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Una famiglia quasi normale – Recensione della nuova miniserie su Netflix

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ATTENZIONE: proseguendo nella lettura potreste incappare in spoiler su Una famiglia quasi normale.

È uscita ieri, venerdì 24 novembre 2023, A Nearly Normal Family (il titolo originale), una miniserie composta da sei puntate, tratta dal più celebre romanzo dello scrittore Mattias Edvardsson, romanziere svedese da diversi milioni di copie.
L’adattamento televisivo per Netflix che si aggiunge al già copioso catalogo nordico è curato da Hans Jörnlind e Anna Platt mentre la regia è stata affidata a Per Hanefjord, già conosciuto per Elkland, Omicidi tra i fiordi – Il bambino segreto e Rig 45.
Una famiglia quasi normale, soprattutto in considerazione del particolare momento che stiamo vivendo in questi giorni, qui in Italia, potrebbe risultare particolarmente coinvolgente per i temi trattati. La storia, infatti, inizia con una violenza sessuale subita dalla protagonista. Una violenza che segnerà per sempre la sua vita e quella dei suoi genitori. Apparentemente, potrebbe trattarsi di un’altra storia di brutalità nei confronti di una ragazza, in questo caso nemmeno maggiorenne, come già ce ne sono nel catalogo di Netflix, alcune delle quali davvero ben fatte. In realtà questa miniserie svedese affronta tutta la faccenda ponendo l’attenzione in particolar modo sui due genitori che, pur credendole, le daranno consigli, evidentemente, sbagliati.

Stella, interpretata da Alexandra Karlsson Tyrefors (qui alla sua prima esperienza davanti a una telecamera) è una ragazza come tante altre. Durante un ritiro con la squadra di pallamano femminile nella quale milita si invaghisce del nuovo vice allenatore. Tra i due c’è subito feeling che si trasforma in un attimo in passione. I due si baciano, cercano un rifugio nascosto per poter continuare a scambiarsi effusioni. Stella, però, ha un ripensamento. Dice no mentre l’altro insiste. Prova a rifiutarlo ma alla fine rimane impietrita e subisce la violenza che viene interrotta, fortunatamente, dall’arrivo di un altro adulto.
A prendere Stella viene il padre, Adam (Björn Bengtsson) che la riaccompagna a casa. Durante il viaggio viene a scoprire che i fatti che gli sono stati raccontati non corrispondono alla realtà: Stella è stata violentata. Così chiama la moglie (Lo Kauppi), avvocata, la quale, una volta a casa, interroga Stella traendo un’agghiacciante conclusione: inutile fare la denuncia. Inutile perché la sua esperienza lavorativa l’ha spesso messa di fronte a drammi del genere. Drammi nei quali la vittima è messa sotto accusa e il colpevole, troppo spesso, riesce a farla franca.
Alcuni anni dopo Stella ha diciannove anni e lavora in una pasticceria. Conosce Chris (Christian Fandango Sundgren), un avvenente broker molto più grande di lei, con il quale intraprende una relazione. Chris però viene assassinato e Stella accusata del suo omicidio.

Una famiglia quasi normale
Una famiglia quasi normale, 640×360

La miniserie si sviluppa attorno al periodo che Stella passa in carcere prima del processo che la vedrà imputata. Mentre la ragazza è nella sua cella lo spettatore rivive attraverso flashback tutta la relazione con Mikael scoprendo, solo all’ultima scena, come davvero siano andate le cose.
Oltre al punto di vista della protagonista viene messo in evidenza anche quello dei genitori che intraprendono, ciascuno per la propria strada, una serie di contromisure per cercare di fornire un alibi alla loro unica figlia, che considerano colpevole. Così il padre, mente agli inquirenti. Mentre la madre nasconde i vestiti sporchi di sangue buttando via, in seguito, sia l’arma del delitto sia il cellulare della figlia.
I piani narrativi differenti, come spesso capita, permettono a chi guarda di seguire la vicenda quasi in diretta. Nel corso delle sei puntate, poi, le varie tessere del puzzle cominciano a unirsi permettendo così allo spettatore di sovrapporre le tre storie principali e avere un quadro della storia più chiaro. Non ci sono particolari colpi di scena, la storia è piuttosto semplice, e nemmeno buchi nella trama. Tutto scorre tranquillamente, senza scossoni, fino alla fine, in modo da non appesantire in maniera eccessiva chi guarda, già provato da una storia di per sé, agghiacciante.

Una famiglia quasi normale mescola diversi generi. C’è un po’ di crime, un po’ di procedurale. È, però, un thriller che scava nel dramma di una famiglia apparentemente perfetta, invidiata dagli amici e dai vicini, la quale viene investita da un macigno di proporzioni bibliche.

