiva dell’intero significato della narrazione e della sua struttura, dà una forma concreta alla conclusione che non tutte le tessere vadano a posto e che il cerchio non si chiuda. Se per il detective Cohle è uno degli indizi che fanno sospettare sin dalle prime battute che l’omicidio di Dora Lange non sia isolato e sia da ricondurre a un rituale satanico, ad un livello trascendentale il simbolo che dagli albori dell’umanità accompagna i corredi funerari rappresenta il percorso che compiono i due protagonisti: rimanda alla vita dopo la morte, alla rinascita, all’evoluzione; alle seconde possibilità. È la traduzione grafica della ciclicità della vita. La spirale racchiude la concezione nietzschiana dell’eterno ritorno su cui si regge True Detective, ma rappresenta anche la vertigine che coglie chi guarda nell’abisso.
Mentre seguiamo le indagini, mentre cerchiamo di ricostruire in maniera ordinata e lineare il quadro della storia che Cohle e Hart stanno riportando nell’interrogatorio separato, capiamo che le vicende umane dei protagonisti hanno un peso importante nella storia. E ci accorgiamo anche che ci stiamo smarrendo insieme ai suoi personaggi. Noi stiamo tentando di orientarci nel racconto, loro nella vita. Stiamo vagando in un labirinto, e l’andare avanti e indietro nel tempo, i vicoli ciechi, riproducono questo movimento erratico. Questi meandri complicati si materializzano davanti ai nostri occhi quando finalmente, dopo diciassette anni, i due detective trovano la misteriosa ‘Carcosa’: una successione di stanze e corridoi di rami intrecciati dove sono sepolte le macerie dei sacrifici umani consumati. Lo sviluppo delle vicende ci ha condotto all’interno di un archetipo universale: il labirinto. Come Teseo Cohle deve fronteggiare una creatura mostruosa, infatti Childress non è solo malvagio, egli incarna l’orrore, per porre fine al tributo di sangue che il Sud della Louisiana paga da oltre vent’anni.
Ma la lotta con il mostro diventa anche lotta contro i mostri che si celano dentro di lui.
Labirinto simbolico inteso come perdita della rotta, e sua successiva riconquista (una volta superate le prove), impossibilità di raggiungere la verità assoluta (il guardiano del cimitero è uno degli autori delle violenze, ma là fuori ce ne possono essere tanti altri). Il suo centro, l’antro dove avviene lo scontro finale, è l’emblema del grembo materno: dall’oscurità dell’utero dopo il travaglio – le estenuanti ricerche che culminano nelle ferite quasi mortali ricevute da Rust e Marty – viene alla luce una nuova vita. La rinascita passa dall’esperienza personale della morte, come una Fenice Cohle torna alla vita e riesce, finalmente, a elaborare il lutto.
Se Rust è consapevole dei propri lati oscuri Marty, invece, non si rende conto di essere tutt’altro che un brav’uomo – tradisce sua moglie Maggie, eccede nell’alcol e si dimostra un padre distratto. Per questo Rust è forte, Marty no, e ha bisogno di lui per guardarsi allo specchio e riconoscere la sua vera natura. In altre parole sono cattivi, ma stanno dalla parte giusta.