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Unorthodox: la nostra storia, il nostro dio, la mia rinascita

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Unorthodox (qui la recensione) desidera spalancare le porte di un mondo alla maggior parte di noi ancora sconosciuto: quello della comunità chassidica di ebrei ultra ortodossi che si stanziò in gran parte a Williamsburg, New York, all’indomani del secondo conflitto mondiale. Attraverso un viaggio delicato entriamo quindi in contatto con la cabala ebraica, con i culti, i riti, con la lingua e con una forma mentis ben diversa da quella di molti giovani di oggi. L’avventura che la protagonista, Esty Shapiro, decide coraggiosamente di intraprendere a diciannove anni non sembra tanto voler sconvolgere noi, che tuttavia alla fine ne siamo inevitabilmente sorpresi e colpiti, quanto smuovere le colonne portanti di un culto che non ha occhi per il futuro ma solo per il passato. 

Sin dalla prima puntata di Unorthodox non riusciamo a comprendere se Esty e gli altri personaggi vivano negli anni quaranta del secolo scorso o nel nostro presente. 

Gli abiti che lei indossa sono infatti quelli degli antenati, delle vittime che, parafrasando le parole del rabbino, per anni sono state rigettate, denigrate, oppresse e perseguitate dal mondo esterno. Capiamo bene che si tratti di una decisione volontaria, quella di vivere nel passato, attraverso la quale la comunità ricorda e rispetta quelle vittime con l’intento di espiare una grande colpa. La quotidianità in cui Esty cresce è fortemente conservatrice, simile e diversa da quella di una Mrs Maisel, ma ciò inizialmente non le pesa, in fondo coloro che ne fanno parte sono pur sempre la sua famiglia, grazie alla quale per anni lei era stata certa della strada che avrebbe intrapreso: sposa, moglie e madre. Questo è l’unico destino dolce amaro che spetta al polo femminile del Satmar. Tuttavia, qualche volta avere un’unica strada davanti a sé non si rivela essere così rassicurante come si crede ed Esty nel profondo sembrava averlo già capito. 

Ma io sono diversa’ sussurra timorosamente a Yanky il giorno del loro primo incontro,  ma inizialmente non capiamo davvero cosa intenda almeno finché quella realtà fatta di parrucche, di anonimato e di aspettative da soddisfare non inizia a starle scomoda. 

Da dove vengo io i bambini sono la cosa più preziosa. Noi ridiamo la vita a sei milioni di vittime.  

Esty Shapiro – Parte 3

Questa battuta rivela il viscerale legame tra lei e una storia secolare, ed è proprio ciò che si imprime nella nostra mente e difficilmente si dimentica perché è vero che Esty fugge da New York consapevole di tutte le conseguenze che dovrà affrontare, ma il suo cuore  non abbandona i precetti e l’ideologia del chassidismo e questo amplifica la tragicità del conflitto io-religione che Unorthodox pone sullo schermo. Alla luce di questa consapevolezza la storia di Esty si rivela in tutta la sua complessità e delicatezza. Assistendovi quasi desideriamo tacere per non disturbare, come se stessimo ascoltando un’arcana preghiera sconosciuta ma che ci affascina. 

unorthodox

Tuttavia, si è detto che la serie Netflix attraverso l’avventura della ragazza intende offrire un nuovo e fresco punto di vista. 

Necessario al raggiungimento di questo scopo sarà il ruolo che la musica e la memoria assumono sia nella vita di lei che in quella della comunità chassidica. La musica e la memoria sono il ponte tra i due mondi, tra il passato e il presente, tra la vita individuale della protagonista e quella collettiva della comunità. 

Lo notiamo durante le nozze di Esty e Yanky, unico momento di concreta felicità provato dalla ragazza in questo matrimonio combinato, e lo comprendiamo meglio quando lei a Berlino desidera frequentare le lezioni al conservatorio. Esty finalmente non è più una figura opaca, ma grazie alla musica è travolta dai colori della città e di una nuova vita immersa nell’arte, nell’esaltazione dell’esistenza e dei sogni: una vita fatta di molteplici sfumature in cui può finalmente spiccare ed essere chi desidera. Berlino vista attraverso gli occhi della protagonista è tutto questo, il che inevitabilmente enfatizza il capovolgimento simbolico dei ruoli storici delle due città che fanno da sfondo alla vicenda di lei.

Robert: …c’è dell’altro, quando c’era il muro di Berlino le guardie sparavano a chiunque tentasse la fuga attraverso il lago
Esty: E adesso?

Robert: Ora a nuoto vai dove vuoi

Unorthodox-Parte 1

È questo il primo momento in cui Esty realizza di potersi permettere di guardare la realtà con più leggerezza e serenità. 

La sua immersione nel lago diventa, anche più della fuga stessa, l’approdo a un mondo lontano da una comunità che in Unorthodox sembra collocarsi al crocevia tra la civiltà della vergogna e della colpa.

La protagonista ora è libera di suonare, danzare e cantare senza temere il giudizio o la caduta di quell’apparenza e di quell’onore da tenere alti per la famiglia, attraverso una corretta e sistematica procreazione. Questo capovolgimento, o meglio, questa sua rinascita si evince nella suggestiva audizione dell’ultimo episodio, in cui il canto che Esty intona è il tradizionale Mi Bon Siach in yiddish eseguito durante la cerimonia nuziale della sua comunità. 

Mi bon siach
Shoshan chochim,
Ahavas kallah
Misos dodim.
Hu yevorech
Es hechassan
V’es hakallah.

Mi Bon Siach

Tuttavia in questa scena assume un significato totalmente diverso poiché il dio non sta benedicendo l’amore tra uomo e donna, bensì l’amore tra Esty e il nuovo mondo. Inoltre questa scena segna uno scarto notevole rispetto alla tradizione che non permetteva alle donne di cantare o suonare poiché ritenuto non opportuno. È comunque importante considerare che il momento rompe i legami tra la protagonista e chi in terra pratica la volontà del divino, quindi l’uomo, ma non rompe il legame tra lei il suo culto. Quel conflitto io-religione non è sanato o cancellato, ma solo alleviato da un equilibrio interiore finalmente raggiunto dalla ragazza.

Questo lo si nota dall’atteggiamento che lei assume durante tutta l’esecuzione del brano: chiudendo gli occhi ondeggia con il busto avanti e indietro porgendo a coppa e in avanti i palmi delle mani. Esty non sta solo cantando, ma sta pregando e raccontando la sua storia che diventa così paradigma di molte altre. Dunque Unorthodox, come l’autobiografia di Deborah Feldman da cui la serie prende spunto o l’autobiografia di Pearl Abraham del 1997, mostra la nascita e lo sviluppo di un profondo desiderio di rinascita e di libertà che, bisogna fare attenzione, non mira a rinnegare le proprie origini e la propria fede, quanto a condurle verso un nuovo domani che ammetta un contatto tra due realtà.

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