Veep è la parola gergale che viene usata quando si parla del Vice Presidente degli Stati Uniti d’America. Esiste anche VPOTUS, Vice President of the United State, ma è talmente brutta da esser stata soppiantata, appunto, da Veep.
Il Vice Presidente americano è anche presidente del Senato e quindi può presiedere le udienze della camera alta del Congresso degli Stati Uniti, però non può votare se non in caso di pareggio affinché la votazione penda da una parte o all’altra. Ma soprattutto Veep è il primo nella linea di successione presidenziale: ossia, nel momento in cui il presidente sia impossibilitato a svolgere le sue funzioni sarà Veep a esercitare i poteri secondo gli emendamenti e gli articoli della Costituzione americana.
Solitamente eletto in tandem col presidente, quindi membro del suo stesso partito, nel corso della storia Veep ha visto modificare in crescendo l’importanza del suo ruolo. Da semplice ruota di scorta buono per le sagre di paese a vero e proprio fulcro della politica presidenziale, il ruolo di Veep, oggi, è importante quasi quanto quello di POTUS (President of the United State). Un buon Veep, infatti, è capace di spostare innumerevoli voti negli Stati in bilico. Ecco perché la scelta ricade su un candidato più che valido, molto preparato e spesso opposto, per certi versi, al candidato presidenziale stesso.
No, un momento, scusate. C’è stato un errore! Questa non è una lezione di educazione civica americana. Questo è un articolo per Hall of Series- Le Serie TV come non le avete mai lette. Un articolo, però, che parla proprio di Veep – Vicepresidente incompetente, serie andata in onda tra il 2012 e il 2019 sul canale via cavo HBO (in Italia trasmessa da Sky Atlantic tra il 2014 e il 2019) e creata da Armando Iannucci. Iannucci, nato nel 1963 a Glasgow da genitori italiani, è uno dei più importanti sceneggiatori e produttori satirici britannici attualmente in attività. È autore, tra le altre cose, dei film Morto Stalin, se ne fa un altro e In the Loop e delle serie televisive I’m Alan Partridge, Time Trumpet e The Thick of It, quest’ultima fonte di ispiazione per Veep.
Iannucci venne contattato dalla ABC per un remake americano di The Thick of It: “grazie al Cielo non andò mai in onda. Era terribile: mancava di mordente, era priva di improvvisazione e di imprecazioni. Hanno preso un’idea e l’hanno trattata in maniera del tutto convenzionale!” , così si espresse lo showrunner in una intervista. Sempre lui, prosegue: “poi, per fortuna, è arrivata la HBO che ha voluto creare qualcosa di adatto al pubblico americano. Una commedia cringe che raccontasse la vita politica degli Stati Uniti attraverso una lente satirica molto forte“. E così nacque una delle più belle, spiritose e irriverenti serie televisive degli ultimi anni.
Per il ruolo della protagonista né gli autori né i dirigenti del canale televisivo ebbero dubbi: Julia Louis-Dreyfus era il volto ma soprattutto aveva la verve comica adatta per interpretare Selina Meyer, vicepresidente incompetente (che poi tanto incompetente non lo sarà). Accanto a lei sono stati scelti, tra gli altri: Anna Chlumsky nel ruolo di Amy Brookheimer, capo dello staff della Meyer; Tony Hale nel ruolo di Gary Walsh, aiutante personale della vicepresidente; Reid Scott nei panni di Dan Egan come vicedirettore delle comunicazioni; e Gary Cole nel ruolo di Kent Davison, stratega politico (da notare che Cole interpretò Robert “Bob” Russell, vicepresidente di Josiah Bartlet in quel capolavoro che è The West Wing).
L’eccezionale cast e la sontuosità della sceneggiatura, così brillante e sagace, divertente e al tempo stesso realistica hanno portato la serie a essere candidata a oltre duecentocinquanta premi televisivi vincendone ben settantaquattro. Tra questi citiamo: diciassette Emmy Awards di cui sei consecutivi a Julia Louis – Dreyfuss come miglior attrice comica, due Critics’ Choice Television; quattro Screen Actors Guild Awards; due Television Critics Association; tre Writers Guild of America; un Peabody Award; e sette nomination per i Golden Globe. Un vero, incredibile successo non soltanto di critica ma anche di pubblico con un numero di spettatori in costante aumento sulla HBO.
Una serie, insomma, che deve esser vista almeno una volta nella vita. Una serie capace, e qui la lezione di educazione civica americana potrebbe tornare utile, di raccontare la politica con una forte dose di critica e leggerezza al tempo stesso. Perché in Veep tutto quello che viene visto risulta molto verosimile. Così tanto che la protagonista racconta: “a ogni fine stagione, politici repubblicani o democratici mi scrivevano complimentandosi per come avevo saputo mettere al suo posto la controparte. Il mio personaggio, a quanto pare, riusciva a essere al tempo stesso conservatore e progressista a seconda di chi era seduto di fronte alla televisione“. La scelta di non definire politicamente il personaggio della Vice Presidente, infatti, è una scelta voluta dagli autori e mantenuta per tutto la serie. “In questo modo“, prosegue Julia Louis – Dreyfuss “abbiamo potuto sfruttare molti più input restando assolutamente neutrali“.
