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Non avevamo mai colto fino in fondo il valore di Sylvester Stallone

Adriana! Adriana!“.
Io sono la legge! Gettate le vostre armi! Tutti gli occupanti sono dichiarati in arresto! Questo è l’ultimo avvertimento!“.
“Adesso lo spedisco nella fascia dell’ ozono“.
Qui la legge si ferma e comincio io, str***o”.

Le avete riconosciute? Sono solo alcune tra le battute più ricordate pronunciate da Sylvester Stallone, attore, sceneggiatore, regista, produttore cinematografico e pittore statunitense. L’attore di origini italiane è stato candidato a settantadue premi, compresi tre Oscar, due volte nel 1977 e una nel 2016 nelle categorie di miglior attore protagonista, miglior sceneggiatura originale e miglior attore non protagonista. Il suo palmares vanta la vittoria di un Golden Globe per come miglior attore non protagonista per Creed ma anche una sfilza di Razzie Award: ben dieci, un record assoluto, ma non l’unico.
L’attore, infatti, è presente nel Guinness World Records ben tre volte. La prima, grazie alla serie di film dedicati a Rocky, che tra il 1976 e il 2010 gli ha permesso di guadagnare, tra cinema e home video, oltre tre miliardi di dollari. La seconda, grazie a Rocky IV, “il film che ha incassato di più nella storia del cinema“. La terza, grazie al film John Rambo, che detiene il record di film con il maggior numero di decessi: 236, praticamente due morti e mezzo ogni minuto.
Ma non è finita qui. Stallone, infatti, è stato il primo a superare il tetto dei venti milioni di dollari come salario per il film Daylight – Trappola nel tunnel ma soprattutto, nel corso di ben sei decenni, è riuscito a essere l’unico attore della storia del cinema ad aver debuttato direttamente in prima posizione nei botteghini dei cinema statunitensi. Sei decenni: dagli anni Settanta ai giorni nostri.

Signore e signori: Sylvester Stallone.

I dati citati sopra sono veramente minimi, appena sufficienti per dare un’idea di chi sia l’attore americano, probabilmente tra i più famosi al mondo, sicuramente tra i conosciuti e riconosciuti. Per parlare di lui occorre ripercorrere la sua carriera cinematografica, iniziata nel 1969 con un ruolo nel film drammatico The Square Root, opera prima del regista Edmond Chevie (1922-2005). Di questo film si sa davvero poco o niente se non un paio di righe di trama che raccontano di uno studente universitario che fa un reportage di una festa a base di LSD in una spiaggia a Miami.
Un anno dopo, nel 1970, è protagonista di Italian Stallion – Porno proibito, una pellicola vietata ai minori di 18 anni nella quale Stallone dà dimostrazione di una intensa attività fisica ancora lontana da quella del ring di Rocky. Di questa pellicola Sylvester Stallone non si vanta ma certamente ma nemmeno ne prova vergogna: “vivevo sotto i ponti, letteralmente. Non potevo pagarmi l’affitto nemmeno di una stanza. L’ho fatto per poter mangiare, per non morire di fame. Ne vado fiero? No. Ma non provo rimorso o lo cancellerei dalla mia vita perché mi crea disagio. C’è. È successo. Non potevo fare altrimenti, all’epoca“.
Nel 1971 ha una microscopica parte nella commedia Il dittatore dello stato libero di Bananas, scritta e diretta da Woody Allen. “Allen, inizialmente non mi voleva. Diceva che non avevo il volto giusto per fare il delinquente. Forse ero troppo bello“, commenta ironicamente l’attore che ha dovuto supplicare il regista per fargli girare quei pochi metri di pellicola.
Dopo altre brevi apparizioni spesso nemmeno accreditate Stallone è tra i protagonisti di Happy Days – La banda dei fiori di pesco, insieme a Henry Winkler, il quale ha dichiarato che si ispirò proprio al personaggio interpretato da Stallone per creare il suo Fonzie. Per questa pellicola Stallone venne pagato con 25 magliette. Il film di per sé è piuttosto banale ma ha una curiosità: per la prima volta Stallone viene accreditato come sceneggiatore avendo riscritto diversi dialoghi suoi e dei suoi colleghi.
Siamo nel 1974 e l’attore italo americano tra un provino e l’altro studia da autodidatta la letteratura inglese. Il suo sogno non è soltanto quello di fare l’attore ma anche quello di scrivere per il cinema. E la lettura dei grandi autori, presi in prestito in una biblioteca, è un ottimo modo per sviluppare scrittura e creatività.