L’omicidio del compagno di Stella è la goccia che fa traboccare un vaso ormai colmo di risentimento, astio, rancore. Di detti e, soprattutto, non detti.
Alcune scene sono davvero emblematiche in questo senso perché descrivono perfettamente come il trauma della violenza subita in passato non sia mai stato superato, ammesso che si possa superare una violenza del genere.
In una la madre confida a un’amica di esser delusa dalla figlia perché ha mollato gli studi e non le somiglia per niente. Le rinfaccia di non approfittare di tutte le possibilità che le sono state date trovandola inconcludente, priva di scopo. In un’altra, in carcere, Stella affronta un percorso con la psicologa. Durante una seduta, finalmente, la ragazza riesce a sfogare il dolore e il senso di colpa derivati della violenza subita piangendo. Una terza, invece, vede protagonista il padre che, rintracciato lo stupratore della figlia, lo prende a pugni, a distanza di anni.
Queste tre scene sono perfette per descrivere lo stato d’animo dei tre protagonisti perfettamente riassumibile nella foto che appare durante la sigla iniziale dove si vedono i tre, insieme, con tre differenti espressioni stampate sul volto: il padre sorridente, la figlia con un sorriso appena accennato e la madre con le labbra serrate.

Una famiglia quasi normale
Alexandra Karlsson Tyrefors, 640×360

Una famiglia quasi normale, escludendo il padre e l’avvocato difensore, è incentrata tutta sulle figure femminili. Stella, la madre, la sua migliore amica Amina (Melisa Ferhatovic), l’ex fidanzata di Chris, la psicologa, la giudice, la procuratrice e persino la pastora, collega del padre, sono tutte donne molto ben descritte, con un ruolo preciso all’interno della storia. Niente sembra esser lasciato al caso e nessuno di questi personaggi risulta sistemato come riempitivo.
Ciascuna è collegata a Stella in qualche modo e con Stella è costretta a fare i conti. Il confronto, anche a distanza, con la violenza subita dalla ragazza e poi l’accusa di omicidio permette a queste donne di effettuare un esame di coscienza molto profondo. Alcune ne ricaveranno dei benefici. Altre, invece, rimarranno quello che sono. Ma nessuna ne uscirà completamente indenne.
Nessuna, però, parla mai di questo ingombrante passato se non durante il processo, quando Amina gratta via quella sottile crosta che ricopre una ferita mai rimarginata, facendola sanguinare di nuovo. Lo stupro iniziale, infatti, è lì, sempre presente. Aleggia nell’aria e pesa sulle coscienze in maniera differente. Del resto, si sa, non tutti reagiamo allo stesso modo. Ma Amina ha il coraggio di dire che nessuno ha dato credito al dolore subito da Stella rinforzando, così, la loro amicizia.

Una famiglia quasi normale non scade mai nel melodramma. Anche le scene più drammatiche hanno una dignità e una freddezza nordica sempre presenti. Non ci sono particolari momenti di suspense e praticamente fin da subito è chiaro chi sia il colpevole. Nemmeno il trauma iniziale subito da Stella è un fattore così preponderante. Ciononostante lo spettatore è invitato a proseguire nella visione perché i personaggi hanno un che di magnetico che attira, irrimediabilmente, alla puntata successiva.
Stella è colpevole? Sì? No? Forse? La storia non è tutta qui. Non è ridotta alla sua colpevolezza o alla sua assoluzione. Va ben oltre.
Affronta il silenzio. Affronta le conseguenze della scelta di non denunciare che trascinano come un’ancora, verso l’abisso più oscuro. Affronta il dubbio, l’incertezza e la mancanza di fiducia che, talvolta e disgraziatamente, le persone care nutrono nei nostri confronti. Quelle persone care che dovrebbero, invece, sostenerci nei momenti di difficoltà. C’è complessità e contraddizione in questa miniserie. E non è un caso che il padre di Stella sia un pastore e che debba affrontare le conseguenze delle sue menzogne di fronte a Dio.

Una famiglia quasi normale è una miniserie… seria. Che va vista. Non un capolavoro ma fatta con una certa cura e una certa attenzione, capace di affrontare un argomento del quale non si parla mai abbastanza senza false retoriche né, tanto meno, eccessivi moralismi. Come in una cronaca gli eventi narrati sono asciutti, crudi, e forniscono allo spettatore il materiale sufficiente per trarre un giudizio sulla faccenda e sui personaggi.
Pur non presentando particolari novità stilistiche è capace di attirare l’attenzione di chi la guarda fin da subito anche grazie alla presenza scenica dei suoi protagonisti, decisamente lodevole, che in certi momenti è davvero commovente.