Come spesso accade, le serie tv che trattano temi scottanti sono le più discusse e allo stesso tempo le più apprezzate. È il caso di Unbelievable, la miniserie drama (tratta da eventi realmente accaduti) che ha innescato una profonda riflessione su temi mai così attuali.
Strutturata in 8 puntate, la serie mette sul piatto molti temi interessanti, forti e di attualità. Primo fra tutti il tema della violenza sessuale e di tutti i suoi risvolti.
Una trama forte, ma soprattutto vera
Uscita nel 2019 e classificatasi come una delle migliori dell’anno in questione, racconta la vera storia di Marie, una ragazza dalla vita difficile, con varie esperienze di affido in corso che vive a Lynnwood in una casa-famiglia. Una notte mentre dorme viene assalita e violentata da un predatore sessuale che, dopo la violenza, si scusa con la vittima, la lega e sparisce.
L’aggressione subita dalla ragazza, però, è oggetto di dubbi da parte dei due detective locali che ricevono la denuncia (spinti anche dai sospetti di una delle mamme affidatarie che parla male di lei). Confusa e intimidita, la ragazza viene convinta a fare marcia indietro e ad affermare d’essersi inventata tutto. Per la legge il presunto inganno sarebbe rimasto tale, se due detective donna non avessero deciso di affrontare una serie di altri casi di stupro rimasti irrisolti, avvenuti fra gli stati di Washington e il Colorado.
Oltre il danno la beffa
Come ci si sente nel sapere qual è la verità e non essere creduti?
Il pilot inizia senza troppi preamboli e senza dover mostrare troppo: lo stupro è già avvenuto, noi lo abbiamo visto. Fin da subito è tutto sbagliato, ma non in Marie bensì nel sistema giudiziario. Una ragazza di soli 16 anni viene stuprata: tutto ci aspetteremmo tranne che il trattamento che le viene riservato.
Sul posto arrivano rapidamente i poliziotti (uomini, è importante precisarlo) che cominciano ad analizzare la stanza e a fare domande. Sulla modalità e il tipo di approccio dell’interrogatorio subito si presentano degli errori: domande troppo dirette, spesso di natura sessuale, che un detective con un minimo di sensibilità porrebbe in maniera diversa a una ragazzina che ha appena subito una violenza.
Queste domande provocano a Marie flashback traumatici. Non passa troppo tempo che arriva un nuovo detective sul posto, più alto di grado, che esige di nuovo una dettagliata successione degli eventi (ma stiamo scherzando?). Come se non bastasse la ragazza deve sottoporsi alle analisi mediche, volte ad accertare l’accaduto e per trovare eventuali tracce biologiche dell’aggressore.
“Unbelievable”, ma per fortuna qualcuno le crede
I detective che per primi indagano sullo stupro sanno bene di avere di fronte una ragazza fragile e manipolabile e ne approfittano per estorcerle una “confessione” e farla passare da vittima a colpevole di falsa denuncia, imputandole anche una sanzione da pagare.
È solo grazie alla tenacia di due detective donne (Stacy Galbraith e Edna Hendershot nella realtà) che Marie riesce ad ottenere la giustizia che merita: le due si uniscono nella ricerca dello stupratore e portano l’indagine fino in fondo. Non lasciano nessuna pista intentata e mettono in campo tutte le risorse a loro disposizione fino alla cattura del colpevole. È abbastanza evidente che la strada per fare giustizia esiste, ma non tutti scelgono di intraprenderla e Unbelievable lo dimostra.
Solo quando arrestano e interrogano lo stupratore seriale vengono a conoscenza del caso erroneamente chiuso di Marie. Il fallimento dei detective che si erano occupati del caso della ragazza è evidente, ma per loro ovviamente non ci sono pene da scontare. Nessuna punizione per averla intimorita, bullizzata, letteralmente costretta a ritrattare la sua confessione.
Tocca temi scomodi, ma che vanno affrontati
Quando sei vittima e sei donna
Una miniserie di questo tipo tocca con mano diversi argomenti scomodi, primo su tutti come si comportano le istituzioni con una donna che ha subito una violenza così grande.
Il divario immenso creato dal diverso trattamento destinato a Marie dalle detective donne rispetto agli uomini fa riflettere, ma più di tutto fa arrabbiare. Marie non viene creduta perché non piange, è troppo calma, perché non ha le reazioni che gli altri si aspettano da lei (nessuno sembra notare neanche i lividi e gli ematomi della ragazza). Fa ancora più rabbia sentirle dire “Sono nei guai?” ai detective, ormai stanca di insistere su una versione dei fatti a cui nessuno sembra credere.
Unbelievable è tosta, ci fa ribollire il sangue al solo pensiero che ancora oggi molte donne non denuncino le violenze subite per paura di non essere credute, ascoltate, aiutate, additate. Per paura di sentirsi dire “Te la sei cercata” e di finire nei guai.
Non è solo la storia di una violenza, è la storia di tre donne
È la storia di tre donne che lottano per trovare la verità, una storia di rivalsa che non cancella quello che è avvenuto ma se non altro permette di andare avanti.
Marie non si è lasciata sconfiggere dall’ingiustizia, dopo aver affidato il suo caso a un avvocato, è riuscita a ottenere un risarcimento pari a 150.000 dollari. Stando a quanto riportato ha trovato lavoro come camionista. Si è sposata ed è diventata mamma.
Parlarne ma senza spettacolarizzare
Unbelievable si differenzia sia per la qualità del racconto, sia per il genere di riferimento. Stiamo parlando di un quality crime drama: pensato per catturare l’attenzione di un pubblico colto e abituato a vedere serie tv dall’esplicito valore culturale e dell’estetica affine allo stesso prodotto di matrice cinematografica (Bombshell, Tre Manifesti a Ebbing, Missouri ecc..), ma anche alle più recenti serie tv (The Morning Show).
Unbelievable espone un argomento delicato ma lo fa senza spettacolarizzarlo, attenendosi alla semplice testimonianza. È una storia forte ma che tutti prima o poi dovrebbero trovare il coraggio di guardare.