ATTENZIONE: L’articolo contiene spoiler su Twin Peaks: The Return e sulle precedenti due stagioni della serie
La febbre collettiva che agli inizi degli anni Novanta ha attanagliato il mondo intero, è tornata a scottare nel 2017, quando David Lynch e Mark Frost hanno condotto gli spettatori verso l’attesissimo ritorno a Twin Peaks. Non serviamo noi a spiegare l’enorme impatto che la serie prodotta da ABC ha avuto sul panorama televisivo. Una vera e proprio rivoluzione epocale, tanto che, ancora oggi, Twin Peaks (visibile oggi sull’app di Paramount+) rimane una delle serie più amate dal pubblico. E anche una delle più incomprese. Perché, diciamocelo chiaramente, di risposte David Lynch non ha mai voluto darne troppe. Fa parte dell’esperienza, onirica e trasognante, ma per certi versi è anche frustrante. Quella smania di sapere, insita nell’essere umano, non trova risposte, se non parziali, nelle prime due stagioni di Twin Peaks (qui potete trovare la nostra recensione a posteriori della prima, iconica, puntata). E questa incertezza non ha fatto altro che aumentare la passione.
A lungo, dunque, questo viaggio è rimasto incompiuto. Con una incompiutezza che, come per la Sagrada Familia di Gaudi, ne ha aumentato il valore. Twin Peaks si è alimentata coi propri segreti, fino ad accogliere il revival come una sorta di concessione messianica. Un ritorno sulla scena del crimine, atteso disperatamente. Anche se poi la realtà si è rivelata diversa dalle aspettative. In un articolo precedente ci chiedevamo se, a conti fatti, avesse avuto senso il revival della serie. Ora, invece, vogliamo ragionare su un altro aspetto. Quello della necessità di questo ritorno. Per tutti noi. Per David Lynch. Col compito di dare compiutezza finalmente al magnifico e disturbante viaggio tra le ombre di Twin Peaks.
“Dobbiamo tornare indietro”
Prendiamo in prestito questa iconica frase da Lost per illustrare il presupposto di necessità alla base di Twin Peaks: The Return. La serie partorita dalla geniale mente di David Lynch aveva chiuso i battenti nel 1991. Un anno dopo era arrivato il discusso prequel Fuoco cammina con me. Un film completamente stroncato dalla critica e a lungo rigettato dagli stessi fan. Salvo poi essere, almeno parzialmente, rivalutato successivamente. Fuoco cammina con me, però, si concentrava sulla vita di Laura Palmer prima della sua morte. Un aspetto, in fin dei conti, che interessava poco al pubblico, in trepidante attesa invece di delucidazioni sulla seconda stagione di Twin Peaks.
Questo capitolo, infatti, rappresenta una bella nota dolente. La stagione si spezza in due, con la rivelazione dell’assassino di Laura Palmer piazzata a metà del racconto. Una scelta voluta fortemente da ABC, che però ha avuto enormi conseguenze sul resto della stagione. Dopo questa transizione, la trama di Twin Peaks si è allargata a dismisura, innescando una serie di storie secondarie che, di fatto, non hanno mai avuto compimento. Una confusione che ha allontanato gli spettatori, che progressivamente hanno abbandonato la serie.
Gli ultimi due episodi provano a ricollegarsi a Laura Palmer e alla trama principale, fino all’iconico, e assai vago, finale che conosciamo. La frittata, però, ormai era fatta. Il vertiginoso calo di ascolti della seconda metà di stagione ha portato alla cancellazione della serie. Tutte quelle trame aperte, seppur secondarie, e soprattutto quel criptico finale hanno sempre lasciato, però, nello spettatore un senso d’insoddisfazione. A gran voce, da subito, è avanzata la richiesta di una terza stagione, attesa da entrambe le parti. Da Lynch, per concludere il proprio lavoro. Dal pubblico, per avere finalmente delle risposte. Un clima estremamente favorevole, dunque, ha accolto Twin Peaks: The Return. Finalmente, dopo tantissimi anni di spasmodica attesa.
