pazzìa s. f. [der. di pazzo]. – Nel linguaggio comune, qualsiasi forma di alterazione, persistente o temporanea, delle facoltà mentali (è termine raro nel linguaggio scientifico, dove si parla invece di infermità o malattia mentale, o più specificamente di psicosi, psicopatia, ecc.)
Da Treccani
Nella storia la pazzia ha assunto molte forme, è stata studiata come manifestazione del divino e del demonio, come colpa dell’individuo e come malattia, come devianza incurabile o come transitorio smarrimento. Qualsiasi sia la definizione di pazzia prevalente in un determinato periodo storico, quello che resta immutabile è la sua presenza nella vita di tutti i giorni, come fantasma o come minaccia. Il terrore viscerale di “diventare pazzi”, o peggio, di essere considerati tali, ha accompagnato l’umanità nei secoli, costante promemoria della possibilità di finire ai margini e di non essere compresi da nessuno. Eppure, in una realtà sociale che vede ancora la pazzia come forma di devianza assoluta, forse bisogna avere il coraggio di affrontare questa visione parziale e discriminatoria, cosa che Netflix ha scelto di fare con Tutto chiede salvezza, produzione italiana con Federico Cesari (già interprete di Martino Rametta, uno dei migliori personaggi di Skam Italia) ambientata all’interno di un reparto di psichiatria.
La serie, basata sul romanzo omonimo e semi-autobiografico di Daniele Mencarelli, ribalta la prospettiva canonica della società sulla pazzia, affrontando con una sensibilità rara un tema che ancora oggi viene spesso toccato con una superficialità inaccettabile: quello della malattia mentale. La settimana vissuta da Daniele all’interno di un reparto di psichiatria dopo essere stato sottoposto a un trattamento sanitario obbligatorio (TSO) diventa allora l’occasione per Tutto chiede salvezza di dare la parola a chi la malattia mentale la vive sulla propria pelle, a quelli che la società indica come pazzi e invece altro non sono che persone malate, da aiutare davvero.
E così, nei suoi sette intensissimi episodi, la serie Netflix ci dà il benvenuto sulla nave dei pazzi, dove i pregiudizi scompaiono e inizia un percorso doloroso e necessario: quello della guarigione.
Guarire fa paura, perché vuol dire accettare di essere malati, di avere qualcosa che non va. Significa affrontare il fatto che la malattia ha un potere e che a volte prende il sopravvento, che non ci si può fidare nemmeno dei propri pensieri, perché la malattie è subdola, mente, cambia il modo di vedere le cose. È così che si sente il Daniele di Federico Cesari nelle prime puntate di Tutto chiede salvezza, quando arriva in reparto e si rifiuta non solo di accettare, ma persino di ricordare cosa la sua depressione lo ha portato a fare, perché la sola idea di aver perso li controllo e di essere in qualche modo come i suoi compagni di stanza in psichiatria lo terrorizza. Eppure, l’inizio di una terapia medica, nonché la vicinanza di Gianluca, Mario, Giorgio, Nina e tutti gli altri compagni di questa sua nuova vita fanno sì che pochi giorni cambino per sempre la traiettoria di vita di Daniele, che riconosce il peso che la malattia ha avuto sulla sua vita fino a quel momento. E così, una volta accettato di essere malato e di potersi curare, Daniele inizia a perdonarsi e, soprattutto, a stare meglio.
Quella che Mario chiama la nave dei pazzi, il reparto di psichiatria in cui si svolge quasi interamente Tutto chiede salvezza, è allora l’unico posto al mondo in cui il Daniele di Federico Cesari sente di poter ricominciare a stare bene, l’unico in cui trova il supporto medico e umano necessari per poter guarire. Non vi è alcuna romanticizzazione della malattia mentale nella serie Netflix, né vi è una sua demonizzazione, ma semplicemente viene dipinta per quello che è: non pazzia, ma malattia. E le malattie a volte sono incurabili, ma più spesso invece si affrontano, sebbene ciò richieda una fatica e un dolore che non si possono ignorare. In questo Tutto chiede salvezza si rivela una serie di rara bellezza, nella sua capacità di dipingere un ritratto così accurato e dettagliato di una parte della vita sempre più rilevante nel ventunesimo secolo, che tuttavia viene spesso ignorata o addirittura disprezzata, quando invece andrebbe solo accettata e contrastata con tutti i mezzi possibili.
Il realismo non è il punto di forza della serie Netflix con Federico Cesari, colpevole di rappresentare un reparto di psichiatria che poco ha a che vedere con la realtà. Se per esigenze della trama il regime di semi-libertà che vige all’interno del reparto è comprensibile, risulta davvero difficile chiudere un occhio davanti alle dinamiche poco ortodosse che si istaurano tra pazienti e personale medico, o quando osserviamo la presenza fissa di finestre spalancate, o ancora quando Daniele esce e rientra dalla propria stanza con una facilità che nella realtà chiunque può immaginare essere impossibile. Eppure, nonostante tutto questo, il ritratto della malattia mentale che viene fatto in Tutto chiede salvezza è talmente potente, dettagliato e fedele alla realtà che persino queste sbavature a livello di trama possono essere (quasi) dimenticate.
Perché in fondo, cosa importa il realismo nella fuga di Nina dal reparto quando invece possiamo concentrarci sulla sensibilità con cui viene mostrata la sua spirale autodistruttiva? È davvero rilevante che le finestre si possano aprire liberamente in un reparto di psichiatria quando possiamo invece concentrarci sull’onestà sconvolgente con cui Gianluca è in grado di dissezionare il suo disturbo bipolare, o sulla straordinaria performance che ci regala Lorenzo Renzi nei panni di Giorgio? La risposta forse non è scontata, perché è comprensibile che i buchi di trama possano infastidire molto un certo tipo di spettatore, eppure vi è una potenza così commovente, una sensibilità così necessaria nella descrizione che viene fatta della malattia mentale in Tutto chiede salvezza che viene facile chiudere un occhio davanti a difetti che esistono, ma non cancellano la forza narrativa della serie Netflix.
Il dramma di Daniele e dei suoi compagni di stanza rappresenta il centro di quella che è una delle produzioni più riuscite di Netflix Italia finora, forse la più introspettiva e coraggiosa. Non è un caso se ancora oggi, pur nell’abbondanza strabordante di produzioni televisive, sono ben poche le serie che scelgono di parlare di una tematica così complessa e rilevante come quella delle malattie mentali: farlo, e soprattutto farlo bene, è un’impresa quasi impossibile, perché richiede di superare una serie di pregiudizi e luoghi comuni non indifferente. Vedere allora una produzione italiana sfidare gli stereotipi legati al tema, e farlo con una sensibilità così eccezionale, è un segnale estremamente positivo per la serialità nel nostro paese, perché dimostra una maturità che forse in pochi si sarebbero aspettati prima di vedere Tutto chiede salvezza.
E così, inaspettatamente e orgogliosamente, eccoci tutti pronti a salire a bordo della nave dei pazzi al centro della serie Netflix, consapevoli che forse si sta finalmente avvicinando il momento in cui come società saremo in grado di ricodificare il modo in cui la malattia mentale viene trattata, comprendendo il dolore senza stigmatizzarlo mai più.