Qualcuno l’ha definita “la versione comica di The West Wing” proprio perché molto attenta ai dettagli e alla realtà politica di Washington DC. Scritta con dovizia, senza mai cadere nella banalità, fin dalla prima puntata Veep dimostra di voler raccontare qualcosa che non sia solo una frivola commedia né tanto meno un manifesto su quello che dovrebbe essere e fare la politica. Secondo Iannucci “la serie non ha pretese se non quelle di raccontare la storia di Selina che passa da essere vicepresidente inapprezzato a presidente impopolare per finire a essere ex presidente fallita“. Tra un passaggio e l’altro, grazie anche a una improvvisazione libera da parte degli attori, c’è l’evoluzione della serie.
In Veep gli autori hanno volutamente lasciato da parte nomi reali e qualsiasi riferimento alla realtà: “è già abbastanza difficile parlare di una cosa così complicata come la politica che l’idea di doverci difendere dalle accuse di questo o quel politico ci faceva perdere la voglia di scrivere. Meglio inventarsi tutto, perché tanto la realtà supera, e di molto, la fantasia“, dice Iannucci. Una scelta che, nel lungo andare, si è rivelata assolutamente vincente. Trattata come un mockumentary la serie ha sempre cercato di tenersi alla larga dalle problematiche di un paese ricco di tradizioni e contraddizioni politiche. Al tempo stesso però, anticipando addirittura certe situazioni, Veep è riuscita ha raccontare i tempi correnti in maniera precisa e dettagliata, con quel pizzico di crudezza che lascia allo spettatore quello spiacevole retrogusto amaro in bocca.
La serie americana, infatti, nel corso delle sue sette stagioni non si è limitata a crearsi un bacino di utenza affezionato. L’ha anche aiutato a crescere e diventare, in un certo senso, più responsabile. Attenzione: non vogliamo certamente dire che Veep abbia dato lezioni di educazione civica. No. È, più che altro, l’impressione che, oltre all’affezionarsi ai personaggi ci sia stata una sorta di maggiore consapevolezza da parte dello spettatore.
Così, le follie di Selina che inizialmente hanno divertito a crepapelle lentamente si sono spogliate della loro comicità demenziale obbligando lo spettatore a una sorta di logico parallelismo con la vita reale. Una attitudine del tutto naturale quando si parla di cose abbastanza reali e concrete come lo sono la politica e i politici. Senza voler entrare nel merito né fare paragoni scomodi e forieri, sicuramente, di inutili polemiche, è evidente che la sottile linea tra finzione e realtà, in certi momenti, sia stata ampiamente superata. Lo sconfinamento da parte del mondo reale nella fiction non è certamente un buon segno ma tant’è, purtroppo. È una situazione che non dipende dagli sceneggiatori.
Questa situazione, però, dovrebbe portare a delle riflessioni che vadano al di là del semplice schieramento. Perché Veep, nella sua bellezza si è trasformata arricchendosi di un aspetta che l’ha rea ancora più corposa.
Attraverso gli episodi delle ultime stagioni Selina abbraccia pienamente il suo destino trasformandosi in quello che sono stati i suoi predecessori: privi di scrupoli e ambiziosi. Così Veep passa dall’essere la versione comica di The West Wing alla versione cringe di House of Cards. I tratti di Selina non sono più quelli di un Bartlet un po’ imbranato ma finiscono con l’assomigliare a quelli di Underwood, scegliete voi se Claire o Frank (noi, una idea l’abbiamo).
Ma non si ferma qui. Deliberatamente o meno Veep allarga i suoi confini e ingloba gli spettatori dentro di sé poiché non si limita più a prendere di mira i politici ma anche i loro elettori. E così, chi prima si limitava a ridere alle lacrime ora resta perplesso chiedendosi se gli argomenti trattati non lo riguardino almeno un po’.
Non c’è niente di peggio di quando le serie comiche ti portano a riflettere. La maniera con cui lo fanno è decisamente più violenta e turbolenta rispetto a quelle drammatiche. Perché prende alla sprovvista e lascia di stucco. Per fortuna non capita spesso ma quando accade è un evento da sottolineare.
Veep gioca sul filo del rasoio. È come un trapezista che senza protezione passa da un estremità all’altra di un cavo sospeso a cento metri da terra. Il rischio che ha corso nel diventare ridondante della realtà non era calcolato. Non lo è mai, del resto, quando c’è di mezzo la politica. Ma è un azzardo che gli autori si sono addossati e hanno saputo superare brillantemente. C’erano tutti gli ingredienti per sbagliare ma non uno di questi è stato preso e la settima e ultima stagione, ne è la prova.
Occorre un certo pelo sullo stomaco per guardarla, va detto. Più che altro perché le carte in tavola vengono mischiate e ridistribuite in maniera tale da lasciare di sasso gli spettatori. D’altro canto qualcosa, gli autori, dovevano inventarsi per evitare che la serie fosse una semplice e banale copia, sbiadita, della realtà.
Così, sempre lucida e splendente, sempre vivace e tagliente, la serie cala il suo sipario amaro sulla finzione aprendo, contemporaneamente, gli occhi degli spettatori sulla cruda realtà.