Rocky 640×360

Non capisco quegli autori che ci mettono anni per scrivere qualcosa. A me sono occorsi tre giorni per scrivere Rocky“.
Siamo nel 1975. Due tra i più grandi pugili di tutti i tempi, Muhammad Ali e Chuck Wepner hanno appena concluso il loro incontro. Stallone ne è rimasto affascinato tanto da scrivere la storia di Rocky in soli tre giorni. La sceneggiatura viene presentata in giro per gli studi cinematografici. Ad alcuni piace, ad altri no, altri ancora vorrebbero riscriverla da capo. Ma per Sylvester Stallone è o così o niente. Un aut aut categorico. Come tassativa è la pretesta di voler interpretare il ruolo di protagonista: o io o nessuno.
Non potevo pensare che il mio più grande capolavoro valorizzasse qualcun altro. Il personaggio di Rocky l’ho scritto per me. Piuttosto, il film, non avrebbe visto la luce“. Perentorio. Sicuro di sé. E con ragione. Rocky è un successo. Sbanca i botteghini. Stupisce la critica. Vince tre premi Oscar, miglior film, miglior regia, miglior montaggio, e un Golden Globe, miglior film drammatico. Soprattutto rende Sylvester Stallone una star del cinema mondiale.

Grazie a Rocky, infatti, la sua carriera ha una svolta. Nel 1978 escono due film: F.I.S.T. e Taverna paradiso. Di entrambi è sceneggiatore e protagonista. Del secondo è anche regista. Ambedue, però, non hanno lo stesso riscontro di pubblico e critica mettendo in crisi l’attore.
Per un momento ho creduto che la mia carriera fosse già finita. Certo, avevo avuto successo, potevo ritenermi soddisfatto. Ma non poteva essere tutto lì, finito, concluso“. Così Stallone indossa nuovamente i guantoni e torna sul ring per il secondo capitolo della saga di Rocky del quale è regista, sceneggiatore e, naturalmente, interprete principale. Rocky II sbanca i botteghini ottenendo maggiori incassi rispetto al primo. La critica è ancora positiva ma il film non ha più la stessa sorprendente potenza del primo.
Avevo in mente una trilogia. Rocky si dà alla politica, poi torna sul ring e chiude la sua carriera. Ma l’insuccesso ottenuto da F.I.S.T. e Taverna paradiso mi hanno fatto cambiare idea. Volevo parlare di quanto fosse spietato il mondo del cinema che prima ti osanna e poi ti butta via, volevo raccontare la caduta nell’oblio di un eroe e la sua capacità di rialzarsi e tornare a combattere“. Evidentemente scottato dall’insuccesso avuto con le due pellicole precedenti Stallone decide di tornare in un ambito a lui conosciuto, dentro il quale sa come muoversi, sa quali corde toccare.
Rincuorato dal nuovo successo, l’attore si allontana nuovamente dalla sua creatura per provare qualcosa di diverso: Falchi nella notte e Fuga per la vittoria.

I due film hanno un buon successo di pubblico e critica. Anche i botteghini rispondono bene. Se in Fuga per la vittoria Stallone interpreta un personaggio un po’ diverso da quelli interpretati finora, sempre a tema sportivo ma che non riprenderà più, in Falchi della notte l’attore apre le porte a un personaggio nel quale sembra trovarsi a suo agio: quello del duro ma con dei principi.
Il film ebbe non pochi problemi durante la produzione. Tra Sylvester Stallone e Rutger Hauer ci furono non pochi problemi dovuti soprattutto al carattere tempestoso dell’attore italo americano, che si credeva un Dio: “ero un vero st****o e nemmeno me ne rendevo conto. Mi era concesso tutto perché il mio era il nome della star ma in realtà meritavo solo tanti calci nel c**o. Ho chiesto scusa a Rutger, anni dopo ma lui, ridendo, mi ha detto che doveva solo ringraziarmi perché quel film gli ha svoltato la carriera“. Anche in post-produzione ci furono dei problemi. Alcune scene di Stallone vennero tagliate cosa che non piacque all’attore che le considerava essenziali per il suo personaggio, dimostrative di un carattere e di sentimenti che andavano al di là della semplice adrenalinica azione.
Stallone così torna al suo Rocky girando il terzo capitolo, quello probabilmente meno interessante di tutta la saga. Tornare sul ring è come tornare a casa: “viaggiare è utile, interessante, ma tornare a casa, dove conosci tutto, è decisamente meglio“.

