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Il finale di Twin Peaks – The Return rimarrà per sempre uno dei più terrorizzanti mai visti in televisione

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“Tempo presente e tempo passato,
nel tempo futuro sono forse insieme presenti,
E il tempo futuro è già nel passato.
Se il tempo tutto è in eterno presente
Non c’è redenzione nel tempo.”

– T. S. Elliot, 1943, Quattro Quartetti

“Quando arriverai lì, sarai già lì.” Una delle battute televisive più inquietanti di sempre viene pronunciata poco prima che l’agente Dale Cooper (Kyle MacLachlan) ritorni nelle dimensioni terrene di Twin Peaks: Il Ritorno, dopo essere rimasto intrappolato nella Stanza Rossa per (presumibilmente) gli ultimi 25 anni, cade sul pavimento, passa attraverso una scatola di vetro nero in un grattacielo di New York City e si ritrova nella Camera Viola. La battuta è pronunciata dalla seconda donna soprannaturale che Cooper incontra nel suo percorso di “ritorno”, la prima si è sacrificata per proteggere la sua sicurezza, precipitando in un abisso cosmico che rappresenta il grande vuoto esistenziale attorno al quale ogni episodio della nuova stagione sembra orbitare. Parla con una cadenza simile al linguaggio al contrario degli abitanti della Sala Rossa e si siede vicino a due elementi molto familiari nell’universo di Twin Peaks: una rosa blu e il fuoco. L’ambiente intorno a lei però non ha assolutamente alcuna somiglianza con nessuna delle immagini create nell’universo de I Segreti di Twin Peaks nella serie originale del 1990-91.

Il ritorno di Twin Peaks nel 2017 è stato come uno shock per “l’età dell’oro della televisione“, ribaltando le aspettative del pubblico su ciò che Twin Peaks, e la televisione, potevano comprendere sia a livello di narrativa che di forma. In quella che è apparentemente la terza stagione della serie posticipata di un quarto di secolo, i co-sceneggiatori David Lynch e Mark Frost resuscitano alcuni dei personaggi più amati delle prime due stagioni, ma la portata del nuovo spettacolo crea uno sfondo strano e nebuloso per una narrazione distorta ed ellittica che non riprende esattamente dove si era interrotta la seconda stagione. Il tema implicito del “ritorno” dell’Agente Cooper al luogo e al momento in cui la seconda stagione si è interrotta bruscamente, al trauma originale nel cuore oscuro dell’universo di Twin Peaks, in modo che potesse esserci un’opportunità di chiusura è stato tenuto in sospeso da Lynch e Frost fino al finale. Con le sue fessure narrative e la varietà di mise en scène astratte, Il Ritorno del 2017, ha stravolto le forme consolidate della televisione e ha generato alcune delle opere d’arte digitali più sublimi di tutti i tempi.

Twin Peaks

Questa divagazione iniziale è strettamente necessaria per arrivare a giustificare sia il titolo che la citazione iniziale di Elliot, abbiate ancora qualche riga di pazienza.

Nelle prime due stagioni e nel prequel Twin Peaks: Fuoco cammina con me (1992), è stato rivelato che la precoce adolescente Laura Palmer era stata uccisa da uno spirito maligno intangibile, a volte visibile, chiamato Bob. Tuttavia, l’indagine sul suo omicidio condotta dalla squadra dello sceriffo locale Harry S. Truman e dall’agente dell’FBI Cooper porta alla luce oscuri segreti su ciò che li circonda, sollevando ulteriori domande anche dopo la chiusura del caso. Bob, che viaggia tra le dimensioni e si nutre del dolore e della tristezza umana (“garmonbozia” nel linguaggio deciso da Lynch, che assomiglia a una fetida crema di mais), aveva abitato il corpo del padre di Laura, Leland (Ray Wise), e lo aveva costretto a violentare sua figlia per anni, finché non pose fine alla sua vita con un feroce attacco intriso di sangue. Bob uccide Leland proprio mentre egli si rende conto di cosa ha fatto in una cella di detenzione. Alla fine della seconda stagione, Cooper stesso viene posseduto da Bob, portando dentro di sé l’intangibile forza del male che stava rintracciando.

Questi episodi pre-Ritorno, sebbene pieni di surrealismo da incubo extra-dimensionale, erano ancorati in spazi dicotomici chiaramente delineati, anche se concepiti in modo bizzarro, del Bene (Cooper, la Loggia Bianca) contro il Male (Bob, la Loggia Nera). Sebbene Twin Peaks fosse un passaggio liminale verso questi altri regni soprannaturali, era comunque rappresentato con una rosea nostalgia e un calore da metà secolo scorso, evocati anche nella sigla di Angelo Badalamenti. La cittadina accogliente e i suoi abitanti unici e orgogliosi sono stati tutti presentati da Lynch con incredibile tenerezza e cura.

