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Twin Peaks, i Nine Inch Nails e la spirale discendente

Twin Peaks
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L’ultima puntata di Twin Peaks, The Return pt.8, è un delirio assoluto, uno spaccato della mente folle e geniale di quello che è sicuramente il regista più criptico della nostra generazione (e forse di molte altre a venire). Veniamo letteralmente risucchiati nelle fantasie di Lynch, nei deliri da apnea notturna, riusciamo per un attimo a intravedere quello che si cela nelle pieghe più nascoste della sua mente; e quello che avvertiamo ci spaventa e ci disorienta. Non capiremo mai a fondo questa terza stagione di Twin Peaks: tanto le altre erano solari, ironiche e malinconiche, quanto questa è fredda, oscura e impossibile da districare, come un gomitolo di fili nerissimi che ingloba sempre più le nostre mani e la nostra mente, paralizzandole.

Lynch ci chiede solo una cosa, di credere e lasciarci andare; ed è proprio quello che facciamo, anche se non vogliamo, quando sulla scena irrompe la potenza di fuoco e il gelo interpretativo della più grande band industrial del mondo, i Nine Inch Nails (presentati e accreditati con l’ironico articolo “The”).

David Lynch e Trent Reznor sono grandi amici, condividono la passione per l’estremo e l’ignoto e hanno un’inclinazione insanabile per il male di vivere; non è la prima volta che collaborano, e la presenza dell’autore della colonna sonora di Strade Perdute nella nuova creatura lynchiana è qualcosa che dovevamo aspettarci. Non ci aspettavamo, siamo sinceri, una bomba simile (e se vedrete la puntata capirete il perché di questo termine).

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La band irrompe sullo schermo aprendo quella che sarà una discesa continua e irreversibile nell’ignoto, nei meandri della spirale discendente di panico e terrore che i NIN hanno così spesso tradotto in suono e in rumore. Il luogo in cui si esibiscono, in primis, è significativo: come tutte le altre band finora, calcano il palco della Roadhouse, che in Twin Peaks rappresenta un luogo di perdizione, un pericoloso porto di mare in cui si incontrano anime pericolose e tormentate e che è più volte stato teatro di avvenimenti tetri e inquietanti.

Lì avviene la rissa in cui viene stordito Ed, lì avvengono molti degli intrighi che coinvolgono i personaggi minori, lì il gigante restituisce a Cooper l’anello, ponendo fine alla spirale di domande senza risposta circa l’omicidio di Laura. Il luogo è quasi un’incarnazione “terrena” della Loggia Nera, e si rispecchia nel suo gemello angelico, il Double R, teatro di amori, riconciliazioni, amicizie.

Il taglio dell’esibizione è oscuro, viscerale, come solo i Nine Inch Nails sanno essere: Trent canta e si muove come un demone per il palco, ogni espressione del viso distorta e in parte oscurata dalle lenti scure, che riflettono solo il delirio del pubblico sotto di lui, che si perde in una danza disperata e orgiastica sostenuta dal suono imponente e quasi tribale della batteria, che scandisce incalzante il tempo sopra il quale si snoda la voce grave e aliena del suo frontman.

She’s Gone Away, canzone del 2016, è chiaramente un riferimento a Laura Palmer, fantasma senza pace che è ancora presente nei ricordi di tutti e in molti riferimenti della Serie fino ad ora, e che viene evocato nella sua controparte infernale in questa esibizione, che è un vero e proprio sabba. Trent Reznor, Atticus Ross e gli altri preparano il terreno per quella che sarà una vera discesa all’inferno, incarnando al meglio il loro ruolo di traghettatori in un mondo da incubo, incantatori di folle che ci prendono per mano e ci scaraventano in una serie di incubi e visioni allucinogene che continuano per altri 50, estenuanti, minuti.

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Il terrore della guerra nucleare totale, il fungo atomico che diventa albero e produce infinite spirali di fumo e volute di inchiostro; la musica che, seppur dissonante e terrificante, torna a essere onnipresente mentre assistiamo alla smaterializzazione di ogni cosa e alla sua rigenerazione, in una sorta di cosmogonia deviata; la creazione, per Lynch, non può che passare per la distruzione. La scena alla pompa di benzina, poi, pura suggestione hopperiana, è un altro grande riferimento e strizzata d’occhio di Lynch alla band e a se stesso: il riferimento al video di Came Back Haunted dei Nine Inch Nails, girato da lui stesso (e nelle cui strofe si cela forse un riferimento al faticoso viaggio di Good Cooper verso casa), è palese e anche qui ritroviamo le pulsanti suggestioni allucinatorie che avevano costretto a mettere un avviso all’inizio del video: non adatto a chi soffre di epilessia.

La poetica lynchiana ha definitivamente preso il sopravvento sulle atmosfere di Twin Peaks, e sebbene l’aspetto narrativo sia passato decisamente in secondo piano, non possiamo che definirci estasiati per la cura estetica che Lynch ha infuso in questa puntata; sarà difficile superarsi, dopo una simile spirale di visioni distorte (e sarà ancora più difficile tirare le fila di tutto, dopo otto puntate all’insegna del delirio visionario più assoluto). Lynch risponde a suo modo alle nostre (giustificate) perplessità, mettendo in bocca a quello che a tutti gli effetti sembra essere il nuovo BOB, un altro parto del ventre infernale della Loggia Nera, queste parole, che non sfigurerebbero in una strofa scritta proprio da Trent Reznor:

Questa è l’acqua e questo è il pozzo

Bevi fino in fondo, e calati

Un invito, una minaccia o forse le parole illuminate di chi ha raggiunto per davvero la verità, a non opporre resistenza, a lasciarsi andare, ad andarsene. Come Laura. Come cantano i Nine Inch Nails.

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