Twin Peaks, 19/9/19
Ciao papà,
sai, non è per niente facile.
Ho sempre pensato di scriverti una lettera, l’ho pensato prima di scoprire chi fossi veramente, l’ho pensato appena l’ho saputo e ora ho deciso di scriverla davvero.
Non è facile perché ti odio, ma ti amo allo stesso tempo, perché è colpa tua quello che mi è successo.
Ma in realtà è colpa dell’ospite che ti portavi dentro.
Quel Bob che ti abitava, quel male che credevo fosse uno sconosciuto, quello stupratore che entrava dalla finestra di camera mia.
In verità eri tu, mio padre.
Ma non eri il vero Leland, eri il frutto di qualcosa di malvagio.
A Twin Peaks gli alberi parlano, sussurrano e forse mi avevano avvertito.
Mi aveva avvertito anche la Signora Ceppo, ma non le ho dato retta.
La nostra storia comincia e finisce quando ho scoperto chi eri veramente. Anzi, chi era veramente Bob.
Da quel momento abbiamo capito entrambi che uno dei due non poteva sopravvivere.
E quel qualcuno ero io.
L’ho scritto sul diario che quel giorno sarei morta.
Ho accettato la morte perché era una liberazione, come un indù aspetta la morte per la reincarnazione.
Ho deciso di morire perché in questo modo non mi avresti fatto più del male.
Ma ti perdono, perché so che non eri tu.
Ti perdono perché anche io, in un certo senso, ero posseduta da Bob.
Vedi papà, l’amore violento non è amore, e io sono una delle tante in questo posto chiamato Terra che è stata uccisa per troppo amore.
Buffo, mi dirai anche tu: come si può uccidere una persona perché l’amiamo troppo?
Io questo non lo so, ma so che purtroppo è successo, succede ancora oggi e succederà ancora.
Per quel che vale, se riceverai questa lettera, sappi che ti perdono.
In fondo siamo stati parte del maligno entrambi.
Tutti a Twin Peaks, nonostante le belle facce, hanno una parte oscura e segreta da nascondere.
Noi, io e te, avevano un lato non illuminato più ampio, forse.
Io la droga, le orge e il sesso per fuggire da quella prigione che era casa mia, e tua.
Tu, bambino, quelle vacanze nella casa al mare, quel vicino così tremendo chiamato Bob e quello spirito diabolico dentro di te.
Ma non è questo quel che conta, non è importante.
Devi solo capire che ti ho scritto perché ti ho voluto bene, e te ne vorrò sempre.
Sai, sono ancora viva, ma è tutto strano qui.
Non sono Laura, sono Carrie, Carrie Page.
E tutto questo ha un’assonanza particolare con le pagine strappate del mio diario.
Mi sento un’altra persona, ma sento che sono la vecchia Laura.
Sono morta prima di te, ma in un certo senso, ora che sono ancora viva, sono più vecchia di te.
Il mondo in cui ho vissuto prima, quello in cui c’eri anche tu, non era un paese per giovani.
Questo, dopo 25 anni, lo è ancora di meno.
Non ho certezze se non una: il male sembra invincibile perché siamo noi uomini che continuiamo a perpetrarlo.
Mi hai ucciso papà, poi sono ritornata in vita grazie a Dale Cooper, ma è come se fossi morta due volte.
La prima per la violenza dei colpi, la seconda rendendomi conto che il male siamo tutti noi.
Quindi ti perdono proprio per questo papà, perché non mi hai ucciso tu, ma mi hanno ucciso tutti.
Tutti coloro che si chiedevano febbrilmente “chi ha ucciso Laura Palmer?”.
Tutti coloro che non hanno il coraggio di guardarsi allo specchio, come facevi sempre tu, e di vedere che dall’altra parte del vetro la loro faccia si trasforma nella faccia di Bob, del maligno.
Perché la verità è che se il male accade è per colpa di tutti noi, che ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, offriamo Garmonbozia a Judy.
Per questo ti perdono, e per questo ho pianto.
Quando ti ho visto piangere e pentirti, quando ti ho visto supplicare Cooper di trovarmi.
Guarda come eravamo belli, io, tu e la mamma.
Adesso tutto questo non esiste più.
Ora però è il momento che io vada.
A cercare di scappare da una cattiva strada.
Ti saluto papà, spero che da dove sei tu possa capire.
Io invece sono qui, ma non so dove mi trovo.
Sono viva, ma non so in che anno sono.
Non so se sono nella realtà, non so se sono nella fantasia.
Sento solo che il male è ancora qui e ho paura.
Vorrei tu fossi qui a proteggermi.
Il vero Leland, quel padre premuroso e affettuoso, quello severo e protettivo.
Le urla ricominciano, devo scappare, vorrei un abbraccio, ma so che non puoi offrirmelo.
Per questo te lo mando io,
Tua, Laura