La terza stagione di Twin Peaks è irriconoscibile. Le atmosfere sognanti, il mondo color seppia popolato da personaggi bizzarri ai quali accadevano le cose più strane, dove c’era sempre una musica ipnotica nell’aria, quel mondo e quello stato d’animo al quale riuscivi ad accedere fin dalle prime note della sigla, che ti riempivano il cuore di struggente nostalgia e rimpianto. Quel mondo è scomparso.
Al suo posto c’è una landa fredda e inospitale, un mondo completamente privo di musica, se si esclude la sigla iniziale che ci ricorda che quello che stiamo per vedere ha come nome Twin Peaks, ma ha un’anima oscura e fredda che ci spiazza.
L’elemento sovrannaturale, nelle scorse stagioni strettamente connesso con la psiche dei personaggi, che mai aveva prevaricato l’aspetto dell’introspezione e della narrazione, ora la fa da padrone. I nostri occhi si nutrono delle visioni allucinogene di Lynch, degli oceani sconfinati della sua psiche, ci inquietano ad un livello profondo e inconfessabile, turbano probabilmente i nostri sogni quando spegniamo la luce; ma l’emozione si ferma lì.
Non c’è un momento in cui si percepisce un’umanità, un senso di vicinanza e di “simpatia” per i personaggi che vediamo; sono i nostri vicini di casa (l’ambientazione è chiaramente ai giorni nostri), eppure sembra di assistere ad una sfilata di creature aliene.
Il godimento estetico ha dei momenti in cui tocca effettivamente le corde scoperte del nostro essere e ci denuda nella nostra fragilità, riducendoci come bambini che piangono in una stanza buia; ma ci sono anche parecchi (forse troppi) momenti in cui l’elemento sovrannaturale pare più un esercizio stilistico (o uno sfogo) di Lynch che un aspetto funzionale al racconto.
Vengono dati fin da subito una serie infinita di input allo spettatore: noi sappiamo che quello che succede nella Loggia Nera, per quanto criptico, ha un significato che verrà rivelato successivamente. Sappiamo, quindi, che è meglio prestare la massima attenzione ai messaggi che ci vengono veicolati; ma in questa terza stagione sono decisamente troppi, e tutti insieme, dunque di difficile gestione da parte dello spettatore, che si trova spiazzato da troppe informazioni non bilanciate da un ritmo nell’azione.
Nessuno si aspettava un’operazione nostalgica da parte di Lynch, il quale con le precedenti stagioni aveva dovuto sottostare fin troppo a criteri che non gli appartenevano; ma queste costrizioni, d’altro canto, hanno contribuito a dare vita ad uno dei più grandi capolavori della televisione. Non c’è niente come Twin Peaks, e non ci sarà mai niente che gli somigli. Un revival, o una scopiazzatura di se stesso, sarebbe stata un’operazione inutilmente dispendiosa di soldi ed energie; non solo David Lynch non è più lo stesso di 25 anni fa, ma non lo è neanche il mondo in cui viviamo. E una vera opera d’arte sa adattarsi ai tempi, sa rispecchiarli e incarnare il loro doppio, proprio come il riflesso malvagio e antitetico di Cooper, di cui Kyle MacLachlan parla qui.
Facciamo veramente fatica a riconoscere i luoghi che abbiamo amato, le facce ormai invecchiate, le situazioni ormai completamente prive di quella linfa di ironia mescolata con il grottesco e l’horror che scorreva come un fiume benefico nella trama delle prime stagioni, e che aveva creato quel marchio inimitabile che decine di altre Serie Tv avevano tentato di imitare senza che nessuna ci riuscisse.
Quello con cui ci confrontiamo è un prodotto completamente diverso, per certi aspetti quasi antitetico, al primo Twin Peaks. Questa terza stagione è più simile alla filmografia di Lynch (trovate un bell’approfondimento qui) che ai capitoli precedenti. Non c’è spazio per l’ironia, per le situazioni comiche, per l’amore e neppure per il terrore puro, in questa stagione: Twin Peaks è tornata per ricordarci che siamo cresciuti, che gli anni Novanta sono passati con il loro carico di speranze e illusioni, che il mondo è un posto freddo e inospitale in cui non si può neanche più avere paura, perchè la condizione alla quale siamo condannati è una costante sensazione di disagio, di tensione latente che riconosciamo sullo schermo quando assistiamo alle lunghissime sessioni di osservazione davanti a una scatola di vetro apparentemente vuota.
Questa terza stagione è così, una fredda e quadrata scatola di vetro all’interno della quale non accade assolutamente nulla all’apparenza; ma che può riempirsi all’improvviso delle nostre paure più recondite. La paura del vuoto, dell’abbandono, del naufragare in uno spazio senza fine, di un oceano di cui si vedono solo migliaia di onde all’orizzonte e nessuna spiaggia. La paura di ritrovarci ciechi e muti, la paura che qualcosa di indefinito bussi alla nostra porta.
Di fronte a una simile prospettiva, specie se si viene da una maratona intensiva delle prime due stagioni e si sente particolarmente lo “shock”, ci si può solo rannicchiare in un angolo piangendo, consapevoli che tutti i nostri interrogativi e le nostre speranze cadranno nel vuoto, oppure si può provare rabbia verso Lynch e il suo modo di dirigere.
Noi proponiamo un’alternativa, che è tanto difficile e laboriosa quanto lo è stata questa lunga attesa: accantonare le aspettative (25 anni più gli interessi, facile a dirsi), immergersi nella visione sforzandosi di limitare al minimo i paragoni con le stagioni precedenti, avere fiducia nelle capacità di Lynch di stupirci con effetti speciali e fidelizzarsi il pubblico in un modo completamente diverso, e forse antitetico al suo modo di fare cinema.
Questa nuova stagione di Twin Peaks può essere vista come un brusco risveglio da un bellissimo sogno o come l’apertura di un capitolo completamente nuovo; quello che andrà a significare la terza stagione per ognuno di noi dipende da quanto sentiamo nostre le atmosfere di 25 anni fa, e da quanto ci teniamo o meno a vedere rispettata una coerenza stilistica che è in primis un omaggio alla storia narrata.
È chiaro che Lynch non ha alcun interesse a rassicurarci, a raccontarci una favola della buonanotte o a rifare un lavoro già visto, ma forse, se è tornato ben 25 anni dopo, è perché ha qualcosa da dire.
Dobbiamo solo decidere se abbiamo voglia di ascoltare.