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La spiegazione psicologica di Twin Peaks

Twin Peaks
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Twin Peaks rappresenta da decenni uno dei lavori più oscuri di David Lynch. È il teatro per eccellenza in cui la follia surreale del regista si fonde con la trama, con l’ambientazione e perfino con il pubblico che diventa parte attiva dello spettacolo, seppur inconsapevolmente. Infiniti sono stati i tentativi di decriptare questo cult senza tempo: si è attinto a riferimenti storici, alchemici, archeologici, esoterici mentre Lynch, chiuso nella sua fortezza mentale, ha sempre rifiutato recisamente e sdegnosamente di fornire la spiegazione a qualunque sua opera. Nella sua logica filmica non è necessaria alcuna lettura razionale: la spiegazione scorre inconsciamente nello spettatore, colpendolo ad un livello subconscio. Ma se volessimo provare a riportare in superficie questa esperienza subliminale?

Black Lodge
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Che Twin Peaks possa avere numerose chiavi di lettura è fuor di dubbio, com’è chiaro, però, che una delle spiegazioni più pregnanti vada ricercata nell’impostazione psicologica. In (quasi) ogni suo lavoro David Lynch ha fornito uno sguardo allucinato, soggettivo, a cavallo tra il sogno e l’incubo. L’esempio più palese e leggibile ci viene da Mullholland Drive di cui abbiamo di recente fornito la spiegazione dettagliata anche di quegli aspetti per anni rimasti oscuri.

Una spiegazione, naturalmente, interamente psicologica.

Ma lo stesso lavoro si può fare benissimo anche con altre opere come Eraserhead, l’incubo onirico di un uomo che rielabora alcuni momenti angosciosi della sua vita. O con Strade Perdute, di cui il filosofo Slavoj Žižek ha proposto convintamente la lettura soggettiva e mentale di un mondo di sogno in cui il protagonista proietta e sublima le sue insoddisfazioni sessuali. Stesso discorso per Velluto Blu che metterebbe in scena il crollo dell’autorità paterna (lo svenimento del padre a inizio film), l’emergere dell’Es (l’irrazionale criminale) e la formazione di un nuovo equilibrio mentale che vede ricomporre conscio e inconscio nel finale (il dolce pettirosso che si nutre del verme). E potremmo andare avanti ancora.

Twin Peaks
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Se escludiamo, insomma, i lavori più “narrativi” di Lynch (The Elephant Man, Dune, Una storia vera), il resto è più o meno chiaramente riconducibile a rappresentazioni mentali e psicologiche che dominano la scena e modificano la realtà oggettiva. Quello che vediamo non è quindi il reale. O almeno non è la realtà tout court. È un tipo di reale, quello tutto mentale, soggettivo e distorto del protagonista di turno. La prima cosa da fare, perciò, con i lavori di Lynch è individuare il “sognatore”.

Noi siamo come il sognatore, che sogna e poi vive all’interno del sogno – ma chi è il sognatore?

Ed è già qui che iniziano i problemi. Su chi sia il sognatore in Twin Peaks sono state fatte varie ipotesi: Cooper? Laura? Lo spettatore stesso? Il regista? Da questo punto di vista Twin Peaks: The Return, non ha semplificato le cose, tutt’altro. Ma concentriamoci per un momento sugli indizi. Proviamo a capire di chi potrebbe essere questo sguardo allucinato sulla realtà, fatto di logge, di bene contrapposto al male, di stupri, di amore, di padri mostri ed eroi salvatori.

Dale Cooper? Senz’altro è il protagonista, l’eroe salvatore, il testimone del bene.

Ma è anche il sognatore? Perché lo sia mancherebbe quel legame con i luoghi, le persone, la trasfigurazione degli eventi che è invece indispensabile per l’autore di questo sogno psicologico. Dale rappresenta senza dubbio la speranza di un deus ex machina, di un angelo che dal cielo scenda a portare salvezza al sognatore laddove il sognatore non è in grado di portarla a se stesso. E allora chi? Il regista stesso, David Lynch? In Twin Peaks: The Return siamo quasi portati a pensarlo ma anch’egli è fagocitato dal sogno. Diventa sognato da qualcun altro. Agisce quasi mosso da un’autorità superiore che regola tutto il reale nelle sue diverse dimensioni.