Twin Peaks: The Return dalla parte di David Lynch
È evidente, dunque, il presupposto di necessità che ha portato al revival. Per come si è evoluta la seconda stagione, e per come si è conclusa, un prosieguo è apparso da subito naturale. Uno degli aspetti più interessanti, però, è analizzare la prospettiva dei singoli relativamente a questa necessità. Perché questa dice molto dell’indirizzo e della risonanza di questo revival. Mettiamoci prima nei panni di David Lynch. La seconda stagione è stata frustrante anche per i creatori della serie, che desideravano svelare la verità sull’omicidio di Laura Palmer alla fine. Le pressioni del network hanno portato a un totale ripensamento, che ha avuto poi le conseguenze che abbiamo visto, stravolgendo il lavoro programmato.
Dalla prospettiva di David Lynch, dunque, il ritorno a Twin Peaks era essenziale non solo per completare la sua opera, ma per farlo a modo suo. Il revival, come detto, è arrivato in condizioni estremamente favorevoli. Una grande opportunità per Lynch per dare libero sfogo alla sua creatività. Il regista, dunque, ha potuto non solo definire il proprio disegno, ma scatenare tutte quelle immagini oniriche e allegoriche che costituiscono l’essenza della sua arte. Con un pubblico già fidelizzato e con un prodotto già affermato, Lynch ha potuto premere sull’acceleratore, senza pressioni di alcuni tipo. Ne escono fuori lunghe sequenze puramente oniriche e un’estetica allegorica dilagante in tutto il racconto. In molti passaggi abbiamo visto un Lynch allo stato puro, liberato da quei freni che erano ben tesi nelle prime due stagioni di Twin Peaks.
Twin Peaks: The Return dalla parte dello spettatore
Spostiamoci dalla prospettiva di Lynch a quella dello spettatore. Di tutti noi. Cosa chiedevamo al revival di Twin Peaks? Essenzialmente risposte, ma non solo. Volevamo anche rivivere la sublime esperienza nella cittadina, recuperando quelle atmosfere della prima metà e mezzo di serie. Se sotto il secondo versante siamo stati accontentati, l’esigenza di risposte è rimasta incompiuta. O meglio, alcune domande sono state soddisfatte, ma poi ne sono sorte altre, rimaste inevitabilmente aperte. Non a caso si parla anche di una quarta stagione, pure se il pensiero di uno dei protagonisti della saga, l’interprete dell’Agente Cooper Kyle MacLachlan, è completamente contrario.
Questa incompiutezza, però, fa parte dell’essenza di Twin Peaks. Avere tutte le risposte non sarebbe coerente col clima narrativo costruito. Ci sono diverse dimensioni nel racconto, dal sogno al sovrannaturale, che devono per forza di cosa aleggiare nel dubbio. Va assodato che, su alcuni punti, risposte non possono esserci. Diverse trame lasciate aperte nella seconda stagione, però, vengono chiuse. Questa piccola quantità di risposte, assieme al tanto agognato ritorno al clima che ha fatto innamorare il mondo di Twin Peaks, bastano per accontentare lo spettatore dopo tanta attesa.
Un incontro di esigenze
Questo, di base, è stato Twin Peaks: The Return. Un compromesso tra prospettive diverse, accomunate da un desiderio unico. Ciò che abbiamo visto, con i suoi pregi e i suoi difetti, è l’incontro tra queste esigenze. Da una parte l’estetica di Lynch alla sua massima potenza, dall’altra però anche attimi di puro fan service. Un bilanciamento che ha accontentato tutti. Tranne forse, il racconto stesso. A venire sacrificate, infatti, sono state proprio le esigenze narrative. Il revival di Twin Peaks non è libero da problematiche, anzi. Eppure ha cercato di accontentare tutti. Forse proprio per questo non è libero da problematiche. In virtù di ciò che da una parte Lynch e dall’altra lo spettatore, desideravano, il revival ha messo in secondo piano ciò che serviva alla narrazione.
Narrativamente, quindi, si può discutere il senso del ritorno a Twin Peaks. Ma non concettualmente. Il revival serviva sia a Lynch che al pubblico per placare una sete lunga 25 anni. Ha costituto un luogo d’incontro e di compromesso importante, anche a discapito di altre componenti. Poi sicuramente molte cose potevano essere fatte in modo diverso. Ma c’è un’ammirevole coerenza di fondo in questo revival, che in fin dei conti non fa altro che aumentare il fascino di Twin Peaks. Una serie magnificamente incompiuta, la cui attrattiva risiede proprio nella sua tenacia nel celare i propri segreti.