Perché guardiamo le serie tv? Che siano miniserie o prodotti da innumerevoli stagioni, che siano serie italiane o straniere, ispirate a storie vere o tratte da romanzi (o magari una fusione di entrambe le cose), sono tanti i motivi che possono spingerci a cominciarne una e poi a decidere di continuare a guardarla. Può trattarsi della passione per un determinato genere, del bisogno di compagnia, della volontà di distrarsi o anche solo di passare il tempo: ogni spettatore ha qualcosa che lo porta alla visione. Nel mio caso sono due i fattori principali che mi hanno reso una serie tv addicted: la forte passione per le storie delle persone, reali o fittizie che siano, e la voglia di imparare. Due fattori che si sono coniugati perfettamente nell’ultima serie Netflix che ho visto, una delle serie italiane più belle uscite di recente: Tutto chiede salvezza.
Un prodotto forte, immersivo, una di quelle serie che, più che essere guardate con attenzione, vanno vissute davvero. Un prodotto che si instaura in quel filone di serie tv – anche serie italiane – ispirate a romanzi che sta spopolando dentro e fuori dai confini di Netflix e che mi sta piacendo non poco. E che tra le serie italiane è stato una piacevolissima sorpresa. Quando Daniele, il giovane protagonista, entra nel reparto dove starà nella settimana del suo TSO, entriamo lì anche noi, e insieme a lui cominciamo a conoscere le storie di chi quel luogo lo conosce già, di chi lo vive temporaneamente o lo considera quasi casa. Sono diverse le persone che Daniele incontra nel suo percorso, ognuna con una storia intensa e qualcosa da raccontare. Io ho cercato di ascoltare davvero queste storie e, come mi piace fare, di trarre qualcosa da ognuna di esse. E oggi un po’ di questi insegnamenti voglio condividerli con voi.
Gianluca insegna a essere se stessi
Uno dei primi personaggi che impariamo a conoscere in questa serie Netflix è Gianluca, che come Daniele è in TSO. Gianluca è una persona eccentrica, fuori dagli schemi, parla tanto e all’inizio sembra sempre su di giri. Scopriamo ben presto che ha una diagnosi di disturbo bipolare e che ad alti molto alti alterna bassi molto bassi. Non è semplice capire l’evoluzione della sua condizione, e dunque quando la felicità o la tristezza che prova sono davvero le sue e quando invece è il suo disturbo a parlare. Eppure questo non impedisce a Gianluca di essere la persona che è, riconoscendosi nel genere femminile, indossando i vestiti di sua madre e parlando sempre di sé definendosi una ragazza. Lo fa in maniera molto orgogliosa andando contro la sua famiglia: i genitori disprezzano il suo modo di vestire, di comportarsi, di essere e vorrebbero un figlio plasmato a loro immagine e somiglianza. Gianluca rappresenta tutte le persone che devono lottare per affermare se stesse, tutti quelli che la società vuole più normali e che vuole allontanare dalla propria essenza. Ma in un mondo in cui non siamo mai abbastanza e in cui è spesso difficile capire chi siamo davvero, Gianluca non rinuncia a Gianluca. E ci ricorda di non rinunciare a noi stessi. Mai.
Giorgio insegna il valore della presenza
Quando Giorgio arriva in reparto, pur essendo potentemente sedato, fa paura. È un uomo grosso, forte e non sembra proprio la persona che vorrei come compagno di stanza. Non ci vuole molto però a capire che a un’incredibile forza corrisponde anche un’incredibile debolezza. Giorgio ha un presente complicato, ma è nel suo passato che risiedono le maggiori difficoltà: è cresciuto con il nonno e ha risentito fortemente della morte di sua madre, avvenuta quando era solo un bambino. Mentre racconta la sua storia, alla paura provata in origine si sostituisce una tenerezza che non credevo possibile. Giorgio è un uomo adulto che nel ricordare la perdita torna a essere un bambino bisognoso di avere sua madre con sé, e il senso d’abbandono provato è ancora vivo e potente dentro di lui. Lo dimostra quando ha gli incubi e chiede a Daniele di tenergli la mano, o quando legge la poesia che proprio Daniele scrive per la madre che ha ancora accanto. In una situazione di totale abbandono che Giorgio sperimenta anche a causa del modo in cui il mondo intero si relaziona a lui, il suo personaggio mi ha ricordato quanto invece sia importante la presenza. Grazie a lui ho percepito forte e chiaro il bisogno di amore, di affetto, di tutela che non tutti hanno la fortuna di ricevere. E ho ricordato anche quanto, parallelamente, sia importante dare quella tutela a chi abbiamo attorno. Esserci, è questa la chiave, perché prima o poi arriva per tutti il momento in cui sentiamo la necessità di essere presi per mano.