Laura Palmer
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C’è solo una figura che sembra plasmare il mondo, cancellarlo, andare avanti rimuovendo la tragicità passata. Una figura che arriva nella realtà del 2016, nella nostra realtà, nelle realtà che più si avvicina all’oggettività. Quella persona è Laura Palmer. È lei che muore/non muore, centro focale di tutta la vicenda. Attorno a lei ruota l’intero mondo di Twin Peaks e ogni personaggio sembra rispondere, in maniera distorta, al rapporto che aveva con lei. Ma da dove nasce il sogno? Cosa rappresenta la morte di Laura Palmer? Cosa c’è di “reale”?

Twin Peaks: The Return ci ha mostrato che Laura è viva. Tecnicamente perché si è modificato il passato ma sappiamo che questo non è realmente possibile. E allora? E allora Laura è sempre stata viva. La sua morte è una morte interiore, mentale, psicologica. Gli eventi che Laura ha vissuto sono reali, a partire dagli stupri subiti da parte del padre, a sua volta vittima da giovane di abusi.

Non è inusuale che la vittima divenga aguzzino, che il male subito diventi male commesso, in una psiche irrimediabilmente deviata.

È quello che deve essere accaduto a Leland Palmer, vittima di una vera e propria scissione della propria identità, uomo diviso tra l’amore per la figlia e l’irrefrenabile impulso dell’Es a perpetrare un istinto bestiale. Laura di fronte a tanto orrore, come ogni vittima, si estranea e soprattutto censura l’immagine paterna, troppo tremenda per essere riconosciuta. Ne vede l’alter ego, Bob, il lato animalesco, irrazionale, malato. L’Es. In questo modo, dando una forma orrorifica al carnefice e nascondendone il vero volto, può preservare l’immagine paterna. Nascondere il trauma.

Bob
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Non esiste dunque alcun Bob, è sempre stato Leland. Bob è l’irrazionale che scorre in ognuno di noi, quell’Es che agisce senza morale inseguendo soltanto impulsi sessuali e piaceri. In Leland questa parte della sua interiorità ha da tempo preso il sopravvento. Laura però resiste, non permette che quel male penetri anche in lei, che Bob la possegga totalmente. L’anello, che vediamo in particolare nel film Fuoco cammina con me, rappresenta il simbolo di questa resistenza. Ma allora perché muore? La mente di Laura si oppone fermamente al male ma come soluzione c’è solo la rimozione totale di ciò che è avvenuto. La morte di ogni evento di Twin Peaks, la morte di Laura Palmer, della sua giovinezza. Twin Peaks non è allora nient’altro che il lento procedere verso il collasso di tutto il passato di Laura.

La Laura Palmer di The Return non può naturalmente ricordare nulla, ogni evento è già stato rimosso e sepolto in un recesso oscuro della mente della donna. Quando però torna nella sua casa, quando guarda alla sua camera, il ricordo tremendo del trauma vissuto riaffiora improvviso nella voce di Bob e in un grido che era rimasto sepolto per venticinque anni. Twin Peaks era stato un viaggio tutto interiore. Dale aveva rappresentato la speranza che il trauma potesse essere superato. Prima riconoscendo in Leland il colpevole, svelando cioè il volto reale sotto quello sublimato dalla psiche. Poi sconfiggendo il male in sé, Bob. Per questo Dale era sceso, come già Odisseo ed Enea, in una loggia nera che sa di inferi e che sa di inconscio. È Laura che prova a penetrare in se stessa, a fronteggiare il male che attanaglia il suo inconscio.

Ma qui Dale/Laura fallisce.