Tre film dedicati a Rocky che gli fanno guadagnare una quantità inimmaginabile di soldi, che gli danno una fama incredibile. Che, soprattutto, gli danno il potere di decidere cosa fare della sua carriera. Quali film girare, quali film interpretare.
Siamo nel 1982 e una produzione è alla ricerca di un attore che interpreti un ex berretto verde, reduce del Vietnam. La guerra è finita solo sette anni prima e i reduci sono un argomento piuttosto sentito negli Stati Uniti. Lo stesso Stallone, qualche anno dopo, fece causa a un giornalista che lo dipinse come un codardo perché non si era arruolato ed era andato in guerra. La causa la vinse.
La sceneggiatura è tratta dal romanzo di un canadese e Stallone, ottenuta la parte, ha il via libera dalla produzione per mettere mano al testo. L’attore lo ripulisce da una quantità inutile e gratuita di violenza e riscrive il personaggio dandogli spessore e rendendolo, di fatto, molto più umano.
Rambo, First Blood il titolo in inglese, è di nuovo un successo strepitoso, planetario. In quell’anno è il quarto film con più incassi, si parla di oltre 100 milioni di dollari, ed è stato elogiato dalla critica proprio per l’interpretazione di Sylvester Stallone che ha saputo interpretare un personaggio scomodo e difficile, considerati i tempi, evitando stereotipi e bagni di sangue preferendo, invece, un approccio più umano, più introspettivo. Oggi, poi, il film è considerato un’icona degli anni Ottanta diventando parte integrante della cultura pop e la parola rambo è ormai di uso comune tanto da essere inclusa nei dizionari della nostra lingua.

Sylvester Stallone
Rambo 640×360

Rambo, come Rocky, diventa un franchise cinematografico tra i più redditizi. Come Rocky, Rambo è un luogo sicuro dove l’attore si rifugia tra un film e l’altro per ricordare al mondo la sua esistenza. È lui stesso a dirlo: “per anni ho avuto paura del fallimento. Me lo aspettavo da un momento all’altro. Tra un film e l’altro sono sempre ritornato ai miei personaggi più conosciuti perché sapevo che la gente sarebbe andata a vederli al cinema. Ho avuto bisogno di Rocky e Rambo. Oggi, fortunatamente, non più. Ho fatto la mia strada, ne ho ancora molta da percorrere ma non ho più paura“.
Sylvester Stallone non è soltanto un attore, un regista e uno sceneggiatore. Possiede anche un quoziente intellettivo pari a 160, come Einstein per dire, ed è membro del MENSA. Ha scritto diversi libri ed è un pittore astrattista piuttosto apprezzato le cui tele sono valutate tra i 50mila e 120mila dollari. La pittura, per altro, è stata terapeutica nel periodo successivo la morte del figlio Sage, trentaseienne, per cause naturali: “dipingevo per ore trovando nella pittura la possibilità di sfogare il mio dolore“.
Leggendo le sue interviste si ha l’impressione di un uomo che ha una profonda conoscenza di se stesso e del suo lavoro. Per dire: “so che non posso interpretare ruoli divertenti nei film. Ho provato, e non ha funzionato“. E ancora: “ho cercato di darmi alla commedia ma non ho avuto successo. Così sono tornato a quello che credo di saper fare o che comunque la gente si aspetta da me: film d’azione“. Tanta cognizione lo ha portato a definire Fermati, o mamma spara del 1992un film così brutto che se fatto vedere a un delinquente dopo dieci minuti è certo che vi confesserà il suo delitto pur di non proseguire nella visione“.
Umorismo, onnipresente in ciascuno dei suoi film, ma anche consapevolezza dei propri limiti, compresi quelli fisici. Il suo problema alla bocca, per esempio, che gli paralizza il labbro in quella smorfia così caratteristica, lo ha spesso messo a disagio durante i provini. Finché un giorno, un collega gli disse: “Sly, tu hai un accetto, non un difetto. Capite? Arnold Schwarzenegger l’ha detto a me. Dovremmo aprire una scuola di dizione, lui e io“.

Nel 1997 dopo una valanga di film tra cui Demolition Man, Cliffangher, Dredd, Tango&Cash, Over the top e tantissimi altri esce Cop Land, scritto e diretto da James Mangold. Un film apparentemente senza arte né parte malgrado il cast stellare: Robert De Niro, Ray Liotta, Harvey Keitel, per citarne alcuni. Un film al quale Stallone desiderava partecipare ardentemente per riuscire a scollarsi di dosso l’etichetta di uomo d’azione. Di fatti il suo personaggio è uno sceriffo bolso, grasso e sordo da un orecchio, che cerca di mantenere l’ordine all’interno di una cittadina del New Jersey dove vivono i poliziotti di New York, corrotti e implicati in loschi affari. “Cop Land è stato un fiasco, ha peggiorato ulteriormente la mia carriera di attore che in quel periodo stava andando davvero male. Eppure, nonostante il flop, io lo considero, oggi, tra i miei lavori più importanti perché mi ha permesso di fare altro, di essere altro. Mi ha salvato dalla disperazione di una carriera che consideravo ormai conclusa perché mi sono reso conto da solo di non essere finito“.
Praticamente per un decennio la carriera di Stallone continua a rotolare lentamente verso il baratro. Rocky era finito nel 1990 con il quinto capitolo, piuttosto modesto, mentre Rambo addirittura prima, nel 1988, con il terzo.
Per tre anni, tra il 2003 e il 2006 di Sylvester Stallone non si hanno notizie: “mi sono riposato. Avevo spremuto il mio fisico e il mio cervello oltre il dovuto e ho avuto bisogno di ricaricare le mie energie“.

