Unbelievable. Incredibile. Come avere il coraggio di parlare e non essere credute. Raccontare ancora e ancora un trauma subito facendo un incredibile sforzo che poi si rivela vano perché le orecchie che dovrebbero ascoltare e le braccia che dovrebbero accogliere sono chiuse, sigillate. È successo, e purtroppo continua a succedere. Succede nella realtà e succede in quelle narrazioni che della realtà sono uno specchio fedele, una visione distorta solo in relazione a come le cose dovrebbero essere ma non a come sono davvero.
Perché la realtà a volte fa davvero schifo. Ma se le serie tv possono servire a qualcosa, questo qualcosa è descrivere le brutture e le storture del nostro mondo, portandole in un contesto fittizio nel quale, forse, per gli spettatori può essere più facile guardare dall’esterno un mondo che somiglia molto al loro. Un mondo che è il loro. E guardarlo da fuori magari può aumentare la voglia di impegnarsi a cambiarlo da dentro. Per farlo però ci vogliono narrazioni forti, che non hanno paura di criticare e di metterci a tu per tu con una società che ha ancora tanto da migliorare. Narrazioni come quella effettuata da Unbelievable, una miniserie che è tutt’altro che incredibile.
Una miniserie che fa male scena dopo scena, puntata dopo puntata
Non dev’essere facile condensare in otto puntate il racconto di una storia dolorosa per chi l’ha subita, per chi ne ha vissute di simili ma anche per chi sa di vivere in un contesto in cui può accadere. Ma con questa miniserie ispirata a fatti reali, Netflix ci è riuscita benissimo. Kaitlyn Dever interpreta Marie Adler, un’adolescente con un passato difficile vittima di uno stupro compiuto da parte di uno sconosciuto entrato in casa sua. Marie è traumatizzata, ha paura, ma si fa coraggio e va a denunciare alla polizia quello che le è successo.
Ma ciò che accade successivamente è una violenza nella violenza: i detective che prendono in mano il caso e ascoltano Marie ripetere quella che è a tutti gli effetti la storia di uno dei peggiori traumi che una donna possa subire non credono alle sue parole. La ragazza è impaurita, confusa, titubante, e i detective, coloro che dovrebbero garantire la sua sicurezza, prendono le piccole imprecisioni del racconto come una prova schiacciante di falsa testimonianza, cominciando non soltanto a porsi in maniera ostile nei suoi confronti, ma praticamente conducendola anche ad affermare di non aver subito nessun abuso.
A causa di questa vicenda Marie viene accusata di falsa testimonianza e i due geniali detective tornano a casa ben felici di aver sventato le attività criminali di un’altra pericolosissima giovane bugiarda. Il tempo passa, passano gli anni e Marie affronta la sua vita come può. Tutto ciò fino a quando Grace Rasmussen e Karen Duvall, detective in due diversi distretti, si rendono conto delle analogie tra i casi dei quali si stanno occupando a distanza di diversi Stati l’uno dall’altro.
Due casi che presentano analogie anche con quello di Marie.
L’aggressore conosce il sistema, sa che tra i distretti non c’è comunicazione e che agendo a distanza di tempo e spazio le sue azioni hanno ottime probabilità di restare impunite. Questo, almeno, finché le detective non scoperchiano il vaso di Pandora facendo venire fuori anche la verità su Marie, dopo anni di ricerche e indagini non effettuate perché sulla carta il suo stupro non era mai avvenuto. Il colpevole viene trovato, ma a costo degli anni di vita che una delle sue vittime ha trascorso come una persona non meritevole di essere creduta.
Unbelievable è la storia di una doppia violenza
Marie Adler è il nome di fantasia della protagonista di una storia totalmente reale. Una storia che, prima di essere raccontata da questa miniserie Netflix, è stata al centro di un’inchiesta per la quale i due autori sono stati premiati con il Pulitzer per il miglior giornalismo investigativo. Le vicende di Marie e della donna della quale Marie ha tutto fuorché il nome sono quelle di una persona che ha vissuto a tutti gli effetti una doppia violenza. La prima è, ovviamente, la violenza sessuale subita tra le mura domestiche, in quella casa che doveva essere il suo rifugio e invece si è trasformata nella sua prigione. La seconda è la violenza morale subita dalla polizia, da uomini che non ci hanno pensato due volte a guardarla come la bugiarda che non era e a farla sentire piccola, indifesa, ancora più vulnerabile.
Proprio gli uomini che sono pagati per garantire la sicurezza dei cittadini come Marie si sono rivelati i suoi primi nemici.
Unbelievable racconta questa doppia violenza in un modo onesto, crudo, che fa male a livello emotivo ma anche fisico, quasi come se fosse una bruciatura sulla pelle. Gli attori riescono a portare sul piccolo schermo una vicenda a dir poco complessa in maniera estremamente reale, donando a ogni personaggio la tridimensionalità necessaria. Kaitlyn Dever dà corpo a una Marie dotata di un viso dolce tanto quanto spaventato e di una calma che sembra quasi urlare, originata dal trauma e dall’incredulità nel comprendere ciò che le succede.
Agli antipodi di questo atteggiamento ci sono Toni Collette e Merritt Wever, che interpretano le due detective senza le quali la vicenda non avrebbe mai visto soluzione. Le due donne sono diverse in molti aspetti delle loro personalità ma di certo non nella testardaggine, nella caparbietà e nella voglia di mettersi in gioco per gli altri, cosa che fanno con una forza d’animo che continua a farle muovere anche quando lo sconforto potrebbe prendere il sopravvento. Non succede. Ed è proprio per questo che Marie riesce a ottenere la giustizia che merita.
Scelte narrative per un fine più grande
Durante gli interrogatori Marie è incalzata, le si chiede di raccontare la sua versione dei fatti – l’unica versione dei fatti – ancora, ancora e ancora, fino a farla contraddire. Di fronte ha due uomini pronti a giudicarla e lei è sola: lo è fisicamente, emotivamente, nel cuore e nello spazio. Viene inquadrata in un ambiente freddo, spoglio, non c’è niente attorno a lei. Viene poi ripresa dal basso, vengono sottolineati i dettagli della sua ansia, le espressioni, i gesti. E l’alternanza continua, con lei da una parte e i detective dall’altra, mentre la guardano come se non aspettassero altro che vederla crollare. Al suo fianco non c’è nessuno. La stessa Marie lo afferma più avanti nella serie: non importa quanto le persone affermino di volerti bene, di volerti stare accanto, davanti a una verità che non gli piace ci metteranno poco ad andare via, pur di non guardarla.
Questo Unbelievable lo dice, lo ripete, lo afferma a gran voce. E quelle trasmesse dalla miniserie sono delle verità che bisogna affrontare, se si vuole anche solo provare a cambiarle. Ci vogliono coraggio, realismo e crudezza per affrontare argomenti come quelli che sono al centro di questa serie. Ci vogliono scelte forti, accompagnate dalla volontà di migliorare un sistema che troppo spesso gira al contrario. Per ogni detective Duvall ce ne sono ancora troppi che fanno orecchie da mercante davanti a situazioni come quella di Marie; per ogni detective Rasmussen ci sono troppe persone che negano l’evidenza, preferendo la loro tranquillità alla dura realtà. Unbelievable ci consegna verità agghiaccianti e storie dolorose, lasciando agli spettatori l’amaro in bocca e una tristezza che non va via facilmente. Una tristezza che è lo spunto per ripartire.