Mario insegna a guardare il mondo con i propri occhi
Giorgio non è l’unico personaggio di Tutto chiede salvezza a dover fare i conti con il suo passato: Mario, il professore interpretato da un magistrale Andrea Pennacchi, è la persona con il percorso più lungo alle spalle e porta con sé un enorme peso nel presente. Uomo pieno di cultura, sempre in compagnia di romanzi e poesie, tranquillo e dal sorriso dolce, Mario ha una storia fatta di diversi ricoveri e di difficoltà a stare al mondo e deve convivere con il senso di colpa per aver cercato di portare con sé, durante uno dei suoi momenti più bui, anche sua moglie e sua figlia sul percorso verso la fine. La sua è una vita di dolore confluita in un presente di solitudine, eppure Mario conserva un fare paterno che, durante il suo soggiorno, lo avvicina con affetto a Daniele. Il rapporto che si instaura tra i due è quello tra due fratelli, ma contemporaneamente anche quello tra un padre e un figlio e tra un insegnante e il suo alunno. Mario spiega a Daniele il senso della nostalgia, sensazione che lui stesso fa tanta fatica ad allontanare, ma soprattutto gli insegna – e insegna a noi – a guardare il mondo con i propri occhi. A volte è così difficile riuscire a mantenere le proprie idee e la propria visione del mondo se tutti attorno a noi ci dicono altro. È così facile chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare. Eppure Mario, un uomo a cui la vita ha riservato una lotta continua, ci ricorda di non chiuderli mai quegli occhi, e di affrontare il mondo guardandolo con sguardo attento e curioso. Perché per quanto tutto possa fare schifo, da qualche parte ci sarà pure del bello. Magari un uccellino in un nido.
Alessandro insegna l’importanza di vivere davvero
Tra i personaggi della serie Netflix Tutto chiede salvezza, Alessandro è quello la cui storia è più difficile da portare al centro della narrazione. Il personaggio vive come se fosse in un limbo: da anni ormai è bloccato a letto in stato catatonico dopo un incidente avvenuto nel cantiere in cui lo aveva portato a lavorare suo padre. Ed è proprio il padre di Alessandro, nel suo senso di colpa e di impotenza, a raccontare la storia del figlio, sospeso in quella che non è di certo morte, ma che non si può nemmeno chiamare vita. Il posto di Alessandro nella stanza del reparto è sempre lo stesso, il suo letto, ma è nei momenti di fantasia, nei sogni a occhi chiusi e a occhi aperti che torna davvero alla vita: cammina, balla, parla e aiuta Daniele a trovare la quadra in un mondo difficile da comprendere. In una serie che spesso mi ha portato a riflettere su quanto stare al mondo possa essere difficile, Alessandro mi ha ricordato l’importanza di continuare a esistere, di non lasciare mai che la mia vita scorra senza che ci sia anche io a viverla davvero. Mi ha ricordato che non sono in uno di quei romanzi in cui le cose succedono senza che la protagonista se ne renda conto e alla fine tutto converge nella sua felicità. Io voglio essere e sono la protagonista di uno di quei romanzi scritti da chi li vive. Tutto può cambiare da un momento all’altro, sempre. La quotidianità può variare e anche essere spezzata prima ancora di rendercene conto, non c’è nulla che possiamo fare per evitarlo. Ma possiamo vivere, approfittare di quello che abbiamo finché ce l’abbiamo. E ballare sulla nostra nave dei pazzi.
Daniele insegna che tutto, proprio tutto, chiede salvezza
Una parola difficile, salvezza. Una parola che il protagonista della serie fatica a trovare fino alla fine, un concetto all’apparenza semplice ma profondamente complesso da analizzare e realizzare. Tutti a nostro modo chiediamo salvezza. La chiedono i pazzi che sono dentro, i diversi, le persone che fatichiamo a integrare perché ne abbiamo timore e perché ci ricordano perennemente che il concetto di normalità che tanto ci affatichiamo a rincorrere non esiste. La chiedono i pazzi che sono fuori, quelli che si ostinano a ricercare una perfezione sfuggente ed effimera, quelli che pretendono che ogni cosa sia inserita in una casella e che hanno paura di tutto ciò che si allontana dagli schemi. La chiedono i malati e i dottori, i genitori e i figli, i giovani e gli anziani, chi ha scelto spesso bene e anche chi ha scelto sempre male. Daniele trova la salvezza in un posto in cui il marcio c’è e si può toccare con mano, in cui le difficoltà sono palesi, in un posto disprezzato e visto male. Trova la salvezza nelle storie di persone che in principio allontana, persone diverse da lui che diventano i suoi fratelli. In un mondo che gira in modo estremamente veloce, raggiunge un po’ di equilibrio solo in una settimana tanto intensa da sembrare una vita intera. Guardando la serie ho pensato diverse volte a quanto tutto ciò che ci succede sia da interpretare in un disegno più ampio che, nel presente, spesso fatichiamo a leggere. Che non abbiamo il tempo di leggere. Ma in un contesto come questo, non dobbiamo dimenticare che tutto chiede salvezza. E tutto la merita.