Nel 2006 esce Rocky Balboa, il sesto capitolo della saga dedicata al pugile. Stallone ha sessant’anni tondi tondi e ha avuto il tempo di riflettere cosa fare da grande: riprendere i suoi personaggi più conosciuti ai quali ne aggiunge degli altri, nuovi di zecca. All’annuncio del nuovo film la critica storce il naso e il pubblico scuote la testa. Non è un po’ troppo vecchio per questo genere di film, Sylvester Stallone? Invece devono tutti ricredersi e il film è un successo inaspettato sia al botteghino sia sulle pagine dei giornali. Si parla di rinascita, di nuova primavera: “ero tornato. Finalmente, a sessant’anni, sono riuscito a capire e accettare chi ero e cosa sapevo fare“.
Torna anche Rambo e arrivano I Mercenari ai quali si aggiungeranno Escape Plan e la serie su Creed, un cameo in This is Us, fino alla serie distribuita da Paramount+, Tulsa King.

Sylvester Stallone
Tulsa King 640×360

La carriera di Sylvester Stallone non è ancora finita. Proprio in Tulsa King c’è un interessante scambio di battute tra il suo personaggio e una agente dell’ATF. I due sono stati a letto insieme e al mattino successivo il personaggio di Stallone rivela di avere settantacinque anni. La donna è scioccata, non ci crede e dice che si era convinta ne avesse cinquantacinque, venti di meno. Ecco, in effetti a vederlo Stallone non dimostra settantacinque anni. Nemmeno cinquantacinque a dire il vero. Si trova in quel periodo della vita nel quale non conta l’età ma l’esperienza che ti permette di esprimerti al meglio evitando brutte figure. O per lo meno evitando i contraccolpi delle brutte figure. Perché quelle, si sa, sono dietro sempre dietro l’angolo.
La carriera di Stallone è iniziata nel 1969, quando aveva ventitré anni. Siamo nel 2023 e sono previsti quattro suoi film, attualmente in pre-produzione o addirittura in post, come I Guardiani della Galassia vol 3. Magari non sono film da protagonista ma lui lo è sempre e comunque. Il suo volto, quando appare sullo schermo, è riconosciuto da chiunque, ai quattro angoli del globo.
Nel ripercorrere la sua carriera, anche attraverso i suoi commenti, non possiamo non notare come il percorso compiuto dall’attore sia piuttosto ondivago e abbia dei punti di ritrovo, fissi, soprattutto prima degli anni Duemila.
Dal dormire nella stazione degli autobus alla mega villa da oltre trentacinque milioni di dollari a Palm Beach ne è passata di acqua sotto i ponti. Abbiamo probabilmente sempre sottovalutato l’attore americano per via dei suoi film, della sua smorfia perenne, del suo esser sempre uguale a se stesso. Gli abbiamo preferito attori più poliedrici capaci di passare dalla commedia al film drammatico passando per il poliziesco d’azione. Più belli, più giovani, più appariscenti. Eppure, sotto sotto, una occhiatina a quello che combinava lo Stallone italiano l’abbiamo sempre, anche solo per scaramanzia, per esser certi che fosse ancora tra noi.

Nonostante il naso rotto, le costole spezzate, i muscoli strappati, una quantità di ferite incredibile che avrebbero messo KO chiunque “mi diverto. Come quando ero giovane, anzi forse ancora di più perché adesso faccio più attenzione a non sprecare il mio tempo. Molti hanno i muscoli, esistono un sacco di uomini forti. Io cerco di dimostrare che sotto la mia forza c’è un lato fragile che può essere usato e che mi può aiutare a caratterizzare meglio il mio lavoro“.
Può darsi che il genere di film prodotto dall’attore possa non piacere, i gusti sono gusti e non si discutono. Ma gli va dato atto che ha fatto la storia del cinema e che nei suoi confronti potremmo aver dimostrato un certo pregiudizio. Il suo valore è notevole, come attore ma anche come uomo, e gli va riconosciuto. Senza sé e senza ma. Perché è come i suoi personaggi migliori: dato per scontato, atterrato, si rialza e vince. Sempre.
Nella mia vita ho creato due personaggi memorabili: uno è un inguaribile ottimista, l’altro un insanabile pessimista. Rocky e Rambo mi rappresenteranno per sempre, qualsiasi cosa io possa fare. A parte la pittura perché penso di essere un pittore migliore di quanto non sia un attore“.