Ha paura e quella paura impedisce di affrontare il male. Tutto sprofonda nuovamente in un mondo subconscio che da quel momento in poi domina interamente la vita di Laura/Dale. Ogni momento di vita vissuto, ogni gesto compiuto da Dale (che altro non è che una parte di Laura, la sublimazione di un’autorità che poteva portare giustizia ma non è stata in grado di farlo) è un gesto condizionato e dominato dal subconscio. Dominato dal trauma. Dominato da Bob e dalla loggia nera. Dale diventa semplicemente l’amorfo Dougie Jones.

Twin Peaks
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E il nano cosa rappresenta? Le due logge sono naturalmente le partizioni dell’inconscio, quella bianca, più superficiale e controllabile fa da contraltare all’inconscio più profondo. Man mano che ci si inoltra così in basso, spariscono le convenzioni sociali, la morale, il bene o il male, rimane solo impulso, follia, forza, piacere. La garmonbozia di cui si nutrono queste mostruose istanze è nient’altro che l’appagamento di impulsi e piaceri. Più è forte la paura in superficie più l’inconscio profondo prende il sopravvento.

Per venticinque anni dobbiamo quindi immaginare Laura in balia di questa paura, in balia del suo inconscio più incontrollato. Ma poi, cosa accade esattamente? Per quanto l’inconscio tenti, non è possibile tenere sedimentato un trauma così grande per sempre. Basta poco perché qualcosa si ridesti, perché riemerga in forma di tic nervoso o fobia improvvisa o malattia psicosomatica. Twin Peaks: The Return è il ridestarsi di questo trauma che sembrava sepolto con la fine di Twin Peaks.

E la realtà che vediamo nella serie madre?

Che tutto sia interconnesso, immenso contenitore mentale collettivo, appare chiaro nel momento in cui Maddie muore e ognuno nel pub partecipa a quel dolore senza rendersi esattamente conto di cosa sia accaduto. Tutti percepiscono il dolore, parte di un immenso inconscio collettivo che soffre all’unisono. Maddie non è altro che, naturalmente, Laura, la sua maschera. Quella dietro cui si nasconde la ragazza per fuggire al dolore e alla morte, per rinascere di nuovo. Ma l’esito è inevitabilmente lo stesso. Anche la nuova identità di Laura non può che andare incontro al male e al fallimento.

Maddie
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Tutto ciò che vediamo è dunque proiezione mentale, parte di un inconscio unitario, quello di Laura. Audrey, per esempio, non rappresenta altro che la speranza di un amore genuino, la possibilità che Laura venga salvata da Dale e trovi la felicità. Anche lei rischia di subire uno stupro da parte del padre, ennesima riattualizzazione del trauma di Laura. Maddie è una Laura “ripulita”, l’immagine candida, buona, amata e lontana da cattive frequentazioni, droga e stupri. Ma l’esito per tutte queste istanze mentali è inevitabilmente il fallimento.

Tutto collassa in Twin Peaks perché il mondo mentale di Laura non regge all’orrore.

La paura ha la meglio, l’inconscio più incontrollato e bestiale emerge e domina la scena inghiottendo ogni figura positiva, travolta da un dolore troppo grande. Il finale di Twin Peaks è il fallimento mentale di Laura, la chiusura soffocante e respingente di una speranza di rinascita. Twin Peaks: The Return è di contro il riemergere dell’orrore dopo che il mostruoso irrazionale ha dominato per venticinque anni il mondo producendo nuovo orrore.

Torna Dale Cooper, torna Laura Palmer, torna la mente a lottare con se stessa. Quel trauma è ancora lì, soffocato per venticinque anni, ma sempre lì. Laura prova a cancellarlo di nuovo, a modificare il suo passato e quindi il suo presente giungendo fin oltre la sua realtà, approdando nel nostro mondo (la proprietaria della casa dei Palmer è la vera proprietaria nella nostra realtà). Ma se tutto è cambiato, se la cancellazione pare compiuta il finale ci mostra che qualcosa non può semplicemente essere rimosso: il trauma sopravvive a qualunque finzione, a qualunque tentativo di raschiatura. La voce di Bob, la voce del male, il simbolo del trauma, riecheggia in Laura e l’orrore ora è anche più grande e pauroso perché non trova più alcuna spiegazione. C’è solo Laura e la sua psiche infranta.