In Il Ritorno, Lynch e Frost sostengono invece un gioco tattile per perpetuare e sconvolgere la mitologia di Twin Peaks. Sembra un inquietante déjà vu in cui tempo, luogo e identità sembrano allo stesso tempo stranamente familiari e completamente sfasati, la polarità del bene e del male si sono fuse l’una nell’altra e Cooper, posseduto da Bob, ora coesiste nello stesso spazio-tempo del “normale” Cooper e di altre versioni di sè. Le interruzioni visive e narrative si presentano sotto forma di interi episodi che si svolgono come poemi tonali visivi con poco o nessun dialogo, carichi di deboli indizi, significanti e deragliamenti narrativi lasciati irrisolti. Queste rotture non derivano da un desiderio crudele di manipolare o negare il pubblico, ma mostrano invece l’impossibilità di riconciliazione dopo che un male così grave, come manifestato in Bob, è stato rilasciato nell’universo e diventa un punto da cui la distruzione continua a svilupparsi a spirale. Nelle parole della Signora Ceppo a Laura in Fuoco Cammina con Me: “Quando inizia questo tipo di incendio, è molto difficile da spegnere. I teneri rami dell’innocenza bruciano per primi, poi si alza il vento, e allora tutta la bontà è in pericolo”.

Gli avvertimenti della Signora Ceppo riguardo al fuoco sono costantemente il riferimento alla direzione intrapresa nel grande vortice verso il male lungo tutta la terza stagione di Twin Peaks. Le scene dell’episodio 8 mostrano in modo terrificante proprio il ruolo di questo elemento nel progresso e nella distruzione della civiltà umana. È stata la graduale comprensione da parte dell’umanità del fuoco, del calore e dell’energia che ha migliorato il progresso industriale fino a quando la scissione di un atomo, l’unità fondamentale dell’esistenza, ha creato l’arma che ha causato centinaia di migliaia di morti in un istante, l’alienazione dell’umanità dalla natura e la frattura dell’identità individuale nel del dopoguerra. Il fuoco ha condotto l’umanità nell’oscurità e la bomba atomica, come Bob, è un simbolo del male più grave, il leitmotiv inesorabile e invisibile dello spettacolo. Anche il tema del vuoto esistenziale e dell’assenza è profondo in Il Ritorno e le sue rappresentazioni vanno dal giocoso al commovente.

Nell’episodio 12, su uno scaffale di Audrey Horne è appoggiato proprio il libro di poesie Quattro Quartetti di T. S. Elliot. Le quattro poesie di questo libro sembrano essere la perfetta chiave di lettura della spirale distopica ma inevitabile che conduce drammaticamente al finale delineando i vari aspetti del Male che rende ancora più terrificante Il Ritorno. Una attesa in perfetto stile Kafkiano:Ho detto alla mia anima, stai ferma e aspetta senza speranza“; affrontare la malvagità nell’umanità:E che, per essere risanata, la nostra malattia deve peggiorare”; e ovviamente la frammentazione del tempo:Il passato e il futuro. Sono conquistati e riconciliati”. Eliot, l’eminente poeta del sé fratturato e disarmonico, fa riferimento alla scrittura indù Bhagavad Gita, la stessa che contiene il verso che, anche grazie al recente film di Christopher Nolan, tutti hanno imparato a conoscere: “Ora sono diventato la Morte, il distruttore di mondi”, citato da Robert Oppenheimer in riferimento al suo test della bomba del 1945. Anche se questa è una traduzione dello stesso fisico, quelle più accreditate riportano: “Ora sono diventato il Tempo, il distruttore di mondi“. E quanto questa più corretta traduzione ci parla del finale di Twin Peaks.

Nelle due stagioni originali, i personaggi mascherati e le identità nascoste erano il simbolo di un’identità fratturata e sono sempre stati un segno del male: Bob non permette a Laura di vedere suo padre quando viene violentata; Audrey Horne viene quasi molestata dal padre mentre è vestita e mascherata nella Loggia Nera, solo per fare alcuni esempi. Ne Il Ritorno questo male non ha volto né maschera e niente è come sembra. Lynch utilizza le sovrapposizioni per trasmettere questa esperienza allucinatoria del tempo e dello spazio, in particolare nel penultimo e nell’ultimo episodio, quando un primo piano del volto di Cooper viene sovrapposto ai successivi 30 minuti circa. Cooper alla fine trova Laura, ma lei è diventata una persona completamente diversa e nessuno dei due sa esattamente cosa stia succedendo. L’unica certezza è che il male continua ad esistere nell’universo.

