La seconda stagione di Tutto chiede salvezza è riuscita a non deludere le aspettative, rivelandosi a tratti persino più intensa e dura della prima. Il primo capitolo della serie Netflix (che potete recuperare qui), tratta dal romanzo di Daniele Mencarelli, aveva già affrontato con sensibilità e profondità il tema della salute mentale. La seconda stagione alza ulteriormente l’asticella, abbandonando qualsiasi filtro per restituire una narrazione ancora più cruda e dolorosa, con l’obiettivo di avvicinarsi il più possibile alla realtà. Ma perché si tratta di una serie così necessaria per la serialità italiana? Tutto chiede salvezza è entrata in punta di piedi nel panorama televisivo nostrano, senza pretese stilistiche né compromessi narrativi, con il solo scopo di sviscerare una tematica importante.
Una serie necessaria per l’Italia che è riuscita fino all’ultimo a restare fedele alla propria natura
In un panorama televisivo italiano spesso “timido” nell’affrontare certi temi, Tutto chiede salvezza è riuscita a imporsi come una serie molto coraggiosa. Se n’è parlato tanto ma è sempre giusto ribadirlo: il modo in cui la serie tratta la salute mentale, senza tabù e senza stereotipi, è un aspetto per nulla scontato. Tutto chiede salvezza voleva sensibilizzare il pubblico su un argomento ancora troppo stigmatizzato e ci è riuscita anche nella seconda stagione, evitando di adagiarsi sugli allori. Non era per niente semplice. Sì, perché quando Tutto chiede salvezza uscì nel 2022 fu un vero e proprio fenomeno mediatico in Italia. Una trama d’impatto, unica, degli attori forti e la possibilità di riciclarsi senza troppi fronzoli. E invece sono bastate due stagioni, ed è giusto così. Cavalcare la fama spesso significa snaturarsi, ma la serie diretta da Francesco Bruni è riuscita a restare sugli stessi binari dall’inizio alla fine.
La prima stagione di Tutto chiede salvezza era stata caratterizzata da un delicato equilibrio tra dramma e leggerezza. I momenti di ironia e speranza erano più frequenti, anche nell’ottica di presentare al meglio personaggi e contesto. Questi momenti riuscivano a stemperare la durezza degli eventi vissuti dal protagonista, rendendo di fatto la clinica un posto sicuro. Nella seconda stagione, invece, il realismo diventa molto più feroce. Il dolore e l’inquietudine aumentano, ma è soprattutto il senso di ingiustizia a permeare ogni episodio, immergendo lo spettatore in un vortice emotivo che non concede tregua. La seconda stagione di Tutto chiede salvezza, come dicevamo, continua a mostra senza filtri quanto sia complesso affrontare un disturbo mentale senza facili romanticizzazioni. Ma l’elemento predominante diventa la contesa tra Daniele e Nina. I due sono diventati genitori, ma il più classico degli abissi sociali li ha divisi, sembra, definitivamente.
Anche in questo caso Tutto chiede salvezza riesce a non cadere nel banale: attorno alla contesa si sviluppano le complessità del disturbo di Daniele
Federico Cesari torna a vestire i panni di Daniele Cenni con un’interpretazione che porta la fragilità e il tormento del suo personaggio a un livello successivo. A differenza della prima stagione, ora Daniele è consapevole, sia di sé stesso che di ciò che significa la vita all’interno di una struttura psichiatrica. Ma se nel primo capitolo il suo percorso sembrava avviarsi verso una graduale guarigione, nel secondo tutto viene rimesso in discussione. La malattia mentale non segue percorsi lineari, e questa volta Daniele si trova ad affrontare una ricaduta che lo travolge senza pietà. Le sue crisi sono più violente, il suo dolore più profondo e la sua lotta più disperata. Tutto chiede salvezza non lascia spazio a illusioni: la strada verso la salvezza è lunga e tortuosa, fatta di passi avanti e, soprattutto, dolorosi arretramenti. La responsabilità genitoriale, per certi versi, diventa un peso difficile da sostenere.
La nascita della piccola Maria (che deve il suo nome al defunto Mario), è un passo enorme nella vita di Daniele e Nina. Un passo più lungo della gamba forse, ma che se da una parte aumenta il peso delle responsabilità, dall’altra obbliga entrambi a responsabilizzarsi. I due finiscono presto in una contesa alimentata dall’insicurezza cronica di Giorgia, interpretata da Carolina Crescentini. Nella seconda stagione di Tutto chiede salvezza, dunque, Daniele deve imparare a tenere a bada i propri demoni per conquistare una libertà che gli spetta di diritto ma che gli è stata negata violentemente. Tutto ruota attorno alla violenza, la stessa con cui il protagonista deve lottare nella propria intimità, ma anche la stessa che è costretto a subire durante il suo nuovo lavoro. E’ qui che entrano in gioco i personaggi che rappresentano una nuova linfa vitale imprescindibile per la serie.
Uno degli elementi che rende questa stagione ancora più intensa è, infatti, l’approfondimento dei personaggi secondari
Innanzitutto, ogni figura che ruota attorno a Daniele viene esplorata con maggiore attenzione. La sua famiglia assume un ruolo molto più costante e ciò rende le ferite e le difficoltà del protagonista ancora più realistiche. Non c’è un solo personaggio che non sia attraversato dal dolore, e la serie non si limita a raccontare le loro storie, ma le fa sentire sulla pelle dello spettatore. I compagni di reparto, i familiari e gli amici di Daniele sono tutti alle prese con il proprio inferno personale. Il racconto diventa un coro di voci che urla la propria sofferenza senza filtri. Le dinamiche familiari sono descritte con un realismo spietato. Gli scontri tra Daniele e i suoi cari risultano ancora più strazianti perché rivelano la difficoltà, anche per chi sta vicino a chi soffre, di comprendere la malattia mentale. Ma ciò che influenza maggiormente il protagonista sono i nuovi ingressi al SPDC.
Matilde, interpretata da Drusilla Foer, e Rachid rappresentano la nuova missione di Daniele all’interno del centro che fino a un anno prima lo aveva accolto. Si tratta di due personaggi complessi e sfaccettati il cui impatto è devastante nella nuova quotidianità di Daniele. La controparte rappresentata da Angelica (Valentina Romani), offre al protagonista uno status di equilibrio. Ma è Daniele stesso a doversi guadagnare la felicità. Tutto chiede salvezza 2 è il terreno in cui il protagonista si interfaccia nuovamente con la normalità. Una normalità apparentemente respingente, sia nel quotidiano che lavorativamente parlando. Una normalità in cui Daniele deve lottare costantemente per rimanere a galla e non affogare di nuovo nel proprio oblio personale.
Nonostante la cupezza dominante, la serie non rinuncia completamente alla speranza
Tuttavia, la speranza in questa seconda stagione è qualcosa di molto più flebile e meno tangibile rispetto alla prima. Non c’è più la sensazione che tutto possa risolversi con il tempo o con il supporto delle persone giuste. Il messaggio che emerge è più duro, ma anche più autentico: la guarigione non è un traguardo da raggiungere, ma un processo continuo. Un percorso fatto di lotte quotidiane e di momenti in cui sembra impossibile farcela. La seconda stagione di Tutto chiede salvezza non promette soluzioni facili, ma mostra che, nonostante tutto, vale sempre la pena provare a resistere.