Twin Peaks

Lentamente ma inesorabilmente nell’ultimo episodio ci rendiamo conto che Cooper non è l’eroe che abbiamo sempre pensato e sperato, non è pieno di conoscenze insondabili che gli permetteranno di sistemare tutto ciò che è andato storto da quando Laura è morta, lui è solo un uomo. Solo un uomo fallibile in un oceano potenzialmente infinito di dimensioni ed entità cosmiche. Un risveglio alla realtà così potente e spaventoso da farci capire che nella migliore delle ipotesi abbiamo solo scalfito la superficie della comprensione di ciò che sta accadendo e nella peggiore delle ipotesi non abbiamo capito nulla, il nostro cavaliere nel suo bell’abito impeccabile non è altro che un bambino rispetto alle forze in gioco in questo mondo.

Tutto questo vortice partito lentamente 25 anni prima ha preso sempre più velocità. La spirale del male che ci ha accompagnato si cristallizza nella scena finale di Twin Peaks in qualcosa che travalica le mere considerazioni del mezzo attraverso cui la esperiamo. Una scena che ha senso solo con la consapevolezza del tempo passato tra i primi fotogrammi del volto di Laura avvolta nel cellophane e Cooper in mezzo alla strada di notte un quarto di secolo dopo. Un tempo che non è mera finzione narrativa, sospensione dell’incredulità, per tutti noi sono davvero passate due decadi e mezzo. il tempo reale vive nella finzione scenica e la finzione scenica è viva nella nostra consapevolezza limitata di ciò che sta accadendo. Nessuna altra serie televisiva può ambire ha una immersività così totalizzante. Possiamo arrivare a empatizzare, immergerci nelle scene di grandi serie tv, ma sarà sempre frutto di un esercizio mentale artificioso. Il finale di Twin Peaks ci riporta tutti realmente indietro nel tempo e ci fa rendere conto della nostra, attraverso quella di Cooper, assoluta finitezza di fronte al Bene e al Male assoluto. Il passato non si può cambiare.

La quarta parete viene annichilita e scompare. Il mondo di Twin Peaks, reale nella finzione, si sovrappone al nostro mondo reale diventando solo uno degli infiniti mondi possibili. Quando Cooper prova a rimediare “al tutto” convincendo Sheryl Lee a “tornare a casa noi sappiamo che lei è Laura Palmer. Quando i due si trovano d’innanzi a quella che dovrebbe essere l’abitazione dei Palmer, ad aprire la porta c’è la reale proprietaria della casa usata per Twin Peaks, Alice Tremond (interpretata da Mary Reber). L’urlo di Laura in risposta alla domanda di Cooper “In che anno siamo?” è il più agghiacciante e sconvolgente a cui mai potremmo assistere. La consapevolezza del fallimento degli sforzi perpetuati da Cooper è la nostra consapevolezza di non poter giungere mai a una reale certezza di chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo. Lo scorrere del tempo è inesorabile, inevitabile e immutabile al di là di ogni più estremo tentativo. Quell’urlo disarmante è la presa di coscienza di un personaggio immaginario che scopre di esistere confinato in una realtà altra. La nostra realtà. Di esistere al di là della finzione ma solo come una delle infinite possibili versioni di sé: un burattino nelle mani di un demiurgo insondabile e inevitabile. Un misero granello di sabbia, tra infiniti altri, costretto eternamente a discendere lo stretto collo di vetro di una clessidra al solo scopo di misurare l’imponderabile scorrere del tempo. Non c’è vittoria. non c’è lieto fine. Non c’è giustificazione al dolore di Laura, di Audrey. Non c’è sollievo alla punizione inflitta a Cooper per aver osato ribellarsi al Fato.

Tutto quello che vediamo, che abbiamo visto, non è altro che un sogno dentro a un sogno. La nostra stessa realtà non è più vera di quella di Twin Peaks. Né più finta. L’urlo di Laura si insinua dentro il nostro stesso io portando i personaggi di Twin Peaks nel nostra realtà dopo che per venticinque anni e tre stagioni noi siamo stati immersi nella loro. E allo stesso tempo catapultando noi nel dubbio di quanto vera possa essere la nostra. L’urlo di Laura come quello di Munch attraversa ogni singola fibra del nostro corpo per metterci di fronte alle più profonde paure nascoste in noi stessi e ci costringe a chiederci cosa sia veramente reale. Lasciandoci soli e senza risposte.